lunedì 11 settembre 2017

Paths of Peace




Testo del  Messaggio del Santo Padre Francesco ai partecipanti all’Incontro internazionale interreligioso “Strade di pace” (Münster e Osnabrück, Germania, 10-12 settembre 2017)
Sala stampa della Santa Sede

[Text: Italiano, English] 


Messaggio del Santo Padre
Illustri e cari rappresentanti delle Chiese e Comunità cristiane e delle religioni mondiali, porgo a tutti voi il mio cordiale saluto assicurando la mia vicinanza spirituale.
Su iniziativa delle Diocesi di Münster e Osnabrück e della Comunità di Sant’Egidio, che sentitamente ringrazio, vi siete riuniti per un nuovo Incontro internazionale, dal titolo “Strade di pace”. Questo cammino di pace e di dialogo, voluto e avviato da San Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986 e di cui lo scorso anno abbiamo vissuto insieme il trentesimo anniversario, è attuale e necessario: conflitti, violenza diffusa, terrorismo e guerre minacciano oggi milioni di persone, calpestano la sacralità della vita umana e rendono tutti più fragili e vulnerabili.Il tema di quest’anno è un invito ad aprire e costruire nuove strade di pace. Ce n’è bisogno, specie dove i conflitti sembrano senza via d’uscita, dove non si vogliono intraprendere percorsi di riconciliazione, dove ci si affida alle armi e non al dialogo, lasciando interi popoli immersi nella notte della violenza, senza la speranza di un’alba di pace. In tanti, troppi, hanno ancora “sete di pace”, come abbiamo detto lo scorso anno ad Assisi. Accanto ai responsabili politici e civili, tenuti a promuovere la pace per tutti, oggi e nell’avvenire, le religioni sono chiamate, in particolare con la
preghiera e con l’impegno concreto, umile e costruttivo, a rispondere a questa sete, a individuare e aprire, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, strade di pace, senza stancarsi.
La nostra via per la pace, di fronte all’irragionevolezza di chi profana Dio seminando odio, di fronte al demone della guerra, alla follia del terrorismo, alla forza ingannevole delle armi, non può che essere una via di pace, quella che accomuna «molte tradizioni religiose, per le quali la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2017, 4). Per aprire varchi di pace ci vogliono coraggio umile e perseveranza tenace, e soprattutto occorre pregare, perché – lo credo fermamente – la preghiera è alla radice della pace. In quanto leader religiosi, abbiamo, soprattutto in questo momento storico, anche una responsabilità particolare: essere e vivere come gente di pace, che testimonia e ricorda che Dio detesta la guerra, che la guerra non è mai santa, che mai la violenza può essere commessa o giustificata in nome di Dio. Siamo inoltre chiamati a risvegliare le coscienze, a diffondere la speranza, a suscitare e sostenere gli operatori di pace.
Quello che non possiamo e non dobbiamo fare è restare indifferenti, così che le tragedie dell’odio cadano nell’oblio e ci si rassegni all’idea che l’essere umano sia scartato e che gli vengano anteposti il potere e il guadagno. L’incontro di questi giorni, che desidera aprire e rafforzare strade di pace e per la pace, sembra voler proprio rispondere a questo invito: vincere l’indifferenza di fronte alla sofferenza umana. Vi ringrazio per questo e per il fatto che siete insieme, nonostante le differenze, per cercare cammini di liberazione dai mali della guerra e dell’odio. Per fare questo, il primo passo è saper ascoltare il dolore dell’altro, farlo proprio, senza lasciarlo cadere e senza abituarvisi: mai al male bisogna abituarsi, mai ad esso bisogna essere indifferenti.
Eppure ci si può chiedere: cosa fare di fronte a tanto male che dilaga e imperversa? Non è troppo forte? Non è ogni sforzo vano? Di fronte a queste domande si rischia di farsi paralizzare dalla rassegnazione. Voi, invece, vi siete messi in cammino e oggi siete riuniti per offrire una risposta, anzi, già il vostro essere insieme rappresenta una risposta di pace: mai più gli uni contro gli altri, ma gli uni insieme agli altri. Le religioni non possono volere altro che la pace, operose nella preghiera, pronte a piegarsi sui feriti della vita e sugli oppressi della storia, vigili nel contrastare l’indifferenza e nel promuovere vie di comunione.
È significativo che il vostro incontro si svolga nel cuore dell’Europa, nell’anno in cui il continente celebra i sessant’anni dei trattati fondativi dell’Unione, siglati a Roma nel 1957. La pace è al cuore della costruzione europea, dopo le rovine provocate da due disastrose guerre mondiali e dalla terribile tragedia della Shoah. La vostra presenza in Germania sia un segno e un richiamo per l’Europa a coltivare la pace, attraverso l’impegno a costruire vie di più solida unità all’interno e di sempre maggiore apertura all’esterno, senza dimenticare che la pace non è solo frutto dell’impegno umano, ma dell’apertura a Dio.
Continuiamo così ad aprire insieme nuove strade di pace. Si accendano luci di pace dove ci sono tenebre di odio. Vi sia la «volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; […] si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace» (Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 91).
Dal Vaticano, 28 agosto 2017
FRANCISCUS PP.
Traduzione in lingua inglese
Distinguished and dear Representatives of the Churches and Christian Communities, and of the World’s Religions
To all of you I offer cordial greetings and the assurance of my closeness in prayer.
I thank the Dioceses of Münster and Osnabrück, and the Community of Sant’Egidio for bringing you together once more for this international meeting, whose theme is Paths of Peace. Last year we celebrated the thirtieth anniversary of this process of peace and dialogue initiated by Saint John Paul II in Assisi in 1986. It remains timely and necessary, as conflicts, violence, terrorism and war increasingly threaten millions of persons, violate the sacredness of human life, and make us all more uncertain and vulnerable.
This year’s theme is an invitation to forge new paths of peace. How greatly this is needed, especially where conflicts seem intractable, where the will to undertake processes of reconciliation is lacking, where trust is placed in arms and not in dialogue, thus leaving entire peoples plunged into a dark night of violence, without hope for a dawn of peace. Yet countless of our brothers and sisters continue to “thirst for peace”, as we affirmed last year in Assisi. Alongside political and civil leaders, who are responsible for promoting peace everywhere, today and in the future, the religions are called, by prayer and by humble, concrete and constructive efforts, to respond to this thirst, to identify and, together with all men and women of good will, to pave tirelessly new paths of peace.
Our path to peace is not that of those who profane God’s name by spreading hatred; it has nothing to do with the bane of war, the folly of terrorism or the illusory force of arms. Ours must be a path of peace, uniting “many religious traditions for which compassion and nonviolence are essential elements pointing to the way of life” (cf. Message for the World Day of Peace, 1 January 2017, 4). Making space for peace calls for humility and courage, tenacity and perseverance; more than anything else, it demands prayer, since – as I firmly believe – prayer is the taproot of peace. As religious leaders, particularly at this present moment of history, we also have a special responsibility to be and to live as people of peace, bearing insistent witness that God detests war, that war is never holy, and that violence can never be perpetrated or justified in the name of God.
We are likewise called to trouble consciences, to spread hope, to encourage and support peacemakers everywhere.
What we may not and must not do is remain indifferent, allowing tragedies of hatred to pass unnoticed, and men and women to be cast aside for the sake of power and profit. Your meeting in these days, and your desire to blaze new paths of peace and for peace, can be seen as a response to the call to overcome indifference in the face of human suffering. I thank you for this, and for the fact that you have gathered, despite your differences, to seek processes of liberation from the evils of war and hatred. For this to happen, the first step is to feel the pain of others, to make it our own, neither overlooking it or becoming inured to it. We must never grow accustomed or indifferent to evil.
Yet the question remains: What can be done to respond to such growing evil? Is it not too strong? Is every effort useless? In the face of such questions, there is the risk of paralysis and resignation. You, however, have embarked upon a journey, and today you gather to offer an answer. Indeed, your very gathering represents a response of peace: no longer are some against others; now all stand beside one another. The religions cannot desire anything less than peace, as they pray and serve, ever ready to help those hurt by life and oppressed by history, ever concerned to combat indifference and to promote paths of communion.
It is significant that your meeting takes place in the heart of Europe, in this year that marks the sixtieth anniversary of the signing in Rome of the founding treaties of the Union. Peace has been at the heart of Europe’s reconstruction following the devastation caused by two disastrous world wars and the terrible tragedy of the Shoah. May your presence in Germany be a sign and a summons for Europe to cultivate peace through a commitment to paving new paths to a solid unity within and a greater openness without. May we never forget that peace is not only the fruit of our human efforts, but of openness to God.
Together let us continue to forge new paths of peace, lighting candles of peace amid the darkness of hatred. May all men and women long “to break through the barriers which divide them, to strengthen the bonds of mutual love, to learn to understand one another, and to pardon those who have done them wrong... May all peoples accept one another as brothers and sisters , and may the peace for which they yearn ever flourish and reign among them” (JOHN XXIII, Encyclical Letter Pacem in Terris, AAS 55[1963]. 304).
From the Vatican, 28 August 2017
FRANCISCUS PP.

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A "Strade di Pace" una riflessione sulla malattia - L’uomo tocca il proprio limite, ma supera barriere e separazioni
Comunità di Sant'Egidio

A "Strade di Pace" una riflessione sulla malattia - L’uomo tocca il proprio limite, ma supera barriere e separazioni - No al dualismo tra amore fattivo e preghiera per la guarigione - Solo un uomo riconciliato può portare la pace. Rappresentanti cattolici, ortodossi ed evangelici, insieme ad un musulmano sciita e un rabbino, si confrontano su “Preghiera, malattia, guarigione”, durante l’incontro “Strade di pace” promosso a Münster dalla Comunità di Sant'Egidio. Notando come nella sofferenza l’uomo impara a conoscere Dio, il filosofo evangelico Thomas Schirrmacher ha osservato: 
“Non si può dire a chi soffre di continuare a soffrire, ma occorre impegnarsi per risolvere le cause strutturali di questo dolore”. Schirrmacher ha poi ricordato le guarigioni miracolose, a cui l’Occidente guarda con scetticismo ma che ci interpellano ad una comprensione globale ed olistica dell’uomo.
Per il vescovo serbo Andrej, nella preghiera gli uomini manifestano la diversità di ciascuna tradizione, ma al tempo stesso la ricchezza di ciò che li accomuna. “I salmi accompagnano tutta la nostra preghiera”, e nei salmi impariamo a supplicare Dio, poveri e fragili quali noi siamo.
Il vescovo luterano Karl Hinrich Manzke ha descritto la preghiera come “un linguaggio, che a lungo si ripete senza capire” ma che giunge col tempo a formarci anche nelle nostre relazioni con gli altri. Il vescovo ha ricordato l’esperienza della sua città nel nord della Germania, dove ogni anno si ha una giornata di preghiera in cui luterani, cattolici, musulmani ed ebrei si invitano l’un l’altro: “la preghiera è una grande opportunità per imparare a vivere nella pace e nel pluralismo”.
Per don Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere, “la malattia ci ricorda ciò che vorremmo dimenticare: nasciamo poveri, moriamo poveri, laddove essere poveri significa non bastare a se stessi. Ed in questa dipendenza possiamo sperimentare il soccorso di Dio ma non solo: anche la fiducia di Dio. Lui crede che in ogni uomo, donna, piccolo o anziano”. Per Gnavi non ha significato la distinzione tra amore materiale e preghiera per la guarigione: “Gesù si è identificato con il medico che viene per i malati e non per i sani, per i peccatori e non per i giusti, ricordandoci che tutto l'uomo ha bisogno di guarigione, corpo e cuore”.
Il rettore dell’Università iraniana delle religioni, Abulhasan Navvab, ha affermato: “Tutte le religioni insegnano amore infinito. Per Buddha, tutte le virtù erano prive di valore rispetto alla virtù dell'amore e nella Bibbia leggiamo che tutti i beni e i doni non valgono nulla se non abbiamo amore. Sorprendentemente, tale amore deve essere rivolto anche ai nemici, come dice il Corano: Respingi il male con un bene più grande e vedrai che colui che ti era nemico, diverrà amico”. E nella preghiera noi impariamo a pregare non solo per noi stessi ma anche per i nostri compagni, quindi “a non percepire la felicità della società come separata dalla propria”.
A queste parole ha fatto eco il rabbino Avraham Itzhak Rabdil: “Tutto ciò che chiediamo nell’Amidah, la nostra preghiera principale, è espresso al plurale. Quindi, quando preghiamo per la salute, per il benessere, per la prosperità e per la pace, non preghiamo solo per noi stessi, ma anche per tutti gli altri. Io non sono responsabile soltanto per me, ma persino nel momento della massima intimità con l’Onnipotente devo includere anche altri esseri umani nella mia preghiera”. Per Rabdil, orientarci verso Dio ci insegna a fare spazio agli altri nella nostra vita, perché Dio vuole dimorare in un mondo di pace “ma sta a noi far sì che il mondo diventi tale.
Munster, 11 settembre 2017.