domenica 15 ottobre 2017

15 0ttobre 2017. Santa Messa con Rito di Canonizzazione. Omelia del Papa




Santa Messa con il Rito di Canonizzazione dei Beati Andrea de Soveral, Ambrogio Francesco Ferro, Matteo Moreira e 27 Compagni; Cristoforo, Antonio e Giovanni; Faustino Míguez e Angelo da Acri. Omelia del Santo Padre
Sala stampa della Santa Sede 

[Text: Italiano, Español, English, Français, Português]
"I
Vangelo ci chiede da che parte stare: dalla parte dell’io o dalla parte di Dio? Perché Dio è il contrario dell’egoismo, dell’autoreferenzialità. Egli – ci dice il Vangelo –, davanti ai continui rifiuti che riceve, davanti alle chiusure nei riguardi dei suoi inviti, va avanti, non rimanda la festa. Non si rassegna, ma continua a invitare."
*** 
Alle ore 10.15 di questa mattina, XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, il Santo Padre Francesco ha celebrato sul sagrato della Basilica Vaticana la Santa Messa con il Rito di Canonizzazione dei Beati Andrea de Soveral e Ambrogio Francesco Ferro, sacerdoti diocesani, Matteo Moreira e 27 Compagni martiri; Cristoforo, Antonio e Giovanni, adolescenti martiri; Faustino Míguez, sacerdote professo dell’Ordine dei Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie (Scolopi), Fondatore della Congregazione delle Suore Calasanziane Figlie della Divina Pastora; e Angelo da Acri, sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della celebrazione, dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
Omelia del Santo Padre
La parabola che abbiamo ascoltato ci parla del Regno di Dio come di una festa di nozze (cfr Mt 22,1-14). Protagonista è il figlio del re, lo sposo, nel quale è facile intravedere Gesù. Nella parabola, però, non si parla mai della sposa, ma dei molti invitati, desiderati e attesi: sono loro a vestire l’abito nuziale. 

Quegli invitati siamo noi, tutti noi, perché con ognuno di noi il Signore desidera “celebrare le nozze”. Le nozze inaugurano la comunione di tutta la vita: è quanto Dio desidera con ciascuno di noi. Il nostro rapporto con Lui, allora, non può essere solo quello dei sudditi devoti col re, dei servi fedeli col padrone o degli scolari diligenti col maestro, ma è anzitutto quello della sposa amata con lo sposo. In altre parole, il Signore ci desidera, ci cerca e ci invita, e non si accontenta che noi adempiamo i buoni doveri e osserviamo le sue leggi, ma vuole con noi una vera e propria comunione di vita, un rapporto fatto di dialogo, fiducia e perdono.
Questa è la vita cristiana, una storia d’amore con Dio, dove il Signore prende gratuitamente l’iniziativa e dove nessuno di noi può vantare l’esclusiva dell’invito: nessuno è privilegiato rispetto agli altri, ma ciascuno è privilegiato davanti a Dio. Da questo amore gratuito, tenero e privilegiato nasce e rinasce sempre la vita cristiana. Possiamo chiederci se, almeno una volta al giorno, confessiamo al Signore il nostro amore per Lui; se ci ricordiamo, fra tante parole, di dirgli ogni giorno: “Ti amo Signore. Tu sei la mia vita”. Perché, se si smarrisce l’amore, la vita cristiana diventa sterile, diventa un corpo senz’anima, una morale impossibile, un insieme di princìpi e leggi da far quadrare senza un perché. Invece il Dio della vita attende una risposta di vita, il Signore dell’amore aspetta una risposta d’amore. Rivolgendosi a una Chiesa, nel Libro dell’Apocalisse, Egli fa un rimprovero preciso: «Hai abbandonato il tuo primo amore» (2,4). Ecco il pericolo: una vita cristiana di routine, dove ci si accontenta della “normalità”, senza slancio, senza entusiasmo, e con la memoria corta. Ravviviamo invece la memoria del primo amore: siamo gli amati, gli invitati a nozze, e la nostra vita è un dono, perché ogni giorno è la magnifica opportunità di rispondere all’invito.
Ma il Vangelo ci mette in guardia: l’invito però può essere rifiutato. Molti invitati hanno detto no, perché erano presi dai loro interessi: «non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari», dice il testo (Mt 22,5). Una parola ritorna: proprio; è la chiave per capire il motivo del rifiuto. Gli invitati, infatti, non pensavano che le nozze fossero tristi o noiose, ma semplicemente «non se ne curarono»: erano distolti dai loro interessi, preferivano avere qualcosa piuttosto che mettersi in gioco, come l’amore richiede. Ecco come si prendono le distanze dall’amore, non per cattiveria, ma perché si preferisce il proprio: le sicurezze, l’auto-affermazione, le comodità... Allora ci si sdraia sulle poltrone dei guadagni, dei piaceri, di qualche hobby che fa stare un po’ allegri, ma così si invecchia presto e male, perché si invecchia dentro: quando il cuore non si dilata, si chiude, invecchia. E quando tutto dipende dall’io – da quello che mi va, da quello che mi serve, da quello che voglio – si diventa pure rigidi e cattivi, si reagisce in malo modo per nulla, come gli invitati del Vangelo, che arrivarono a insultare e perfino uccidere (cfr v. 6) quanti portavano l’invito, soltanto perché li scomodavano.
Allora il Vangelo ci chiede da che parte stare: dalla parte dell’io o dalla parte di Dio? Perché Dio è il contrario dell’egoismo, dell’autoreferenzialità. Egli – ci dice il Vangelo –, davanti ai continui rifiuti che riceve, davanti alle chiusure nei riguardi dei suoi inviti, va avanti, non rimanda la festa. Non si rassegna, ma continua a invitare. Di fronte ai “no”, non sbatte la porta, ma include ancora di più. Dio, di fronte alle ingiustizie subite, risponde con un amore più grande. Noi, quando siamo feriti da torti e rifiuti, spesso coviamo insoddisfazione e rancore. Dio, mentre soffre per i nostri “no”, continua invece a rilanciare, va avanti a preparare il bene anche per chi fa il male. Perché così fa l’amore; perché solo così si vince il male. Oggi questo Dio, che non perde mai la speranza, ci coinvolge a fare come Lui, a vivere secondo l’amore vero, a superare la rassegnazione e i capricci del nostro io permaloso e pigro.
C’è un ultimo aspetto che il Vangelo sottolinea: l’abito degli invitati, che è indispensabile. Non basta infatti rispondere una volta all’invito, dire “sì” e basta, ma occorre vestire l’abito, occorre l’abitudine a vivere l’amore ogni giorno. Perché non si può dire: “Signore, Signore” senza vivere e mettere in pratica la volontà di Dio (cfr Mt 7,21). Abbiamo bisogno di rivestirci ogni giorno del suo amore, di rinnovare ogni giorno la scelta di Dio. 
I Santi canonizzati oggi, i tanti Martiri soprattutto, indicano questa via. Essi non hanno detto “sì” all’amore a parole e per un po’, ma con la vita e fino alla fine. Il loro abito quotidiano è stato l’amore di Gesù, quell’amore folle che ci ha amati fino alla fine, che ha lasciato il suo perdono e la sua veste a chi lo crocifiggeva. Anche noi abbiamo ricevuto nel Battesimo la veste bianca, l’abito nuziale per Dio. Chiediamo a Lui, per l’intercessione di questi nostri fratelli e sorelle santi, la grazia di scegliere e indossare ogni giorno quest’abito e di mantenerlo pulito. Come fare? Anzitutto, andando a ricevere senza paura il perdono del Signore: è il passo decisivo per entrare nella sala delle nozze a celebrare la festa dell’amore con Lui.
Traduzione in lingua francese 

La parabole que nous avons entendue nous parle du Royaume de Dieu comme d’une fête de noces (cf. Mt 22, 1-14). Le protagoniste est le fils du roi, l’époux, dans lequel il est facile d’entrevoir Jésus. Dans la parabole, cependant, on ne parle jamais de l’épouse, mais des nombreux invités, désirés et attendus: ce sont eux qui revêtent l’habit nuptial. Ces invités, ce sont nous, nous tous, parce qu’avec chacun de nous le Seigneur désire «célébrer les noces». Les noces inaugurent la communion de toute la vie: c’est tout ce que Dieu désire avec chacun de nous. Alors, notre relation avec lui ne peut être seulement celle des sujets dévoués avec le roi, des serviteurs fidèles avec le patron ou des écoliers appliqués avec le maître, mais c’est surtout celle de l’épouse aimée avec l’époux. En d’autres termes, le Seigneur nous désire, nous cherche et nous invite, et il ne se contente pas que nous accomplissions bien nos devoirs et observions ses lois, mais il veut avec nous une véritable communion de vie, une relation faite de dialogue, de confiance et de pardon.
Voilà la vie chrétienne, une histoire d’amour avec Dieu, où le Seigneur prend gratuitement l’initiative et où aucun de nous ne peut revendiquer l’exclusivité de l’invitation : personne n’est privilégié par rapport aux autres, mais chacun est privilégié devant Dieu. De cet amour gratuit, tendre et privilégié naît et renaît toujours la vie chrétienne. Nous pouvons nous demander si, au moins une fois par jour, nous confessons au Seigneur notre amour pour Lui; si nous nous souvenons, parmi tant de paroles, de lui dire chaque jour: “Je t’aime Seigneur. Tu es ma vie”. Parce que, si l’amour se perd, la vie chrétienne devient stérile, devient un corps sans âme, une morale impossible, un ensemble de principes et de lois à faire cadrer sans un pourquoi. Au contraire, le Dieu de la vie attend une réponse de vie, le Seigneur de l’amour attend une réponse d’amour. S’adressant à une Église, dans le livre de l’Apocalypse, il fait un reproche précis: «Tu as abandonné ton premier amour» (2, 4). Voilà le danger: une vie chrétienne de routine, où on se contente de la “normalité”, sans élan, sans enthousiasme, et avec la mémoire courte. Ravivons au contraire la mémoire du premier amour : nous sommes les bien-aimés, nous sommes les invités aux noces, et notre vie est un don, parce que chaque jour est l’occasion magnifique de répondre à l’invitation.
Mais l’Évangile nous met en garde: l’invitation peut être refusée. Beaucoup d’invités ont dit non, parce qu’ils étaient pris par leurs intérêts: «ils n’en tinrent aucun compte et s’en allèrent, l’un à son champ l’autre à son commerce», dit le texte (Mt 22, 5). Une parole revient: son ; c’est la clé pour comprendre le motif du refus. Les invités, en effet, ne pensait pas que les noces soient tristes ou ennuyeuses, mais simplement «ils n’en tinrent aucun compte»: ils étaient détournés par leurs intérêts, ils préféraient avoir quelque chose plutôt que de se mettre en jeu, comme l’amour le demande. Voilà comment se prennent les distances avec l’amour, non par méchanceté, mais parce qu’on préfère ce qui est à soi: les sécurités, l’auto-affirmation, les commodités… Alors on s’étend sur les fauteuils des gains, des plaisirs, de quelque hobby qui rend un peu joyeux mais ainsi on vieillit vite et mal, parce qu’on vieillit à l’intérieur : quand le coeur ne se dilate pas, il se ferme. Et quand tout dépend du ‘moi’ – de ce qui me va, de ce qui me sert, de ce que je veux – on devient également rigides et méchants, on réagit de mauvaise manière pour un rien, comme les invités de l’Évangile, qui arrivent à insulter et même à tuer (cf. v. 6) tous ceux qui portaient l’invitation, seulement parce qu’ils les incommodaient.
Alors l’Évangile nous demande de quel côté être: du côté du moi ou du côté de Dieu? Parce que Dieu est le contraire de l’égoïsme, de l’auto-référentialité. Lui – nous dit l’Évangile – devant les refus continuels qu’il reçoit, devant les fermetures des regards de ses invités, continue, ne renvoie pas la fête. Il ne se résigne pas, mais il continue d’inviter. Devant les “non”, il ne claque pas la porte, mais il inclut encore davantage. Devant les injustices subies, Dieu répond par un amour encore plus grand. Nous, quand nous sommes blessés par des torts et des refus, nous éprouvons souvent de l’insatisfaction et de la rancoeur. Alors qu’il souffre à cause de nos “non”, Dieu continue au contraire de relancer, il continue de préparer le bien même pour celui qui fait le mal. Parce qu’ainsi fait l’amour; parce que seulement ainsi il vainc le mal. Aujourd’hui, ce Dieu, qui ne perd jamais l’espérance, nous entraîne à faire comme lui, à vivre selon l’amour véritable, à dépasser la résignation et les caprices de notre moi susceptible et paresseux.
Il y a un dernier aspect que l’Évangile souligne: le vêtement des invités est indispensable. Il ne suffit pas en effet de répondre une fois à l’invitation, de dire “oui” et puis c’est tout, mais il faut revêtir l’habit, il faut l’habitude de vivre l’amour chaque jour. Parce qu’on ne peut dire: “Seigneur, Seigneur” sans vivre et mettre en pratique la volonté de Dieu (cf. Mt 7, 21). Nous avons besoin de nous revêtir chaque jour de son amour, de renouveler chaque jour le choix de Dieu. Les Saints canonisés aujourd’hui, les nombreux Martyrs, surtout, indiquent cette voie. Ils n’ont pas dit “oui” à l’amour en paroles et pour un moment, mais par leur vie et jusqu’au bout. Leur habit quotidien a été l’amour de Jésus, cet amour fou qui nous a aimés jusqu’au bout, qui a laissé son pardon et son vêtement à ceux qui le crucifiaient. Nous aussi, nous avons reçu dans le baptême le vêtement blanc, l’habit nuptial de Dieu. Demandons-lui, par l’intercession de ces saints, nos frères et soeurs, la grâce de choisir et d’endosser cet habit chaque jour et de le maintenir propre. Comment faire? Par-dessus tout en allant recevoir sans peur le pardon du Seigneur: c’est le pas décisif pour entrer dans la salle de noces afin de célébrer la fête de l’amour avec Lui.
Traduzione in lingua inglese
The parable we have just heard describes the Kingdom of God as a wedding feast (cf. Mt 22:1-14). The central character is the king’s son, the bridegroom, in whom we can easily see Jesus. The parable makes no mention of the bride, but only of the guests who were invited and expected, and those who wore the wedding garments. We are those guests, because the Lord wants “to celebrate the wedding” with us. The wedding inaugurates a lifelong fellowship, the communion God wants to enjoy with all of us. Our relationship with him, then, has to be more than that of devoted subjects with their king, faithful servants with their master, or dedicated students with their teacher. It is above all the relationship of a beloved bride with her bridegroom. In other words, the Lord wants us, he goes out to seek us and he invites us. For him, it is not enough that we should do our duty and obey his laws. He desires a true communion of life with us, a relationship based on dialogue, trust and forgiveness.
Such is the Christian life, a love story with God. The Lord freely takes the initiative and no one can claim to be the only one invited. No one has a better seat than anyone else, for all enjoy God’s favour. The Christian life is always born and reborn of this tender, special and privileged love. We can ask ourselves if at least once a day we tell the Lord that we love him; if we remember, among everything else we say, to tell him daily, “Lord, I love you; you are my life”. Because once love is lost, the Christian life becomes empty. It becomes a body without a soul, an impossible ethic, a collection of rules and laws to obey for no good reason. The God of life, however, awaits a response of life. The Lord of love awaits a response of love. Speaking to one of the Churches in the Book of Revelation, God makes an explicit reproach: “You have abandoned your first love” (cf. Rev 2:4). This is the danger – a Christian life that becomes routine, content with “normality”, without drive or enthusiasm, and with a short memory. Instead, let us fan into flame the memory of our first love. We are the beloved, the guests at the wedding, and our life is a gift, because every day is a wonderful opportunity to respond to God’s invitation.
The Gospel, however, warns us that the invitation can be refused. Many of the invited guests said no, because they were caught up in their own affairs. “They made light of it and went off, one to his farm, another to his business” (Mt 22:5). Each was concerned with his own affairs; this is the key to understanding why they refused the invitation. The guests did not think that the wedding feast would be dreary or boring; they simply “made light of it”. They were caught up in their own affairs. They were more interested in having something rather than in risking something, as love demands. This is how love grows cold, not out of malice but out of a preference for what is our own: our security, our self-affirmation, our comfort… We settle into the easy chair of profits, pleasures, or a hobby that brings us some happiness. And we end up aging badly and quickly, because we grow old inside. When our hearts do not expand, they become closed in on themselves. When everything depends on me – on what I like, on what serves me best, on what I want – then I become harsh and unbending. I lash out at people for no reason, like the guests in the Gospel, who treated shamefully and ultimately killed (cf. v. 6) those sent to deliver the invitation, simply because they were bothering them.
The Gospel asks us, then, where we stand: with ourselves or with God? Because God is the opposite of selfishness, of self-absorption. The Gospel tells us that, even before constant rejection and indifference on the part of those whom he invites, God does not cancel the wedding feast. He does not give up, but continues to invite. When he hears a “no”, he does not close the door, but broadens the invitation. In the face of wrongs, he responds with an even greater love. When we are hurt by the unfair treatment of others or their rejection, we frequently harbour grudges and resentment. God on the other hand, while hurt by our “no”, tries again; he keeps doing good even for those who do evil. Because this is what love does. Because this is the only way that evil is defeated. Today our God, who never abandons hope, tells us to do what he does, to live in true love, to overcome resignation and the whims of our peevish and lazy selves.
There is one last idea that the Gospel emphasizes: the mandatory garment of the invited guests. It is not enough to respond just once to the invitation, simply to say “yes” and then do nothing else. Day by day, we have to put on the wedding garment, the “habit” of practising love. We cannot say, “Lord, Lord”, without experiencing and putting into practice God’s will (cf. Mt 7:21). We need to put on God’s love and to renew our choice for him daily. The Saints who were canonized today, and especially the many martyrs, point the way. They did not say a fleeting “yes” to love; they said they “yes” with their lives and to the very end. The robe they wore daily was the love of Jesus, that “mad” love that loved us to the end and offered his forgiveness and his robe to those who crucified him. At baptism we received a white robe, the wedding garment for God. Let us ask him, through the intercession of the saints, our brothers and sisters, for the grace to decide daily to put on this garment and to keep it spotless. How can we do this? Above all, by approaching the Lord fearlessly in order to receive his forgiveness. This is the one step that counts, for entering into the wedding hall to celebrate with him the feast of love.
Traduzione in lingua spagnola
La parábola que hemos escuchado nos habla del Reino de Dios como un banquete de bodas (cf. Mt 22,1-14). El protagonista es el hijo del rey, el esposo, en el que resulta fácil entrever a Jesús. En la parábola no se menciona nunca a la esposa, pero sí se habla de muchos invitados, queridos y esperados: son ellos los que llevan el vestido nupcial. Esos invitados somos nosotros, todos nosotros, porque el Señor desea «celebrar las bodas» con cada uno de nosotros. Las bodas inauguran la comunión de toda la vida: esto es lo que Dios desea realizar con cada uno de nosotros. Así pues, nuestra relación con Dios no puede ser sólo como la de los súbditos devotos con el rey, la de los siervos fieles con el amo, o la de los estudiantes diligentes con el maestro, sino, ante todo, como la relación de la esposa amada con el esposo. En otras palabras, el Señor nos desea, nos busca y nos invita, y no se conforma con que cumplamos bien los deberes u observemos sus leyes, sino que quiere que tengamos con él una verdadera comunión de vida, una relación basada en el diálogo, la confianza y el perdón.
Esta es la vida cristiana, una historia de amor con Dios, donde el Señor toma la iniciativa gratuitamente y donde ninguno de nosotros puede vanagloriarse de tener la invitación en exclusiva; ninguno es un privilegiado con respecto de los demás, pero cada uno es un privilegiado ante Dios. De este amor gratuito, tierno y privilegiado nace y renace siempre la vida cristiana. Preguntémonos si, al menos una vez al día, manifestamos al Señor nuestro amor por él; si nos acordamos de decirle cada día, entre tantas palabras: «Te amo Señor. Tú eres mi vida». Porque, si se pierde el amor, la vida cristiana se vuelve estéril, se convierte en un cuerpo sin alma, una moral imposible, un conjunto de principios y leyes que hay que mantener sin saber porqué. En cambio, el Dios de la vida aguarda una respuesta de vida, el Señor del amor espera una respuesta de amor. En el libro del Apocalipsis, se dirige a una Iglesia con un reproche bien preciso: «Has abandonado tu amor primero» (2,4). Este es el peligro: una vida cristiana rutinaria, que se conforma con la «normalidad», sin vitalidad, sin entusiasmo, y con poca memoria. Reavivemos en cambio la memoria del amor primero: somos los amados, los invitados a las bodas, y nuestra vida es un don, porque cada día es una magnífica oportunidad para responder a la invitación.
Pero el Evangelio nos pone en guardia: la invitación puede ser rechazada. Muchos invitados respondieron que no, porque estaban sometidos a sus propios intereses: «Pero ellos no hicieron caso; uno se marchó a sus tierras, otro a sus negocios», dice el texto (Mt 22,5). Una palabra se repite: sus; es la clave para comprender el motivo del rechazo. En realidad, los invitados no pensaban que las bodas fueran tristes o aburridas, sino que sencillamente «no hicieron caso»: estaban ocupados en sus propios intereses, preferían poseer algo en vez de implicarse, como exige el amor. Así es como se da la espalda al amor, no por maldad, sino porque se prefiere lo propio: las seguridades, la autoafirmación, las comodidades… Se prefiere apoltronarse en el sillón de las ganancias, de los placeres, de algún hobby que dé un poco de alegría, pero así se envejece rápido y mal, porque se envejece por dentro; cuando el corazón no se dilata, se cierra. Y cuando todo depende del yo ―de lo que me parece, de lo que me sirve, de lo que quiero― se acaba siendo personas rígidas y malas, se reacciona de mala manera por nada, como los invitados en el Evangelio, que fueron a insultar e incluso a asesinar (cf. v. 6) a quienes llevaban la invitación, sólo porque los incomodaban.
Entonces el Evangelio nos pregunta de qué parte estamos: ¿de la parte del yo o de la parte de Dios? Porque Dios es lo contrario al egoísmo, a la autorreferencialidad. Él –nos dice el Evangelio―, ante los continuos rechazos que recibe, ante la cerrazón hacia sus invitados, sigue adelante, no pospone la fiesta. No se resigna, sino que sigue invitando. Frente a los «no», no da un portazo, sino que incluye aún a más personas. Dios, frente a las injusticias sufridas, responde con un amor más grande. Nosotros, cuando nos sentimos heridos por agravios y rechazos, a menudo nutrimos disgusto y rencor. Dios, en cambio, mientras sufre por nuestros «no», sigue animando, sigue adelante disponiendo el bien, incluso para quien hace el mal. Porque así actúa el amor; porque sólo así se vence el mal. Hoy este Dios, que no pierde nunca la esperanza, nos invita a obrar como él, a vivir con un amor verdadero, a superar la resignación y los caprichos de nuestro yo susceptible y perezoso.
El Evangelio subraya un último aspecto: el vestido de los invitados, que es indispensable. En efecto, no basta con responder una vez a la invitación, decir «sí» y ya está, sino que se necesita vestir un hábito, se necesita el hábito de vivir el amor cada día. Porque no se puede decir «Señor, Señor» y no vivir y poner en práctica la voluntad de Dios (cf. Mt 7,21). Tenemos necesidad de revestirnos cada día de su amor, de renovar cada día la elección de Dios. Los santos hoy canonizados, y sobre todo los mártires, nos señalan este camino. Ellos no han dicho «sí» al amor con palabras y por un poco de tiempo, sino con la vida y hasta el final. Su vestido cotidiano ha sido el amor de Jesús, ese amor de locura con que nos ha amado hasta el extremo, que ha dado su perdón y sus vestiduras a quien lo estaba crucificando. También nosotros hemos recibido en el Bautismo una vestidura blanca, el vestido nupcial para Dios. Pidámosle, por intercesión de estos santos hermanos y hermanas nuestros, la gracia de elegir y llevar cada día este vestido, y de mantenerlo limpio. ¿Cómo hacerlo? Ante todo, acudiendo a recibir el perdón del Señor sin miedo: este es el paso decisivo para entrar en la sala del banquete de bodas y celebrar la fiesta del amor con él.
Traduzione in portoghese
A parábola, que ouvimos, fala-nos do Reino de Deus comparando-o a uma festa de núpcias (Mt 22, 1-14). Protagonista é o filho do rei, o noivo, no qual facilmente se vislumbra Jesus. Na parábola, porém, nunca se fala da noiva, mas de muitos convidados, desejados e esperados: são eles que trazem o vestido nupcial. Tais convidados somos nós, todos nós, porque o Senhor deseja «celebrar as bodas» com cada um de nós. As núpcias inauguram uma comunhão total de vida: é o que Deus deseja ter com cada um de nós. Por isso o nosso relacionamento com Ele não se pode limitar ao dos devotados súbditos com o rei, ao dos servos fiéis com o patrão ou ao dos alunos diligentes com o mestre, mas é, antes de tudo, o relacionamento da noiva amada com o noivo. Por outras palavras, o Senhor deseja-nos, procura-nos e convida-nos, e não se contenta com o nosso bom cumprimento dos deveres e a observância das suas leis, mas quer uma verdadeira e própria comunhão de vida connosco, uma relação feita de diálogo, confiança e perdão.
Esta é a vida cristã, uma história de amor com Deus, na qual quem toma gratuitamente a iniciativa é o Senhor e nenhum de nós pode gloriar-se de ter a exclusividade do convite: ninguém é privilegiado relativamente aos outros, mas cada um é privilegiado diante de Deus. Deste amor gratuito, terno e privilegiado, nasce e renasce incessantemente a vida cristã. Podemos interrogar-nos se, ao menos uma vez por dia, confessamos ao Senhor o amor que Lhe temos; se, entre tantas palavras de cada dia, nos lembramos de Lhe dizer: «Amo-Vos, Senhor. Vós sois a minha vida». Com efeito, se se perde de vista o amor, a vida cristã torna-se estéril, torna-se um corpo sem alma, uma moral impossível, um conjunto de princípios e leis a respeitar sem um porquê. Ao contrário, o Deus da vida espera uma resposta de vida, o Senhor do amor espera uma resposta de amor. No livro do Apocalipse Ele, dirigindo-Se a uma das Igrejas, faz-lhe concretamente esta censura: «Abandonaste o teu primitivo amor» (2, 4). Aqui está o perigo: uma vida cristã rotineira, onde nos contentamos com a «normalidade», sem zelo nem entusiasmo e com a memória curta. Em vez disso, reavivemos a memória do primitivo amor: somos os amados, os convidados para as núpcias, e a nossa vida é um dom, sendo-nos dada em cada dia a magnífica oportunidade de responder ao convite.
Mas o Evangelho adverte-nos: o convite pode ser recusado. Muitos convidados disseram que não, porque estavam presos aos próprios interesses: «eles, sem se importarem – diz o texto –, foram um para o seu campo, outro para o seu negócio» (Mt 22, 5). Uma palavra reaparece: seu; é a chave para entender o motivo da recusa. De facto, os convidados não pensavam que as núpcias fossem tristes ou chatas, mas simplesmente «não se importaram»: viviam distraídos com os seus interesses, preferiam ter qualquer coisa em vez de se comprometer, como o amor exige. Vemos aqui como se afasta do amor, não por malvadez, mas porque se prefere o seu: as seguranças, a autoafirmação, as comodidades... Então reclinamo-nos nas poltronas dos lucros, dos prazeres, de qualquer passatempo que nos faça estar um pouco alegres. Mas deste modo envelhece-se depressa e mal, porque se envelhece dentro: quando o coração não se dilata, fecha-se. E quando tudo fica dependente do próprio eu – daquilo com que concordo, daquilo que me serve, daquilo que pretendo –, tornamo-nos rígidos e maus, reagimos maltratando por nada, como os convidados do Evangelho que chegam ao ponto de insultar e até matar (cf. v. 6) aqueles que levaram o convite, apenas porque os incomodavam.
Assim, o Evangelho pergunta-nos de que parte estamos: da parte do próprio eu ou da parte de Deus? Pois Deus é o oposto do egoísmo, da autorreferencialidade. Como nos diz o Evangelho, perante as contínuas recusas, os fechamentos em relação aos seus convites, Ele prossegue, não adia a festa. Não se resigna, mas continua a convidar. Vendo os «nãos», não fecha a porta, mas inclui ainda mais. Às injustiças sofridas, Deus responde com um amor maior. Nós muitas vezes, quando somos feridos por injustiças e recusas, incubamos ressentimento e rancor. Ao contrário Deus, ao mesmo tempo que sofre com os nossos «nãos», continua a relançar, prossegue na preparação do bem mesmo para quem faz o mal. Porque assim faz o amor; porque só assim se vence o mal. Hoje, este Deus que não perde jamais a esperança, compromete-nos a fazer como Ele, a viver segundo o amor verdadeiro, a superar a resignação e os caprichos de nosso «eu» suscetível e preguiçoso.
Há um último aspeto que o Evangelho destaca: o vestido dos convidados, que é indispensável. Com efeito, não basta responder uma vez ao convite, dizer «sim» e… chega! Mas é preciso vestir o costume próprio, é preciso o hábito do amor vivido cada dia. Porque não se pode dizer «Senhor, Senhor», sem viver e praticar a vontade de Deus (cf. Mt 7, 21). Precisamos de nos revestir cada dia do seu amor, de renovar cada dia a opção de Deus. Os Santos canonizados hoje, sobretudo os numerosos Mártires, indicam-nos esta estrada. Eles não disseram «sim» ao amor com palavras e por um certo tempo, mas com a vida e até ao fim. O seu hábito diário foi o amor de Jesus, aquele amor louco que nos amou até ao fim, que deixou o seu perdão e as suas vestes a quem O crucificava. Também nós recebemos no Batismo a veste branca, o vestido nupcial para Deus. Peçamos a Ele, pela intercessão destes nossos irmãos e irmãs santos, a graça de optar por trazer cada dia esta veste e de a manter branca. Como consegui-lo? Antes de mais nada, indo sem medo receber o perdão do Senhor: é o passo decisivo para entrar na sala das núpcias e celebrar a festa do amor com Ele