giovedì 28 settembre 2017

Essere cristiani in Medio oriente




Card. Parolin: al Sir, “i cristiani non devono mai diventare una minoranza protetta in Iraq e in Medio Oriente” 
SIR 
“I cristiani non devono mai diventare una minoranza protetta in Iraq e in Medio Oriente” Lo ha detto al Sir il cardinale segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, a margine della conferenza internazionale sull’Iraq promossa da Aiuto alla Chiesa che soffre, in corso oggi a Roma, presso l’Università Lateranense. (...)










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(Charles De Pechpeyrou) Essere cristiani in Medio oriente: in una Francia oramai secolarizzata, le cui radici cristiane sono sempre meno presenti e dove molti identificano il mondo arabo con il solo islam, questa realtà è a prima vista poco conosciuta. Eppure, il successo inatteso di un ciclo di conferenze sul patrimonio cristiano orientale svoltosi in questi ultimi mesi all’Istituto del mondo arabo, a Parigi, è stato tale da spingere questo centro ad accogliere una mostra intitolata Chrétiens d’Orient, 2000 ans d’histoire, inaugurata il 26 settembre, con la collaborazione dell’Œuvre d’Orient, associazione di assistenza e di beneficenza che dipende dall’arcidiocesi di Parigi.
«L’Istituto si è lanciato in una sfida che non è mai stata raccolta da nessuna grande istituzione in Francia: evocare, attraverso un’unica mostra, il cristianesimo sotto tutti i suoi aspetti: storici, culturali, cultuali», dichiara il suo presidente, l’ex ministro francese della cultura Jack Lang.
La sfida è grande, lo scopo ambizioso. Più che dal numero degli ingressi — si tratta di uno dei grandi eventi di questa stagione culturale — indice di successo della mostra, aperta fino al 14 gennaio, saranno forse l’emozione e lo stupore che colpiranno il visitatore quando si troverà, varcata la soglia della prima sala, di fronte ai due splendidi affreschi provenienti dalla domus ecclesiae di Dura Europos, la cui costruzione risale al III secolo, prestati dall’università di Yale. Tra le altre meraviglie presentate, il celebre evangeliario di Rabbula, manoscritto miniato siriaco risalente al VI secolo, prestato dalla Biblioteca Medicea Laurenziana; alcuni mosaici provenienti dalle prime chiese palestinesi e siriane, e due magnifiche icone custodite nel monastero egiziano di Baouit.
In effetti, come sottolineano i curatori della mostra, le trecento opere presentate — resti archeologici, statue, icone, affreschi, sculture, libri, pergamene, ma anche foto e fumetti — non provengono soltanto da grandi musei occidentali, tra cui i Musei vaticani, ma anche dalle comunità cristiane orientali. Più precisamente quelle della Terra Santa, della Siria, del Libano, della Giordania, dell’Iraq e dell’Egitto, i paesi sui quali si concentra la mostra. «Un’area successivamente romana, bizantina, musulmana, ottomana, che ha poi conosciuto i movimenti nazionalisti arabi, e che è oggi al centro di molte preoccupazioni», spiegano gli organizzatori della mostra.
Dal punto di vista temporale, invece, si è voluto estendere al massimo il periodo trattato, dalle prime evangelizzazioni fino a oggi. «Effettivamente, ci si poteva limitare al periodo della più grande produzione artistica, o meglio quello che l’occidente considera il più interessante, che va dai primi secoli fino all’XI secolo; si è preferito invece coprire duemila anni di storia, per mettere in luce anche la partecipazione, nell’epoca moderna e contemporanea, degli arabi-cristiani alla vita delle regioni in cui si trovano e degli Stati a cui appartengono», spiega all’Osservatore Romano Charles Personnaz, membro del comitato scientifico della mostra. «Non volevamo eludere la realtà di oggi, fatta di contrasti perché la vita quotidiana continua nonostante le persecuzioni», aggiunge il responsabile.
Questo in effetti è l’altro traguardo della mostra: sensibilizzare i francesi e i turisti di passaggio a Parigi alla causa dei cristiani d’oriente. Del resto, non va dimenticato che si tratta in realtà di una lunga tradizione propria della Francia. Sono molto antichi i rapporti tra il paese e le comunità cristiane del Levante.
Legami culturali, se non spirituali, come ricorda all’Osservatore Romano monsignor Pascal Gollnisch, direttore generale dell’Œuvre d’Orient e vicario generale dell’Ordinariato dei cattolici orientali in Francia. «Sono stati i cristiani d’Oriente a evangelizzare la Gallia: per esempio sant’Ireneo di Lione, nel II secolo, veniva da Smirne, nell’attuale Turchia, e il primo vescovo di Tarantasia era san Giacomo d’Assiria. D’altronde, la vita monastica in Francia si è spesso ispirata dall’esperienza del monachesimo orientale, sia in Egitto che in Siria. Legami antichi, dunque, spirituali, culturali e amichevoli».
Amicizia ma anche protezione a livello politico. Basti ricordare san Luigi, ovviamente, ma anche il re Francesco I che si autoproclamò protettore dei cristiani in Oriente nel 1536. Certo, dai Capetingi del duecento ai presidenti della V Repubblica, questa protezione non era priva di interessi politici ed economici. Una realtà percepita dal presidente Emmanuel Macron, che si è recato all’Istituto del mondo arabo per una visita in anteprima, il 25 settembre, assieme al presidente del Libano, Michel Aoun, in visita di Stato a Parigi. Davanti a una platea di rappresentanti delle varie Chiese cattoliche orientali, Macron ha ribadito che «la Francia intrattiene una lunga storia con i cristiani di oriente, che non si è mai arrestata, come non è mai venuta a mancare la presenza dei cristiani in oriente che hanno costruito la diversità culturale, linguistica, storica di queste terre. A loro voglio esprimere la vicinanza della Francia, e dire che la nostra priorità sarà di difendere la loro storia», ha assicurato Macron, sottolineando varie volte quanto la storia comune e i legami del passato «impegnino» tuttora la Francia.
L'Osservatore Romano