venerdì 13 ottobre 2017

15 ottobre 2017. XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno A. Ambientale, commento e lectio divina.




Nella XXVIII Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo (Mt 22,1-14) in cui Gesù racconta la parabola degli invitati alle nozze...
Dio invita tutti alle nozze eterne di suo Figlio Gesù Cristo che vuole unirsi alla sua sposa, la Chiesa, cioè, l’insieme dei peccatori che si sono lasciati corteggiare dalla sua misericordia e acconsentendo al suo amore si sono rivestiti delle vesti della salvezza, sono stati adornati della divinità dello Sposo. Questo invito a nozze è il cuore  della storia, si dipana lungo tutta la storia dell’umanità e raggiungerà il suo scopo quando lo Sposo ritornerà fedelmente alla fine dei tempi. Ma fin d’ora il banchetto è inaugurato sulla terra, gli antipasti cominciano a distribuirsi e s’innalzano i calici per il brindisi da parte di coloro che hanno già aderito. Alcuni, però, si disinteressano dell’invito, ritenendolo non importante e preferiscono le loro effimere occupazioni, altri, addirittura, uccidono i latori dell’annuncio. Certuni, invece, partecipano al banchetto, ma credendolo una festicciola non si curano dell’abito adatto. Quest’invito alle nozze è per noi, oggi, vestiamoci adeguatamente per le nozze, rivestendo l’uomo nuovo nello Spirito Santo, servendoci e perdonandoci a vicenda, indossiamo il lino splendente dell’obbedienza ed Egli toglierà ogni macchia e ruga per la festa. Così collaboreremo a nostra volta alla salvezza eterna evangelizzando nelle strade e nelle piazze, perché nessuno rischi l’eterna solitudine. (Sanfilippo)
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MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 129,3-4
Se consideri le nostre colpe, Signore,
chi potrà resistere?
Ma presso di te è il perdono,
o Dio di Israele.
 


Colletta

Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché, sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai di operare il bene. Per il nostro Signore...


Oppure:
O Padre, che inviti il mondo intero alle nozze del tuo Figlio, donaci la sapienza del tuo Spirito, perché possiamo testimoniare qual è la speranza della nostra chiamata, e nessun uomo abbia mai a rifiutare il banchetto della vita eterna o a entrarvi senza l'abito nuziale. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Is 25,6-10a
Il Signore preparerà un banchetto, e asciugherà le lacrime su ogni volto.

Dal libro del profeta Isaìa
Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».


Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 22
Abiterò per sempre nella casa del Signore.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
 

Seconda Lettura
  Fil 4,12-14.19-20
Tutto posso in colui che mi dà forza. 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai FilippésiFratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni.
Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.
Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.


Canto al Vangelo
  Cfr Ef 1,17-18
Alleluia, alleluia.

Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo
illumini gli occhi del nostro cuore
per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.

Alleluia.

   
   
Vangelo  Mt 22,1-14 (Forma breve Mt 22,1-10)
Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

Dal vangelo secondo Matteo
[ In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 
]
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
 
Parola del Signore.

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Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) — 15 ottobre 2017

Sulla soglia di un esodo

“Tutte le genti” sono avvolte da una “coltre” di menzogna. Un “velo” copre la “faccia” di “tutti i popoli”. Così Isaia vedeva le grandi civiltà allora conosciute. Nessuno ha saputo mai insegnare la vera sapienza, cioè a saper vivere nella pace sia “essendo ricco” che “essendo povero”. Da sempre si sono cercate “sazietà” e “abbondanza” per sconfiggere la “fame”.  Ma tralasciando di affrontare l’origine del male, ovvero il peccato, che genera la morte.
E il cuore, oggi è più “indigente” che mai, preda dell’angoscia e della solitudine. Il tuo, il mio. Siamo fragili, i nostri figli sono incapaci di reggere l’urto delle difficoltà. Non “possiamo” nulla. Ed entriamo nella sfiducia, nelle depressioni, nella disperazione. Come Israele in Egitto, schiavo del faraone, costretto a fare mattoni per un altro, sempre di più, senza riposo. 
Ma come nella notte di Pasqua quando Dio scese a liberare il suo Popolo, in ogni generazione la Chiesa è uscita fuori a cercare gli uomini schiavi della paura della morte, inoltrandosi ai “crocicchi” della strade. Questo termine in greco indica la fine delle strade urbane, dove esse sboccano nei campi.
In quegli incroci si sedevano i poveri, gli zoppi, gli impuri a chiedere l’elemosina. Proprio come ciascuno di noi. Non ti ha incontrato il Signore proprio lì, agli “di-exodos” della tua storia, sulla soglia di un esodo che avresti voluto iniziare ma non ne avevi la forza? Gli “apostoli” del Signore ci hanno “chiamato” proprio mentre, come il cieco disteso ai crocicchi di Gerico, chiedevamo in elemosina brandelli di vita e felicità, senza riuscire a saziarci.
Non eravamo “degni” di tanto amore. Non facevamo parte della corte del Re; tra di noi nessun dignitario, parente o amico. Eppure è accaduto che la chiamata giungesse proprio a te e a me: “non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto, è debole, è ignobile, – letteralmente di natali incerti, i figli abbandonati – e disprezzato e ciò che è nulla”.
E siamo entrati nella Chiesa, anche perché qualcuno che era “degno” di esserci ha rinunciato. E’ un mistero grande quello della “chiamata”. Essa esprime l’amore infinito e incondizionato di Dio per tutti, “buoni e cattivi”. Ma è un “work in progress”, non garantisce di potersi sedere al banchetto di nozze.
E infatti, proprio quelli che ne avevano diritto per censo o per posizione sociale o per amicizia, non vi sono entrati. Perché mai hanno rifiutato l’invito del Re di partecipare a un avvenimento così importante?
In essi vi era una indifferenza colpevole, che in alcuni si è trasformata in violenza assassina. Segni di una ribellione verso l’autorità del Re, indizi di un golpe che covavano in un cuore indurito nell’incredulità: “il dio di questo mondo aveva accecato la mente incredula, perché non vedessero lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio”. Un “velo” di orgoglio serrava i loro occhi sull’amore di Dio, impedendo la maturazione della chiamata, che consisteva proprio nell’accogliere l’invito a partecipare alla gioia intima del Re.
“Tutto era pronto”, il Messia era arrivato, ed era quel Figlio che li attendeva alle nozze. Dio aveva ormai compiuto in Lui ogni “sacrificio” per “preparare” il loro cuore alla salvezza. Bastava accogliere Gesù. Ma Israele “non ricercava la giustizia dalla fede, ma come se derivasse dalle opere”.
Avevano da lavorare nei “campi” e “curare i propri affari”, come potevano curarsi di quel Figlio e delle sue nozze? Così hanno perduto la “dignità”, perché “chi non odia suo padre, sua madre, i suoi fratelli e perfino la propria vita non è degno di Gesù”.
Accadeva loro come alle città che avevano rifiutato l’annuncio dei discepoli inviati da Gesù, destinate a una sorte peggiore di quella di Sodoma, immagine di chi non accoglie gli inviati di Dio: finire distrutti tra le “fiamme”, perché “la malizia uccide l’empio”.
Ma un cuore perverso può celarsi anche in quanti sono stati “raccolti” per “riempire la sala di commensali”. Non basta essere entrati nella Chiesa. La parabola di oggi è anche una sintesi di ecclesiologia. E ci aiuta a comprendere molto di quanto si sta discutendo al Sinodo sulla Famiglia.
La Chiesa accoglie tutti, ma per adempiere alla missione che le ha dato il Signore, di essere cioè un sacramento di salvezza. Dio “chiama” misteriosamente senza tener conto delle qualità morali. Ma “chiama” perché i “chiamati” siano formati e trasformati in “eletti”, perché diventino “sale, luce e lievito” per il mondo. Nella libertà di ciascuno: per questo “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”.
Vi è in questa affermazione di Gesù l’eco del cammino che conduceva i catecumeni al battesimo. La “chiamata” aveva rivelato in essi la “scelta” di Dio e generato il desiderio della vita di Cristo.
La “chiamata” aveva però bisogno di farsi carne trasfigurata, candida come la “veste battesimale” lavata nel sangue di Cristo, immagine della nuova natura ricevuta nel catecumenato e che li rendeva “degni” di partecipare al banchetto di nozze dell’Agnello che li aveva redenti.
L’eucarestia, infatti, era l’ultimo atto dell’iniziazione cristiana: con essa i neofiti erano accolti nell’intimità di Cristo. Attualizzava ciò che il sacramento significava, che cioè si erano uniti indissolubilmente a Cristo: “spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni” e avevano “rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore”.
Come d’uso in Israele ai tempi di Gesù, lo Sposo aveva donato loro il “kittel”, una veste speciale da indossare per il suo matrimonio, intessuta di “sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza”.
Solo rivestiti della “giustizia” di Dio i cristiani possono compiere la loro missione. Essi sono più che invitati. Nel seno materno della Chiesa sono preparati per divenire la Sposa di Cristo! La “veste” immacolata, infatti, significa che sono ormai “alter Christus”, e li rende testimoni della luce pasquale. In ogni pensiero, gesto e parola, incarnano la risurrezione di Cristo: per questo “possono tutto in Colui che dà loro forza”.
E lo annunciano come una Buona Notizia a chi, oggi, ha visto il suo matrimonio sgretolarsi a causa del peccato. Non c’è situazione nella quale Cristo risorto non abbia potere! Non c’è incomprensione, tradimento, chiusura alla vita, che non possa sanare dal profondo.
Per tutti è pronta una veste nuziale, la Grazia del battesimo, come quella del matrimonio o del presbiterato. Ma per riceverla è necessaria una comunità, come le piccole “sinagoghe” nelle quali i “servi” hanno “raccolto” i “chiamati”. Un luogo dove, a poco a poco, lasciarsi togliere il lievito vecchio dell’ipocrisia perché cada il “velo” che impedisce di contemplare con fede lo Sposo, la causa del rifiuto di Israele e di chi, allo stesso modo, indurisce il suo cuore nell’orgoglio.
Non a caso il banchetto nuziale della parabola, avveniva alla fine delle nozze; dopo la liturgia nuziale, si prolungavano, infatti, per sette giorni, nei quali lo sposo e la sposa restavano soli in una stanza per consumare il matrimonio. Alla fine essa usciva finalmente senza “velo”: non doveva più temere il “disonore”, era “degna” dello Sposo, gli apparteneva.
Anche noi, nella comunità cristiana, “a volto scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore”.
Guai allora se, “visitati dal Re”, siamo “trovati senza “l’abito nuziale”. Significherebbe che, nonostante i tanti segni e prodigi compiuti da Dio in nostro favore, non siamo ancora preparati per indossare la “veste di lino fino, splendente e puro”. E forse è proprio così, non appaiono in noi “le opere giuste dei santi”, ma siamo scandalo per il mondo che ha diritto di vedere Cristo riflesso nella vita della sua Sposa.
Ma se il Re ci scopre senza carità, non temiamo! Nonostante tutto siamo ancora suoi “amici”. Non chiudiamoci nell’orgoglio come Giuda, ma “ammutoliamo” umilmente come Giobbe. Cerchiamo un cammino nella Chiesa, accorriamo all’iniziazione cristiana post-battesimale che si inaugura proprio in questo tempo in tante parrocchie; lasciamoci accogliere in una comunità dove siano “legati mani e piedi” del nostro uomo vecchio perché, crocifisso con Cristo, sia “gettato” nella “notte” del sepolcro.
Solo così potremo risorgere con Lui a vita nuova, e ricevere la “veste nuziale”, la Grazia che ci fa cristiani: sposi cristiani, genitori cristiani, preti cristiani, vittoriosi sul peccato. E’ questa la risposta della Chiesa ai gravi problemi in discussione al Sinodo: la comunità cristiana che cammina nella fede per far riscoprire ai cristiani il proprio battesimo. Esso è la fonte alla quale tornare e attingere perché la vita eterna zampilli ogni giorno e risani e ricrei quello che il demonio vorrebbe distruggere.

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Lectio divina sulle letture della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) — 15 ottobre 2017

di Francesco Follo (*)

 1. Bastano le feste umane?
Come la parabola dei vignaioli e quella dei figli invitati a lavorare nella vigna del Signore, così la parabola di oggi che racconta dell’invito del Re per partecipare al banchetto di nozze del Figlio ci è rivelato il grande desiderio del Padre di averci con Sé. Nelle domeniche precedenti siamo stati invitati a stare con lui e lavorare per lui come “vignaioli” e come figli nella Sua “vigna”. Oggi ci è rivolto l’invito a fare festa con lui partecipando al  Suo banchetto nuziale, che paragona la fede ad un vero incontro “conviviale” divino.
Sorprendentemente questo invito è rifiutato dai primi destinatari.
Perché accade questo rifiuto? Perché quando c’è una festa umana tutti fanno a gara parteciparvi e quando la festa la “organizza” Dio c’è tante gente che rifiuta, come è testimoniato dal fatto che molti non vanno a Messa, non vanno cioè al banchetto domenicale in cui Cristo si fa cibo e bevanda per ciascuno di noi? Molti, purtroppo, credono di non aver bisogno di questa mensa. Se i nostri occhi conoscono solo la ricchezza materiale, alla quale il mondo ci abitua, non riescono a vedere che nel “pezzetto di pane” e nel “sorso di vino”, che ci vengono offerti, si nasconde il Cielo. Si nasconde Dio che si fa nostro cibo per rivestirci della sua stessa divinità.
Dio è generoso verso di noi, ci offre la sua amicizia, i suoi doni, la sua gioia, ma spesso noi non accogliamo le sue parole, mostriamo più interesse per altre cose, mettiamo al primo posto le nostre preoccupazioni materiali, i nostri interessi. L’invito del re incontra addirittura reazioni aggressive.
Perché facciamo così fatica ad accogliere l’invito a partecipare ad un evento di gioia così importante per la nostra vita o, addirittura, reagiamo in modo ostile?
Per orgoglio e perché  si dà la preferenza ai propri interessi, come dice Cristo raccontando che i primi invitati rifiutarono e : “andarono chi ai propri campi, chi ai propri affari”. Lo ha ricordato anche Papa Francesco in un’omelia di alcuni mesi fa: “Dimenticare il passato, non accettare il presente, sfigurare il futuro: questo è quello che fanno le ricchezze e le preoccupazioni”. Sono tanti, troppi, quelli che anche oggi rifiutano l’invito. È la storia della superbia, della autosufficienza umana, che riesce solo a vedere l’angolino del proprio io, illuminato da luci dell’effimero ed incapace di spalancare gli occhi sulla vastità del sole, che è il Regno di Dio.
Ora, più l’uomo è attaccato alle feste umane, meno è disposto ad accogliere un invito che comporta l’abbandono delle feste che hanno sapore dato dalle ricchezze  terrene per dirigersi verso una festa che ha sapore di cielo. Ecco perché Cristo dice: È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli (Mt 19, 24). Il ricco, infatti, crede di poter colmare con le ricchezze l’abisso del suo cuore.  Il povero di spirito crede che Dio e nella sua povertà si riconosce vicino a Dio. Il povero nella sua umiltà è vicino al cuore di Dio, al contrario i ricchi con la loro superbia che contano solo su se stessi. Lo spirito di questi poveri di Dio fa aprire le loro mani vuote non per afferrare o stringere qualcosa o qualcuno, ma per donare e per ricevere la bontà di Dio che dona.
mendicanti di Dio, coloro che non hanno nulla o “sentono” di non aver nulla e, come i santi, non hanno paura a mostrare la loro povertà di spirito, ossia un cuore aperto a Dio e custode vero della terra. A questi poveri non pare vero di poter partecipare al banchetto del Re e “corrono” alla festa per rispondere all’invito.
2) La condizione per partecipare alla festa: avere la veste nuziale.
Dio non frena la sua generosità. Lui non si scoraggia, e manda i suoi servi ad invitare molte altre persone, che la mentalità umana ritiene indegne: i poveri, i disgraziati. Tutti possono entrare, ma c’è una condizione che Gesù pone nella parabola di oggi e pone pure a noi, che in Lui abbiamo fede
Lui esige la veste nuziale, che è la carità, l’amore. “Tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la fede al suo banchetto, ma dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale, la carità, vivere un profondo amore a Dio e al prossimo” (Papa Francesco). E ciò è nel solco dell’insegnamento di San Gregorio Magno che affermava: “Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità” (Homilia 38,9: PL 76,1287). E questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr. ibid.,10: PL 76,1288). Tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la fede al suo banchetto, ma dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale: la carità, che è la misura della nostra fede. Non possiamo separare la preghiera, l’incontro con Dion ei Sacramenti, dalla vicinanza al prossimo e, soprattutto, alla sue ferite
Ma perché Cristo parla della veste nuziale? Perché secondo l’uso in vigore in Israele ai tempi della vita terrena di Gesù, lo Sposo donava agli invitati il “kittel”, una veste speciale da indossare per il suo matrimonio. Bastava che gli invitati l’indossassero prendendola prima di entrare nella sala della festa.
Chiunque arrivava alla soglia della stanza del banchetto riceveva un mantello bianco, un abito di festa donato gratuitamente, che indicava l’aver risposto liberamente “sì” all’invito del re. Anche il vestito di nozze basta accettarlo e indossarlo, non va meritato né comprato.
L’interpretazione spirituale di ciò è che, se si vuole entrare nella festa, occorre mettere una veste intessuta di “sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza”. Solo se ci rivestiamo della carità di Dio possiamo entrare da Lui e vivere in comunione con Lui.
Come il matrimonio, anche la consacrazione verginale è alleanza e festa nuziale, ma stretta con Dio in modo esclusivo ed assoluto, senza la mediazione di un’altra persona. Per questo essa è una primizia vita celeste e rende il religioso o la religiosa già appartenenti al mondo futuro, e fa di essi, per tutti, un “segno escatologico”, un ‘indicazione della meta verso cui l’intera umanità redenta da Cristo è in cammino. 
Lei è infatti la sposa che Lui attira a sé, unendola con un vincolo di amore eterno. Alle vergini consacrate è dato di vivere già durante la vita terrena un anticipo delle nozze eterne e di essere, in certo modo, nel tempo quello che tutti sono chiamati a diventare nell’eternità.
La grazia del matrimonio rende sacra la “vita ordinaria”: trasfigurando l’amore umano, lo orienta ad un fine soprannaturale e lo apre a una dimensione interpersonale che lo libera da quella che potrebbe essere una ricerca egoistica di piacere personale, istintivo e passionale.
La vita consacrata è un carisma “ eccezionale”, nel senso che è come un passo oltre, è come una presa di possesso di una realtà che nella norma è ancora e soltanto una promessa. Non si tratta però di un privilegio che forma delle differenze, ma di una chiamata che impegna ad essere maggiormente, anzi esclusivamente, dediti a Dio e, di conseguenza, al prossimo.
Inoltre la vergine consacrata svolge anche il ruolo di mettere in evidenza il valore dell’amore delle nozze umane. Queste, infatti, benché abbiano un fine terreno ben preciso, sono ultimamente in ordine alle nozze divine per una festa senza fine.
Tra i doni dello Spirito alla santa Chiesa di Dio si deve riconoscere l’Ordo Virginum: “È motivo di gioia e di speranza vedere che torna oggi a fiorire l’antico Ordine delle Vergini, testimoniato nelle comunità cristiane fin dai tempi apostolici. Consacrate dal Vescovo diocesano, esse acquisiscono un particolare vincolo con la Chiesa, al cui servizio si dedicano; pur restando nel mondo, esse costituiscono una speciale immagine escatologica della Sposa celeste e della vita futura, quando finalmente la Chiesa vivrà in pienezza l’amore per Cristo Sposo” (S. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica “Vita Consecrata”, n.7, 25 marzo 1996).
«La castità “per il regno dei cieli” (Mt 19,12) libera in maniera speciale il cuore umano, così da accenderlo sempre più di carità verso Dio e verso tutti gli uomini» (Concilio Vaticano II, Decreto Perfectae caritatis, n. 12).
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Lettura Patristica
San Gregorio Magno (540 – 604)
Hom. 38, 3.5-7.9.11-14
1. Gli inviti di Dio
Il regno dei cieli è simile a un re che fece le nozze per suo figlio” (Mt 22,2)…
Dio Padre fece le nozze per Dio Figlio quando lo congiunse alla natura umana nel grembo della Vergine… Mandò dunque i suoi servi perché invitassero gli amici a queste nozze. Li mandò una volta, e li mandò di nuovo perché fece diventare predicatori dell’incarnazione del Signore prima i profeti, poi gli apostoli. Due volte, dunque, mandò i servi a invitare, infatti, per mezzo dei profeti disse che ci sarebbe stata l’incarnazione dell’Unigenito, e poi per mezzo degli apostoli disse che essa era avvenuta. Ma siccome quelli che erano stati invitati per primi al banchetto di nozze non vollero venire, nel secondo invito si dice: Ecco, ho preparato il mio pranzo, i miei buoi e i miei animali ingrassati sono stati macellati, e tutto è pronto (Mt 22,4)…
E (il Vangelo) continua: “Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari” (Mt 22,5). Andare nel proprio campo è darsi smodatamente alle fatiche terrene; andare ai propri affari è cercare con ogni cura guadagni mondani. Poiché chi è intento alle fatiche terrene e chi è dedito alle azioni di questo mondo finge di non pensare al mistero dell’incarnazione del Signore e di non vivere secondo esso, si rifiuta di venire alle nozze del re come uno che va al campo o agli affari. Spesso anche – e ciò è più grave – alcuni non solo respingono la grazia di colui che chiama, ma la perseguitano. Per questo (il Vangelo) soggiunge: “Altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re, venendo a sapere queste cose, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e dede alle fiamme la loro città (Mt 22,6-7). Uccise gli assassini, perché fece perire i persecutori. Diede alle fiamme la loro città, perché nella fiamma dell’eterna geenna è tormentata non solo la loro anima, ma anche la carne nella quale abitarono…
Ecco che con la stessa qualità dei commensali è detto chiaramente che in queste nozze del re è raffigurata la Chiesa del tempo presente, nella quale si riuniscono insieme ai buoni anche i cattivi. Essa è composta da figli diversi; tutti infatti li genera alla fede, ma non tutti, con un cambiamento di vita, li conduce alla libertà della grazia spirituale, per l’impedimento posto dal peccato. Finché viviamo quaggiù, è necessario che ce ne andiamo mescolati per la via del secolo presente. Saremo separati quando saremo giunti. I soli buoni, infatti, saranno in cielo, e i soli cattivi saranno all’inferno. Ora questa vita che è posta fra il cielo e l’inferno, per il fatto che è in posizione intermedia riceve cittadini da entrambe le parti; tuttavia quelli che ora la santa Chiesa riceve promiscuamente, alla fine del mondo li dividerà. Se dunque siete buoni, mentre restate in questa vita, sopportate pazientemente i cattivi. Infatti chi non sopporta i cattivi, attesta a se stesso di non essere buono a motivo della sua impazienza… 
Chiunque, essendo commensale alle nozze, non ha questa (veste), sia pieno di ansia e di paura quando, all’arrivo del re, verrà gettato fuori. Ecco infatti come vien detto: “Il re entrò per vedere i commensali e vide là un tale che non indossava l’abito nuziale“. Noi, fratelli carissimi, siamo quelli che sono commensali alle nozze del Verbo, avendo già la fede della Chiesa, nutrendoci al banchetto della Sacra Scrittura e godendo che la Chiesa sia unita con Dio. Considerate, vi prego, se siete venuti a queste nozze con la veste nuziale, esaminate attentamente i vostri pensieri. Soppesate i vostri cuori nei particolari, se non avete odio contro nessuno, se nessuna invidia vi infiamma contro la felicità altrui, se non vi studiate di danneggiare nessuno con occulta malizia.
Ecco che il re entra nella sala delle nozze e osserva la veste del nostro cuore, e a chi non trova rivestito di carità subito dice adirato: “Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale?” (Mt 22,12). È cosa degna di nota, fratelli carissimi, il fatto che chiama costui amico e tuttavia lo condanna, come se lo chiamasse amico e nemico allo stesso tempo: amico per la fede, nemico nelle opere. “Ed egli ammutolì (Mt 22,12)“, cioè – e non se ne può parlare senza dolore – nell’ultimo severo giudizio verrà a mancare ogni possibilità di scusa, perché Colui che rimprovera dall’esterno sarà anche voce della coscienza che accusa l’anima dall’interno…
Coloro pertanto che ora si lasciano spontaneamente legare dal vizio, allora saranno controvoglia legati dai tormenti. È giusto poi dire che saranno gettati nelle tenebre esteriori. Noi chiamiamo tenebra interiore la cecità del cuore, e (chiamiamo) invece tenebra esteriore la notte eterna della dannazione. Ogni dannato dunque non viene mandato nelle tenebre interiori ma in quelle esteriori, poiché è gettato controvoglia nella notte della dannazione colui che volontariamente cade nella cecità del cuore. Si dice anche che là sarà pianto e stridor di denti, sì che stridano là i denti di coloro che qui godevano nella voracità, e piangano là gli occhi di coloro che qui si davano a concupiscenze illecite; e così saranno sottoposte a tormenti tutte quelle membra che qui servirono a qualche vizio.
Subito dopo che è stato espulso costui, nel quale è raffigurata tutta la schiera dei malvagi, viene una sentenza generale, che dice: “Molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt 20,16). È tremendo, fratelli carissimi, ciò che abbiamo ascoltato! Ecco che noi, chiamati per mezzo della fede, siamo già venuti alle nozze del re celeste, crediamo e professiamo il mistero della sua incarnazione, ci nutriamo con il cibo del Verbo divino, ma il re deve ancora venire a giudicare. Sappiamo che siamo stati chiamati: non sappiamo però se saremo eletti. Sicché è necessario che tanto più ciascuno di noi si abbassi nell’umiltà in quanto non sa se sarà eletto. Alcuni infatti nemmeno iniziano a fare il bene, altri non perseverano affatto nel bene che avevano iniziato a fare. Uno è stato visto condurre quasi tutta la vita nel peccato, ma verso la fine di essa si converte dal suo peccato attraverso i lamenti di una rigorosa penitenza; un altro sembra condurre già una vita da eletto, e tuttavia verso la fine della sua esistenza gli capita di cadere nella nequizia dell’errore. Uno comincia bene e finisce meglio; un altro si dà alle male azioni fin da piccolo e finisce nelle medesime dopo essere diventato sempre peggiore. Tanto più ciascuno deve temere con sollecitudine, quanto più ignora ciò che lo aspetta, poiché – bisogna dirlo spesso e non dimenticarselo mai – “molti sono chiamati, ma pochi eletti.
Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.