martedì 24 ottobre 2017

La giustizia che scandalizza.



Oltre il binomio crimine e castigo

(Enzo Bianchi) Anticipiamo una parte della relazione che il fondatore della comunità di Bose tiene a Roma nel pomeriggio del 24 ottobre presso il Consiglio superiore della magistratura nell’ambito dei martedì dell’Associazione Vittorio Bachelet.
Il grande messaggio su giustizia e misericordia è approfondito e rivelato in pienezza nel Nuovo Testamento dalle parole e dai gesti di Gesù di Nazaret. Nella sua vita umanissima egli ha voluto narrarci Dio (exeghésato; cfr. Giovanni 1, 18), il Dio giusto e misericordioso nel quale egli confidava quale figlio dell’alleanza stretta da Dio con i padri di Israele. Possiamo anche constatare che, proprio sul tema della giustizia, richiesta dal suo maestro Giovanni il Battista in vista del giorno del giudizio di Dio (cfr. Matteo 3, 7-12; Luca 3, 7-18), Gesù porta a compimento la Legge e i Profeti.
Non a caso l’evangelista Matteo, che redige il Vangelo in ambiente giudaico, testimonia queste parole di Gesù: «Se la vostra giustizia non supera [o non abbonda più di (perisséuse)] quella di scribi e farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 5, 20). Questo non significa, come purtroppo molti comprendono, che la giustizia degli scribi e dei farisei fosse ipocrita; no, era un adempimento della giustizia prescritto dalla Torah, dalla parola di Dio. Gesù però osa risalire all’intenzione del Legislatore, non si ferma alla norma oggettiva, chiedendone invece un adempimento più radicale e profondo.
Ciò che di peculiare il Vangelo ci testimonia è la misericordia di Gesù superiore a ogni giustizia, intesa come legalità. Per questo egli ha potuto dire: «Non sono venuto a chiamare i giusti (díkaioi) ma i peccatori» (Marco 2, 17 e paralleli). Ma come possiamo riassumere il rapporto tra giustizia e misericordia nella predicazione di Gesù? Soprattutto ricorrendo ad alcune sue affermazioni. 
Innanzitutto Gesù ha affermato che occorre spezzare il rapporto tra delitto e castigo, titolo del celebre romanzo di Fëdor Dostoevskij, che esprime bene un principio a lungo predicato dalla Chiesa. No, al delitto deve seguire la misericordia, «settanta volte sette» (Matteo 18, 22), cioè all’infinito: nei rapporti umani misericordia e perdono devono sempre essere affermati, perché questo è l’atteggiamento di Dio nei nostri confronti. Nella preghiera insegnata ai suoi discepoli Gesù ne fa addirittura la condizione per ricevere misericordia: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori (...) Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Matteo 6, 12.14-15). 
La giustizia di Dio è infatti gratuita e preveniente rispetto alla nostra risposta: gratuita, perché l’amore e la misericordia di Dio non vanno mai meritati; preveniente, perché Dio per primo ci propone la relazione con lui, chiedendoci di accogliere il suo amore prima di rispondergli con il nostro. 
La giustizia non è meritocratica, come insegna la parabola degli operai inviati nella vigna, i quali ricevono tutti lo stesso salario pur non avendo lavorato lo stesso numero di ore (cfr. Matteo 20, 1-16). In questo caso, la legalità non è violata, perché agli operai della prima ora il Signore dà quanto ha con loro pattuito; ma agli ultimi, che senza questa eccezione non avrebbero ricevuto il necessario per vivere insieme alle loro famiglie, vuole dare un salario uguale a quello dei primi. Questa è la giustizia secondo Gesù e il suo Vangelo.
Certo, una tale giustizia scandalizza: ha scandalizzato i contemporanei di Gesù in Galilea in Giudea, e scandalizza ancora oggi. Ma questo è il messaggio che non pretende certo di essere realizzato in modo fondamentalista nella comunità dei credenti, eppure credo che vada accolto con attenzione e facendo discernimento, per vedere se in esso non vi sia un’ispirazione anche per l’affermazione e l’esercizio della giustizia qui e ora, nella pólis.
Nei vangeli vi è una pagina particolarmente scandalosa, a tal punto che ha faticato a lungo a trovare posto nelle Scritture canoniche. La Chiesa d’oriente l’ha ignorata per più di un millennio e la Chiesa latina l’ha conservata, dandole però una collocazione molto tarda (e probabilmente fuori posto) nel capitolo ottavo del quarto vangelo. Solo nel concilio di Trento, dunque a metà del secondo millennio cristiano, questo testo fu chiaramente definito vangelo “canonico”, autentico. Mi riferisco alla famosa pagina dell’incontro di Gesù con la donna sorpresa in flagrante adulterio (cfr. Giovanni 8, 1-11). La Legge era precisa al riguardo e dichiarava, per l’adultero e l’adultera: Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte (Levitico 20, 10).
Quando un uomo verrà trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l’uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele. Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, giace con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete a morte: la fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato, e l’uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così estirperai il male in mezzo a te (Deuteronomio 22, 22-24).
In ossequio a tali norme, una donna (e solo lei!) viene portata a Gesù dai nemici di lui, pii osservanti della Legge. Si servono di lei non come persona ma come un mero caso giuridico per trarre in inganno Gesù, in modo da poterlo accusare come disobbediente e ribelle alla Legge. Sappiamo però che Gesù, pur senza mettersi contro la Torah di Mosè, chiede che quanti sono pronti a lapidare la donna siano senza peccato. Allora costoro lasciano cadere le pietre e se ne vanno. E Gesù dice alla donna: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? (...) Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Giovanni 8, 10-11). Le parole: «Neanch’io ti condanno», sospendono la legge infranta e fanno regnare solo la misericordia. Ecco lo scandalo! Di qui la contestazione di Gesù da parte dei legalisti e degli osservanti: ma allora dove sta la giustizia? E sarà proprio questo aver compreso e annunciato la giustizia di Dio come contenente la misericordia, che porterà Gesù alla condanna e alla morte. Va ribadito con chiarezza: per Gesù il perdono, la misericordia sono una giustizia superiore!
Significativamente l’apostolo Giacomo, convinto, quale discepolo di Gesù, che la misericordia non deve temperare la giustizia, bensì deve temprarla, rendendola capace di affermarsi nella concretezza della vita, scrive: «Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo la legge della libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà fatto misericordia. La misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio» (Giacomo 2, 12-13). Questo, in sintesi, l’essenziale del messaggio di Gesù riguardante giustizia e misericordia.
Siccome il diritto è una creazione umana e può ricevere ispirazioni da ciò che gli umani vivono, credono e sperano, mi auguro che sia possibile l’esercizio di una giustizia misericordiosa, una giustizia che possa ispirarsi alle acquisizioni del pensiero umano, religioso o non religioso.
In tal senso, concludo ricordando una parola decisiva per la Chiesa proferita da Papa Francesco nei giorni scorsi. Facendo memoria del venticinquesimo anniversario dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa cattolica, il Papa ha ammesso che vi è un’evoluzione anche della dottrina cattolica, proponendo perciò di modificare atteggiamenti ed espressioni riguardanti il tema della pena capitale. 
È un mutamento della dottrina al quale deve fare seguito un mutamento anche del diritto canonico. Si tratta di un atto coraggioso, ma che il Papa ha saputo compiere e che sarà tradotto in istituto giuridico. Anche questo gesto può ispirare iniziative di alto profilo da parte del diritto, a uomini e donne del diritto quali voi siete.

L'Osservatore Romano