sabato 16 settembre 2017

Vedere uomini e cose con gli occhi di Dio.





Pubblichiamo uno stralcio dal libro L’impegno del cristiano nel mondo (Milano, Jaca Book, 2017, pagine 143, euro 10) che, con la prefazione di Julián Carrón, raccoglie le conferenze tenute nel gennaio 1971 a Einsiedeln in occasione di un raduno di studenti di Comunione e Liberazione da von Balthasar e Luigi Giussani. 

(Hans Urs von Balthasar) Con il proprio impegno il cristiano vive nell’impegno di Dio per la liberazione del mondo.

Sa di essere scelto da Dio e chiamato per nome ad aiutarlo nella sua opera di liberazione, che riguarda essenzialmente lui, non gli angeli e le cose infraumane, create per l’uomo che deve disporre di esse in conformità al suo compito e alla sua scelta. Il cristiano deve imparare innanzitutto a vedere uomini e cose con gli occhi di Dio.
Questo non vuol dire che in questo mondo egli cessi di essere un profondo enigma. Al contrario. Se è vero che Dio lo ha creato a sua immagine e somiglianza, questo significa piuttosto che in lui risplende qualcosa della singolarità e insondabilità divina, in modo tanto più chiaro per l’osservatore di quanto lo illumini Dio con la luce inaccessibile della sua scelta e del suo impegno.
In genere l’uomo, e ogni singolo in particolare, è un mistero. Come s’è detto, egli emerge dalla natura e la trascende (è rimandato alla natura che deve rendere utilizzabile e ordinata, e insieme è rimandato a Dio con l’obbligo di tentare «semmai possa toccarlo»), ma la sua trascendenza non lo garantisce di trovare la sua meta ultima: essa gli deve andare incontro in libertà.
In se stesso, come dicevano i greci, l’uomo è la linea di demarcazione fra Dio e il mondo e deve inserire il «di qua» (Diesseitige) nel suo proprio andar oltre. Deve cioè addossare a se stesso il mondo senza conoscere da se stesso la meta verso la quale deve indirizzarsi.
La colpa e la morte rendono ancor più fonde le tenebre della contraddizione. L’uomo non può né rinchiudersi nella sua finitezza e mortalità, che sono la sua vita reale, e rimettere il futuro nell’anonimia della specie e della provvidenza, né può fare come se la morte non avesse alcun peso e buttarsi nell’organizzazione tecnica delle cose mondane, per le quali la morte non esercita alcun condizionamento. L’enigma resta così veramente e continuamente sconcertante.
Solo l’impegno di Dio in Gesù Cristo assume globalmente l’uomo: non solo la specie umana, ma il singolo. Tutto è basato sul valore infinito della persona scelta, che però non è stata scelta come privata ed esclusivamente per se stessa ma per gli altri, per quei fratelli che non sono ancora stati scelti: «Andate, dunque, e fate miei discepoli tutti i popoli» (Matteo 28, 19), «Va’ dai miei fratelli e di’ loro: ascendo al Padre mio e Padre vostro» (Giovanni 20, 17), «Va’ a casa tua presso i tuoi e annunzia loro quanto ha fatto il Signore per te, e come ha avuto pietà di te» (Marco 5, 19).
Scelta è personalizzazione e insieme espropriazione della persona a favore degli altri, come ci spiega Paolo nella sua grandiosa teologia della storia sul rapporto tra giudei e pagani. Solo l’impegno di Dio in Cristo difatti assume interamente anche la finitezza, il peccato e la morte dell’uomo, senza distanziarsi con sdegno dall’immanenza e dalle sue tragiche obbligazioni per far abitare l’uomo nella sua trascendenza (Jenseits) spirituale, riferendo a sé in tutto il suo senso il fiasco dell’immanenza e ogni sforzo umano, facendone insieme un presupposto per la resurrezione e la salvezza delle «stigmate» nella vita eterna. Sudore e sangue dell’uomo non sono sparsi invano. Dio nel suo libero impegno ricupera tutto nella forma perfetta del mondo.
Pertanto nella «soluzione» che Dio offre all’enigma-uomo sussistono tutte le tensioni, nessun aspetto dell’uomo viene eliminato: Dio è grande abbastanza per mettere al sicuro questo essere aperto e infinito nella propria apertura ancor più immensa.

L'Osservatore Romano