domenica 22 ottobre 2017

Divino rinnovamento



Corsi Alfa. Se la Chiesa è per sua natura missionaria, deve esserlo anche ogni singola parrocchia. Tanto più che, di fronte alla drastica diminuzione del numero dei sacerdoti e al calo dei praticanti, il rinnovamento delle comunità parrocchiali s’impone come una delle questioni cruciali. È quanto mette in evidenza un volume, appena pubblicato in Italia con la prefazione di monsignor Nunzio Galantino, che fotografa l’esperienza pastorale di James Mallon, un giovane sacerdote canadese (Divino rinnovamento. Per una parrocchia missionaria, Padova, Edizioni Messaggero Padova, 2017, pagine 328, euro 24). L’autore, parroco ad Halifax, è noto per aver diffuso i “Corsi Alfa”, una serie di incontri per i cristiani e per coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa.
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(James Mallon) La catechesi centrata sui bambini ha come presupposto una cultura cattolica e una attiva partecipazione alla chiesa. Ma questa cultura cattolica non esiste più nella nostra società e la maggior parte delle famiglie che domandano i sacramenti, non sono membri attivi della parrocchia. Questa nuova realtà significa che, per quanto buoni siano i programmi, il loro valore sarà limitato a meno che non lavoriamo con i genitori dei bambini. Coinvolgere i genitori non può essere un’aggiunta fatta sul modello delle classi scolastiche, ma deve implicare la formazione della fede degli adulti nell’intera parrocchia.
Chiunque di noi abbia preso l’aereo per volare da qualche parte, ha fatto conoscenza con i video di sicurezza che vengono proiettati prima del decollo del velivolo. Questi video mettono sempre in risalto che, nel caso di un calo della pressione, gli adulti devono indossare la propria maschera di ossigeno prima di metterne una sul capo dei propri bambini. Se qualcosa del genere capitasse agli adulti, i bambini sarebbero in difficoltà. Le parrocchie invece si concentrano per lo più sui bambini e trascurano gli adulti. In moltissime parrocchie e diocesi i termini “catechesi” e “istruzione religiosa” significano ciò che si fa per i bambini. La formazione di fede degli adulti rimane troppo spesso una novità che è concessa di tanto in tanto a pochi parrocchiani. Di conseguenza solo raramente gli adulti arrivano alla maturità della fede. E non appena i bambini si accorgono che quanto hanno ricevuto ha poco valore per i propri genitori, anche la loro fede di bambini produce scarsi frutti. Portare gli adulti a maturare la fede è il più grande dono che possiamo fare ai nostri ragazzi.
Nella parrocchia di San Benedetto, e nelle altre in cui ho prestato servizio nel corso degli anni, abbiamo sempre sperimentato ogni settembre la lotta furiosa per trovare un numero sufficiente di catechisti per tutti i livelli di età. Cercando di fornire programmi identici per ogni livello, le nostre risorse diventano troppo esigue e spesso non riusciamo a fare bene nulla. Viene a mancare il centro d’interesse e il lavoro risulta inefficace. Benché ciò possa non essere un problema per parrocchie che possiedono una scuola cattolica, ci sono altre sfide collegate al fatto di operare secondo il modello delle classi scolastiche, specialmente nel mantenere un legame vitale con la parrocchia e la celebrazione dell’eucaristia domenicale. Infine la trasmissione della sola conoscenza, per quanto valido sia il contenuto del programma, non produrrà il risultato che si desidera di “fare discepoli”. Essere discepoli è qualcosa di molto più vasto della catechesi e presuppone che quelli che diventano discepoli siano stati autenticamente evangelizzati. Ricordate le parole del documento di Aparecida del 2007? Ci diceva che se il kerygma o il primo annuncio non viene trasmesso e ricevuto, tutti gli altri passi del processo di fare “discepoli missionari” sono condannati alla sterilità. Tentare di catechizzare famiglie che non sono state evangelizzate è come tentare di piantare dei semi nel cemento. La cosa non funziona. Anche quando lavoriamo con famiglie che sono state evangelizzate, un processo del diventare discepoli deve favorire e incrementare una vera crescita personale non solo nella conoscenza, ma nella maturità di fede, nell’esperienza della preghiera e del discernimento dei doni di ciascuno per «preparare i fratelli a compiere il ministero» (Efesini, 4, 12). La catechesi è un programma prestabilito, con un punto fisso di partenza e uno di arrivo. Invece il diventare discepoli è un modo di vivere.
Parecchi anni fa, in una conferenza internazionale per i direttori degli uffici catechistici, ascoltai suor Edith Prendergast che ci diede un indirizzo chiave. Qualcosa che lei disse mi bloccò di colpo. Era una citazione di Michael Warren: «La catechesi dovrebbe essere occasionale e durare per tutta la vita. Invece l’abbiamo fatta diventare ciclica, con un inizio e una fine». Per me ciò fu uno dei momenti in cui uno dice «Eureka».
La semplicità di questa frase era abbagliante. Perché abbiamo avuto bisogno di far passare i bambini attraverso un ciclo di incontri domenicali oppure di inserirli in classi di istruzione religiosa per nove anni di seguito, per poi bruscamente interrompere tutto, quando conseguivano il diploma della scuola media, pensando che quei ragazzi appena adolescenti fossero formati per il resto della loro vita? Immaginate che ci si possa staccare completamente da un simile modello di programma e che “essere chiesa” sia invece tale programma. Immaginate che ogni parrocchia abbia una cultura del “fare discepoli”, in modo che la formazione di fede sia valorizzata per tutte le persone. Se ciò diventasse un impegno permanente e che dura per tutta la vita, non dovrebbe più essere limitata nel tempo con un inizio e una fine.

L'Osservatore Romano