venerdì 15 settembre 2017

Slaves No More



 Schiave sessuali sui nostri marciapiedi...


(Giulia Galeotti) «Quando potrò vivere una vita normale? Chi mi deve liberare? Perché sono finita qui? Perché questo mondo è così cattivo verso di me? Ma non siamo tutti uguali? Dio perché devo vivere così?».
Soffermandosi su ogni singola parola, Blessing Okoedion scandisce lentamente le drammatiche domande che le ragazze nigeriane vittime della tratta si pongono continuamente mentre si trovano costrette a vendere prestazioni sessuali ai bordi dei nostri marciapiedi. E Blessing Okoedion, che oggi lavora come mediatrice culturale, sa bene di cosa sta parlando perché anche lei qualche anno fa è arrivata in Italia trafficata con l’inganno e ridotta in schiavitù.

Okoedion è intervenuta giovedì 14 settembre alla tavola rotonda «L’inferno della tratta» organizzata dall’associazione Slaves No More a Roma, presso la sede dell’Associazione della stampa estera in Italia. Moderate da Trisha Thomas, giornalista dell’Associated Press, con lei sono intervenute altre tre donne che da tempo si occupano di nigeriane ridotte a schiave sessuali, e cioè Anna Pozzi, Katja Meier e Oria Gargano. Sono tanti gli aspetti di questa «piaga aberrante» — come l’ha definita Papa Francesco — emersi nel corso degli interventi, estremamente diversi tra loro per prospettiva, taglio e competenza.
Siamo alla fine degli anni Ottanta — spiega la giornalista italiana Anna Pozzi, che è stata tra le fondatrici di Slaves No More con la battagliera suor Eugenia Bonetti — quando le prime giovani nigeriane vengono immesse nel mercato della prostituzione nel casertano. Da allora, due diverranno nella penisola i centri nevralgici di smistamento di queste ragazze, Castel Volturno al sud e Torino al nord. Da queste capitali della prostituzione forzata nigeriana si partirà ben presto per raggiungere il resto del territorio. Esiste del resto un’autentica geografia dello sfruttamento, con le nigeriane che ne rappresentano gli estremi più disprezzati: si trovano ai margini delle città e costano meno di tutte.
In questi decenni — ha proseguito Pozzi che da anni incontra ragazze trafficate sia in Italia che in Nigeria — il fenomeno è cambiato in tanti aspetti, mantenendo però sempre grande vitalità grazie a una rete criminale rivelatasi estremamente flessibile nel seguire i mutamenti politici e sociali. Finendo per raggiungere cifre enormi: si conta infatti (anche se i dati per un fenomeno così nascosto sono difficili da reperire) che oggi in Italia vi siano tra le trenta e le cinquantamila vittime di tratta. Metà delle quali sono nigeriane.
Per alcuni versi i maggiori complici dei trafficanti sono ancora oggi la disinformazione e l’analfabetismo. Quanto al primo aspetto, moltissime delle ragazze che stanno per partire da Benin City — spiega ancora Anna Pozzi — sono convinte di venire in Italia per fare le estetiste o le babysitter. Molte famiglie e molte giovani si fidano infatti dei loro aguzzini: a differenza del passato, per attirare la preda lo sfruttatore o la sfruttatrice non ricorrono subito alle violenze, ma usano come armi false promesse di una vita migliore, miraggio di un lavoro e quindi di un aiuto per chi resta a casa. L’altra calamità è l’analfabetismo. Le ragazze che arrivano sono sempre più giovani, e se pensiamo che il quaranta per cento delle nigeriane in età scolare in realtà non frequenta la scuola, ecco che il cerchio mortifero si chiude: senza saper leggere o scrivere, senza aver alcun parametro per capire dove si trovano, queste minorenni sono in completa balia dei loro aguzzini.
Anche per questo trovare il coraggio di denunciare e di raccontare non è affatto semplice. E per questo la testimonianza di Blessing Okoedion (autrice, con Anna Pozzi, del libro Il coraggio della libertà, recensito dal nostro giornale il 10 giugno scorso) è preziosissima. Sia per le nostre sorde orecchie di europei, sia per le ragazze nigeriane. Perché offre, innanzittuto a loro, una via di uscita.
Blessing Okoedion ne è convinta: «Aprire la bocca è un modo per spezzare un’altra catena». Quando invece si sceglie di tacere, non si può liberare nessuno. Ma già porsi delle domande non è facile né scontato quando ci si ritrova improvvisamente ridotti in schiavitù: la donna trafficata viene infatti considerata alla stregua di un oggetto, di una proprietà privata usata senza limiti e senza regole, se non quelle del guadagno. «Non c’è nulla di peggio della morte interiore, di sentirsi un prodotto da consumare. Non ci si sente più una persona umana che pensa, che ragiona, che riflette».
Come tutte le relatrici hanno sottolineato, stiamo parlando di un mercato in forte crescita con dieci milioni di prestazioni acquistate ogni mese solo in Italia. Se infatti l’offerta è enorme – con arrivi sempre più frequenti — è perché la domanda nel paese continua a crescere. Ed è su questo aspetto che ha invitato tutti a interrogarsi Oria Gargano, presidente della cooperativa sociale Be Free (impegnata contro tratta, violenze e discriminazioni) che lavora all’interno del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. «Dieci milioni di maschi vanno a comprare sesso sulle nostre strade, e quelle che trovano sono donne ridotte in schiavitù». Una schiavitù che tante associazioni gestite per lo più da donne, laiche e religiose, si ostinano a combattere. Perché — come Blessing Okoedion non si stanca di scrivere e ripetere, mettendoci la faccia — «nessuno deve più pensare che non esista altra alternativa alla schiavitù».


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Slaves on our Streets. Questo articolo del cardinale arcivescovo di Westminster è uscito su «The Independent» a seguito della tavola rotonda «Slaves on our Streets» promossa dal quotidiano britannico insieme al think tank «Evening Standard». L’incontro, svoltosi la mattina del 14 settembre a Londra, è stato presieduto dal cardinale in qualità di presidente del Santa Marta Group, costituito nel 2014 per lottare contro la piaga della tratta degli esseri umani nel mondo. Tra gli altri intervenuti, Kevin Hyland, Paul Polman, Monique Villa, Yasmin Waljee e Julie Etchingham, Matt Baggott, Jean Baderschneider e John Studzinski. 
(Vincent Nichols) Ho preso davvero coscienza della schiavitù moderna per la prima volta nel 2012, sentendo parlare Sophie Hayes (una vittima del traffico di esseri umani che ha scritto un best-seller sulla sua esperienza). Mi colpì il fatto che lei fosse inglese e che era stata portata in Italia a lavorare come schiava del sesso. La cosa mi fece mettere in discussione tutte le mie idee preconcette sul fatto che il traffico umano era un problema altrove, che riguardava altri paesi. In seguito mi resi conto di quale centro per il traffico umano fosse Londra, e quindi diventò ancor più necessario comprenderlo.Poi, più o meno nel periodo delle Olimpiadi di Londra di quell’anno, la polizia cercò di cooperare con alcune religiose. Attorno a questi grandi eventi sportivi si crea sempre un’industria del sesso e vengono importate donne che sono letteralmente ridotte in schiavitù. Notai che le religiose svolgevano gran parte del lavoro in prima linea per dare sostegno a quelle donne.
In seguito tenemmo un incontro pubblico sul traffico umano, al quale parteciparono molte donne filippine. Mi resi conto che la comunità cattolica, essendo tanto diversificata a Londra, aveva contatti con molte donne vittime del traffico umano.
Kevin Hyland, che all’epoca stava alla Met (ora è il Commissario indipendente anti-schiavitù) venne da noi in cerca di cooperazione. Molte tra le religiose non erano inclini a cooperare. La polizia tendeva a perseguire le persone che ora consideriamo vittime di traffico, sicché Kevin ebbe un bel daffare per convincerle che a lui non interessava perseguire.
Poco a poco si creò una collaborazione, basata sul suscitare consapevolezza e ricettività e offrire educazione nelle diverse comunità. Fu evidente che la cooperazione tra le risorse della Chiesa cattolica e la polizia era feconda.
Parlammo con vescovi e capi della polizia in altri paesi e questa iniziativa avviata a Londra, chiamata Santa Marta Group, iniziò a diffondersi. Al nostro primo incontro nel 2014 è venuto Papa Francesco, insieme alle forze di polizia di venti nazioni. All’incontro più recente, lo scorso anno, hanno partecipato oltre trenta capi della polizia.
Papa Francesco è stata una figura molto importante in tutto questo. Per oltre trent’anni ha lavorato con i moderni schiavi, quindi è particolarmente consapevole del problema. Intervistato in proposito, ha descritto la schiavitù moderna come una dolorosa ferita nel corpo dell’umanità e quindi, per i cattolici, una ferita nel corpo di Cristo. Ha detto che il mondo deve imparare di nuovo a piangere; e da qui comprendiamo la necessità di agire.
Al termine di quel primo incontro mi ritrovai accanto a lui, che mi disse: «Si assicuri che questo continui, perché è molto più utile della maggior parte degli incontri ai quali devo partecipare». Con un mandato del genere, dunque, non posso non essere motivato, ma al centro di tutto ci sono le vittime di questo commercio crudele, davvero crudele, e dobbiamo sempre ricordarle e metterle al primo posto.
«The Indipendent» ed «Evening Standard» hanno una diffusione straordinaria. Una delle speranze di questa analisi e di questo gruppo di esperti è di riuscire ad aiutare a mettere in guardia tutti i settori — finanza, affari, governo, media —, come anche la gente a Londra e in generale, così da poter contribuire a consolidare una risposta. Dobbiamo far sapere alle persone che cosa cercare, come denunciarlo e come evitare di procurare affari a questi criminali. La dignità della persona è legata al suo lavoro. Se il lavoro degrada o sfrutta, corrode l’essenza della persona e la sua dignità umana.
Per questo sono lieto del sostegno degli illustri membri di questo gruppo di esperti. Tutti noi dobbiamo impegnarci duramente per contribuire a porre fine a questa grande piaga.

L'Osservatore Romano