giovedì 26 ottobre 2017

Mio fratello, il Papa



di Michael Hesemann (Avvenire)


Si intitola 'L’altro Francesco' il volume (Edizioni Cantagalli) che propone un ritratto inedito del Papa attraverso interviste a personalità della Curia Romana e della Chiesa mondiale, parenti e amici del Pontefice. Il libro curato da Deborah Castellano Lubov si apre con la prefazione del cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. Di seguito pubblichiamo ampi stralci dell’intervista di Michael Hesemann a Maria Elena Bergoglio, sorella minore di papa Francesco.
Come ha vissuto l’Habemus papam?
Ero qui a casa con mio figlio, naturalmente avevamo la televisione accesa quando abbiamo visto la fumata bianca. Eravamo alle prese con le faccende quotidiane e intanto ci scambiavamo alcuni commenti nel sentire le storie dei cronisti. Mi era venuto un po’ da sorridere quando hanno parlato della “Stanza delle lacrime”, ma subito dopo ho pensato che l’eletto avrebbe sicuramente pianto nell’immaginare la piazza stracolma di persone che lo attendeva. Come si può non piangere? (In quell’esatto istante gli occhi di Maria Elena si sono velati di lacrime, ndr).
La sola cosa che ho sentito dell’Habemus papam è stata « Georgium Marium », Jorge Mario. Mi sono completamente sfuggiti il cognome e il nome assunto dal nuovo Papa tanto ero sconvolta e scioccata. Subito dopo casa mia è stata presa d’assalto dalle persone, erano tutti felici e il telefono ha continuato a squillare tutto il giorno. Da allora non riesco ancora a capire bene cosa sia accaduto in quel momento. Il giorno dopo le telecamere erano piazzate di fronte a casa mia già dalle sei del mattino. Era tutto così folle e allo stesso tempo meraviglioso! I giornalisti sono stati tutti molto gentili con me, quando ho spalancato la porta e gli sono andata incontro. Sono veramente grata a questi giornalisti per il riguardo e la gentilezza che mi hanno riservato.
Nonostante questo, lei ha visto come si è presentato ai fedeli dalla loggia della Basilica di San Pietro? Che effetto le ha fatto? C’era qualcosa di diverso in lui?
Naturalmente ho visto quando ha messo piede sul balcone, ed era lo stesso di sempre, lo stesso Jorge. Però ho avuto poco tempo di riflettere su queste cose, perché non appena è stato pronunciato il suo nome, casa nostra è stata invasa come da uno sciame di api, il telefono squillava continuamente e tutti ci hanno suonato alla porta: regnava il caos più totale. Quando, finalmente, ho avuto l’occasione di fermarmi a pensare, di riguardare le immagini, ho avuto l’impressione che fosse molto felice in quel momento. Sembrava come se lo Spirito Santo fosse realmente con lui. Credo anche che fosse contento come non mai. Era già vicino alla gente qui in Argentina, ma ora sembra ancora più vicino a loro, ha più possibilità di esprimere i suoi sentimenti e penso che lo Spirito Santo lo stia aiutando. Mi rende molto felice vedere in che modo mio fratello si sia adattato a questo nuovo ruolo (...).
Quali sono i primi ricordi legati a suo fratello?
Jorge Mario era ed è mio fratello e il mio migliore amico. Ha dodici anni più di me, e quindi i miei primi ricordi legati a lui risalgono a un periodo in cui lui era ormai quasi adulto. Era sempre divertente e mi ha molto sostenuto, come si addice a un fratello maggiore. Quando avevo otto anni, se n’è andato via di casa per entrare in Seminario, ma siamo rimasti sempre in contatto. Ci scrivevamo delle lettere, ci telefonavamo. Avevamo una specie di rapporto a distanza, era sempre presente nella mia vita, anche se eravamo lontani e continuerà ad esserlo anche ora.
Com’era da ragazzo suo fratello, che hobby aveva?
Leggeva con piacere e amava il calcio, che era la sua più grande passione. Giocava sempre nella piccola piazza Herminia Brumana all’angolo di casa nostra, su via Membrillar. Amava la musica classica, come del resto tutti noi, ma era un ragazzo normalissimo e con tanti amici. Nella sua giovinezza ascoltava la musica tipica di quegli anni, andava alle feste con i suoi amici e aveva un debole per il ballo.(...)
Tuttavia, in seguito si è ammalato gravemente a causa di una polmonite…
In quel periodo era già in Seminario. Mi ricordo ancora però del grave pericolo che corse e di come stavamo tutti in ansia per lui, perché stava per morire. I medici scoprirono tre cisti nel polmone destro, e furono costretti ad operarlo per rimuovere la metà superiore del polmone. Si era ripreso in fretta ma non poté più partire missionario, perché i suoi superiori non glielo permisero per la salute cagionevole (...).
In che modo suo fratello intende cambiare la Chiesa di Roma?
Molto cose cambieranno. Siamo testimoni di continue novità, come ad esempio il fatto che non abbia scelto come residenza il Palazzo Apostolico. Jorge mi ha confessato che il suo sogno è una Chiesa per i poveri. Questo è l’obiettivo che intende perseguire: una Chiesa libera dalle ricchezze e dai privilegi, con dei pastori che hanno «l’odore delle pecore», che non si isolano, che non si sentono superiori ai fedeli o evitano qualsiasi contatto con loro, pastori che vivono tra la gente e a servizio delle persone. Jorge con i suoi gesti sta introducendo cambiamenti importanti nella Chiesa. Per questo motivo si è rifiutato di indossare le scarpe rosse che, per lui, rappresentano il simbolo della monarchia; il papa è il Servo dei servi di Dio! Occorrerà un po’ di tempo per dare un nuovo volto alla Chiesa, perché occorre un processo lento. Credo che ci saranno cambiamenti nella Curia romana, molti cardinali stanno reagendo ai suoi gesti con uno spirito di emulazione. Jorge comunica attraverso il suo esempio, non solo con le parole.
In Europa ha suscitato molto entusiasmo!
Sono molto contenta dell’accoglienza che ha avuto in Europa. Lui rappresenta una rivoluzione per l’Europa e per il mondo. Chi vuole essere l’artefice di un cambiamento deve prima di tutto cambiare se stesso. Questo accade nella vita di tutti i giorni. Occorre avere fiducia nella misericordia di Dio, perché dietro a quello che fa Jorge come papa c’è Gesù. Non possiamo mai perdere di vista Gesù.
Riuscirà a imporsi?
Non ho alcun dubbio. Ha un carattere forte, anzi, direi fortissimo, crede fermamente nelle cose di cui è convinto, nessuno sarà capace di dissuaderlo. Jorge non riesce a fare dei compromessi quando è convinto di qualcosa. Sarà un buon Papa, perché ne ha la stoffa!
Fino a che punto Jorge Mario Bergoglio potrà essere allora papa Francesco? Sarà capace di tenere duro?
Francesco continua a essere Jorge e porta il Vangelo nel cuore, questo l’aiuterà ad essere un buon Papa. Dobbiamo pregare per lui (...).

Il volume. Il Pontefice nel racconto di chi lo conosce bene

Il libro L’altro Francesco. Tutto quello che non vi hanno mai detto sul Papa (Edizioni Cantagalli, pagine 208, 16 euro), racconta la figura del Pontefice attraverso autorevoli voci di personalità della Curia Romana e della Chiesa cattolica, parenti e amici di Jorge Mario Bergoglio. È curato da Deborah Castellano Lubov corrispondente dal Vaticano per l’edizione inglese di Zenit international news agency. Dalle quattordici interviste di cui si compone il volume, emerge un vivido ritratto del Papa e un variegato ventaglio di punti di vista attorno alle questioni salite con lui alla ribalta dell’attualità, con speciale attenzione al grande tema della dignità dell’uomo. Oltre alla sorella del Pontefice, Maria Elena Bergoglio, parlano i cardinali Kurt Koch, Peter Kodwo Appiah Turkson, Gerhard Ludwig Müller, Wilfrid Fox Napier, George Pell, Timothy Dolan, Charles Maung Bo. E, ancora, gli arcivescovi Georg Gänswein, Joseph Edward Kurtz e Fouad Twal, padre Federico Lombardi, l’orafo Adrian Pallarols e il rabbino Abraham Skorka. La prefazione è del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin.
Avvenire
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Esce il 30 ottobre in Argentina un libro di conversazioni con il Pontefice



Sei capitoli. Esce il 30 ottobre in Argentina Latinoamérica, un libro di quasi duecento pagine che raccoglie le lunghe conversazioni di Papa Francesco con il giovane giornalista uruguyano Hernán Reyes Alcaide, corrispondente da Roma e dal Vaticano dell’agenzia di stampa argentina Télam, che lo presenta in questo articolo scritto per «L’Osservatore Romano». Edito da Planeta, il libro è aperto da uno scritto dell’autore e da una breve introduzione del Pontefice sul ruolo della Chiesa in America latina, dove vivono quasi la metà dei cattolici di tutto il mondo. Le conversazioni con il Pontefice sono suddivise in sei capitoli e completate da sette discorsi che il Papa ha tenuto in Brasile, Ecuador, Bolivia, Paraguay, Cuba, Messico e Colombia. 
(Hernán Reyes Alcaide) La visione di Francesco sull’America latina ma anche uno sguardo sul pontificato visto in prima persona dal primo Papa che viene da quella parte del mondo. È questo in sintesi il filo che lega i quattro incontri con il Pontefice svoltisi l’estate scorsa, tra luglio e agosto, a Santa Marta.
Ma l’idea del libro aveva cominciato a delinearsi più di un anno fa, a bordo dell’aereo papale in volo verso l’Armenia il 24 giugno 2016, quando ho consegnato a Francesco un video sui progressi dei lavori sull’Archivo Alberto Methol Ferré, portati avanti dall’università di Montevideo, in Uruguay, che raccoglie scritti, documenti e la biblioteca personale dello storico rioplatense, uno dei più importanti intellettuali cattolici latinoamericani del Novecento.
Quel breve incontro mi ha fatto ripensare ad alcune dichiarazioni preveggenti di Methol prima del conclave del 2005: «Non è il momento di un papa latinoamericano» aveva detto allora l’intellettuale uruguayano al quotidiano di Buenos Aires «La Nación», per poi aggiungere: «Sono un grande sostenitore di Joseph Ratzinger. Penso che sia l’uomo più indicato per essere Papa in questo momento».
Da quel breve dialogo con il Papa a diecimila metri di quota è nata una prima domanda, che è però rimasta in attesa di risposta: condivideva il cardinale Jorge Mario Bergoglio quell’affermazione del suo amico Methol?
Un secondo detonatore ha accelerato l’iter del libro. Di fatto, l’avvicinarsi del decimo anniversario della quinta Conferenza dell’episcopato latinoamericano che si era tenuta ad Aparecida, in Brasile, nel maggio 2007, è apparso come un’occasione unica per cercare di tracciare un primo bilancio di quell’incontro, dove l’arcivescovo porteño aveva presieduto la commissione incaricata di preparare il documento finale.
Quella conferenza ha avuto una continuità concreta già nei primi mesi del pontificato di Francesco: il documento di Aparecida è stato il libro che hanno ricevuto dalle mani del Papa i primi governanti latinoamericani che gli hanno reso visita in Vaticano nel 2013.
Così, questo decimo anniversario è stata un’occasione per proporre al primo Papa venuto dall’America latina nella storia quasi bimillenaria della Chiesa cattolica di fare una riflessione che includesse la rivisitazione di alcuni aspetti centrali del documento di Aparecida: la missione continentale; la religiosità o pietà popolare; la definizione di continente della speranza, con cui Benedetto XVI si era presentato davanti ai vescovi latinoamericani; le sfide pastorali e la definizione di “esclusi” e “scartati” che si è poi sviluppata fino a diventare parte costitutiva del suo magistero.
Il contesto mondiale della conferenza di Aparecida aveva poco a che vedere con quello attuale in molte parti del pianeta. L’America latina è forse la parte del mondo che da allora ha sperimentato più cambiamenti. La regione si trovava in un ciclo positivo di crescita economica che era la cornice della convivenza di diverse esperienze, ognuna con le sue sfumature, con orientamenti popolari soprattutto in Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, Bolivia. Secondo la Commissione economica per l’America latina e i Caraibi (Cepal), tra il 2003 e il 2007 si è registrata la crescita maggiore del prodotto interno lordo per abitante dagli anni settanta, con quattro anni consecutivi di crescita superiore al 3 per cento annuale. Per il 2017, dopo due anni di recessione nelle economie latinoamericane, lo stesso organismo ha previsto un tasso tre volte inferiore e ha prospettato una crescita economica limitata all’1,1 per cento.
In questo stesso decennio il conclave ha scelto un gesuita latinoamericano come massima autorità dei 1285 milioni di cattolici che vivono nei cinque continenti. Il 49 per cento di questi vive nei paesi latinoamericani, negli Stati Uniti e in Canada dove vivono moltissimi latinos. Le conversazioni con il Pontefice raccolte in questo libro cercano di essere un ponte tra la loro storia e il vescovo di Roma.
All’inizio Latinoamérica ricorda appunto la quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida, che nel 2007 ha segnato in qualche modo, secondo non pochi osservatori, l’inizio concettuale del pontificato. Nei fatti è indubbio e molto rilevante il ruolo svolto in quella conferenza dall’arcivescovo di Buenos Aires.
«Fin dall’inizio Bergoglio ha incoraggiato un’ampia e libera partecipazione. Il linguaggio e gli accenti di Bergoglio sono infatti ovunque, benché il documento sia un’autentica opera collettiva con uno stile eterogeneo e a più mani» ha affermato anni dopo il rettore dell’Università cattolica argentina, Víctor Manuel Fernández.
Nella prima parte del libro Francesco ribadisce le sue critiche al clericalismo. Il Papa parla poi dei preti che ogni giorno lavorano nelle villas argentine, nelle favelas brasiliane e in altri luoghi di esclusione delle grandi città latinoamericane. Il Pontefice riconosce concretamente come gli abitanti dei quartieri poveri del continente sentano quei sacerdoti appartenenti alle loro comunità, poiché vivono come loro condividendo timori, sogni e insicurezze.
Con fermezza, ma con la semplicità del pastore che sa bene quanto sia diffuso il bisogno della parola del Papa, Francesco chiede rispetto e affetto di fronte alle realtà diverse che compongono la Chiesa in America latina.
Nel secondo capitolo entrano in scena vari assi sociali. Così, Francesco esamina con grande attenzione il ruolo delle donne nella Chiesa in quella parte del mondo e indica con precisione la differenza tra la definizione di popolare e populismo nel contesto dell’abuso, molte volte con tono spregiativo, di termini che hanno diversi significati da un lato all’altro dell’Atlantico.
Il Pontefice, senza trascurare la sua preoccupazione per il popolo fedele di Dio, risponde, per esempio, alla domanda sulle sfide pastorali di un fenomeno che Aparecida aveva intravisto e che è aumentato in modo esponenziale: le altissime concentrazioni nelle periferie delle metropoli sudamericane.
Le complesse realtà su cui il Papa risponde non sono poche: per esempio su come parlare ai giovani di oggi che sono, in molte parti del pianeta, persino del cosiddetto primo mondo, emarginati nella droga e nella delinquenza per la mancanza di opportunità.
Nel mondo carcerario, riconosce il coraggio delle donne di fronte agli organismi penitenziari ed evidenzia l’esempio di quei detenuti che attraverso il lavoro riescono a reinserirsi nella società. Visione sociale e visione pastorale s’intrecciano nelle sue parole per sottolineare il bisogno di un orizzonte di speranza per la popolazione carceraria non solo in America latina.
Il diritto al lavoro quale asse centrale del discorso di Francesco, come ha già sostenuto nel corso dell’anno in diverse visite in città italiane, in questa parte del libro diventa un tema centrale. Rivisitando in parte l’esortazione apostolica Evangelii gaudium e aggiungendo nuovi punti di vista, il Pontefice afferma che cercare di offrire una vita dignitosa attraverso l’accesso al lavoro può essere etichettato negativamente solo quando lo si fa a partire da un’ideologia di accentuato, e forse estremo, neoliberalismo.
La conversazione si è poi incentrata su due esperienze nate in America latina e poi diventate assi centrali del suo pontificato: il dialogo tra le religioni e l’ecumenismo. In queste pagine Bergoglio rivela l’origine familiare, nella Buenos Aires dove è nato, cresciuto e maturato, della sua presa di coscienza di questi temi.
Nel quarto capitolo si delinea l’identikit del politico cattolico latinoamericano. In questa parte del libro Francesco si pronuncia su temi come la corruzione, la vicinanza al prossimo, il modo in cui la Chiesa parla ai politici, e fa un appello a favore della democrazia. Il Papa chiede una vita cristiana che finisca col contagiare tutte le attività del politico che si riconosce cattolico e che non si riduca all’andare a messa.
Perché il Pontefice distingue il corrotto dal peccatore? Nella spiegazione il Papa procede in modo dettagliato, con un’ottica teologica che mette il perdono al centro. Le sue considerazioni, che integrano l’appello ai laici, finiscono con un forte invito a custodire appunto la democrazia.
Dopo l’annuncio del sinodo sull’Amazzonia convocato per l’ottobre del 2019, il quinto capitolo si diffonde sulla difesa della biodiversità e, accanto a essa, su un altro asse definito ad Aparecida: la sociodiversità. A che punto sta il continente? La xenofobia sottile, che era stata al centro di una sua omelia nel quartiere della Boca quando era arcivescovo, può portare a ulteriori forme di violenza?
Il Pontefice definisce poi l’enciclica Laudato si’, pubblicata nel 2015 e adottata come tabella di marcia in vari paesi, uno scritto sociale e ricorda la sua origine. Rifiutando, in modo deciso, che la si cataloghi solo come enciclica “verde”.
Le conversazioni si concludono su una serie di temi raggruppati come sfide della regione e a partire dalla regione, dove Bergoglio riflette con uno sguardo pastorale sulle nuove realtà latinoamericane. Francesco coglie anche l’occasione per ricordare alcune figure dimenticate, che hanno invece avuto un ruolo centrale nel cattolicesimo, da san Pietro Claver a Bartolomé de las Casas.
Così, gli accordi di pace in Colombia, dove il Pontefice è stato nello scorso settembre, fanno parte della sua riflessione sulla riconciliazione e sull’amicizia. E dinanzi alle nuove realtà che le migrazioni presuppongono come nuovo fenomeno demografico, Bergoglio spiega che cosa significa dal punto di vista delle sfide pastorali l’aumento della popolazione di origine latina negli Stati Uniti.
Nella parte finale si sofferma sulla figura di Paolo VI, forse il grande ignorato della storia recente. Sottolinea la sua importanza pastorale per l’America latina e l’influenza dell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi pubblicata nel 1975 per il documento di Aparecida e per la stessa Evangelii gaudium.
Conoscitore di un continente che ha visitato cinque volte dalla sua elezione nel conclave del 2013, incontrando in questi anni una ventina di suoi governanti, il Papa è chiaro nell’ammonire contro la mancanza di progetti in quella patria grande di cui ricorda alcuni precursori, come José de San Martín e José Gervasio Artigas.
L'Osservatore Romano

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Bergoglio e i libri di Esther


di Andrea Tornielli (Vatican Insider)

Nello Scavo – nomen omen – è un cronista di razza in servizio al quotidiano cattolico Avvenire, e ha un’innata vocazione a “scavare” nelle vicende umane: non si accontenta della superficie, del detto e ridetto o dei lanci di agenzia. Cerca testimonianze di prima mano, riscontri documentali, fonti certe. Ha faticato non poco negli anni scorsi per la sua poderosa inchiesta sulla cosiddetta “lista Bergoglio”, andando a scovare e convincendo a parlare alcuni (riluttanti) testimoni del periodo della dittatura argentina salvati dall’arresto e con ogni probabilità da torture e morte certa, grazie all’intervento discreto e sotterraneo del gesuita che sarebbe diventato Pontefice. 
  
Non poteva esimersi dall’indagare anche sull’amicizia tra Jorge Mario e Esther Balestrino, sua insegnante al laboratorio di chimica la quale, da madre di famiglia invisa al regime dei militari per le sue idee marxiste, affidò a Bergoglio la sua biblioteca. Lui la nascose e la custodì senza distruggerla, come avrebbe potuto fare anche a motivo del rischio che correva nel conservarla, per restituirla poi ai familiari della donna, nel frattempo desaparecida, uccisa dal regime. È nato così “Bergoglio e i libri di Esther” (Città Nuova, pp.104, € 12,00), un agile volume frutto di un’inchiesta condotta come sempre sul campo da Nello Scavo, che oltre a raccontare la storia della biblioteca nascosta, trova il modo di aggiungere pagine significative su nuovi testimoni “salvati” da Bergoglio. 
  
«L’amicizia tra il futuro papa e la dottoressa che parlava di Marx – scrive l’autore - scoppiò per caso. Erano gli anni Cinquanta. L’Europa puzzava ancora di macerie e di polvere da sparo. La terra promessa era a cinque fusi orari da attraversare a ritroso. 
Jorge Mario Bergoglio incontrò Esther Ballestrino appena dopo il diploma. Il promettente figlio di immigrati italiani stava provando la strada che lo avrebbe potuto portare a una laurea. Esther era medico biochimico farmaceutico. Nel Paraguay degli anni ’40 era stata un’attivista marxista, fondatrice del primo movimento per la difesa dei diritti delle donne e dei lavoratori nelle campagne. Si attirò l’inimicizia di autorità e latifondisti, che poi erano la stessa cosa. Scelse l’esilio in Argentina. Non sarebbe stato il primo. Tra alambicchi, reagenti, microscopi e camici bianchi, Bergoglio non apprendeva solo la cultura del lavoro. Esther era meticolosa, gli faceva ripetere gli esami chimici, ragionava da scienziata: la ragione sostenuta dall’esperienza empirica». 
  
Di Esther, incontrata nel 1953 quando aveva 17 anni, il futuro Papa aveva già parlato nel libro-intervista con Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, “El Jesuita”: «Esther Ballestrino de Careaga, una paraguayana simpatizzante comunista. Le volevo molto bene. Ricordo che quando le portavo i risultati di un’analisi mi diceva: Però, come hai fatto in fretta! E subito dopo mi chiedeva: Ma questo test l’hai fatto? E io le rispondevo che non ce n’era bisogno perché, dopo tutti i test fatti prima, il risultato doveva essere più o meno quello. No, le cose vanno fatte per bene, mi rimproverava lei. Insomma, quello che mi stava dicendo era che il lavoro va sempre preso con molta serietà. Davvero, una grande donna a cui devo molto». 
  
Dopo il golpe del 24 marzo 1976 in Argentina, Esther chiese e ottenne il riconoscimento della condizione di rifugiata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i profughi, ma ciò non impedì che la sua abitazione venisse più volte perquisita e che i suoi familiari venissero arrestati. Il 13 settembre 1976 fu sequestrato il genero Manuel Carlos Cuevas, marito della figlia Mabel; il 13 giugno 1977 venne arrestata la figlia Ana María, di soli 16 anni e incinta di tre mesi, che fu torturata nel centro clandestino di detenzione Club Atlético e liberata solo in ottobre. Del fidanzato, invece, si sono perse le tracce. È uno dei 30mila desaparecidos argentini. 
  
Esther partecipò alle prime riunioni delle Madres de Plaza de Mayo – le donne che, indossando un fazzoletto bianco sul capo, sfilavano per le vie della capitale invocando la liberazione dei propri figli detenuti e scomparsi –, collaborò con i Familiares de Desaparecidos y Detenidos por Razones Políticas e con la Liga Argentina por los Derechos del Hombre. E aderì anche alle riunioni organizzate da un gruppo di giovani militanti della Vanguardia Comunista nella chiesa di Santa Cruz, nel quartiere di San Cristobal a Buenos Aires. Quando la figlia Ana María venne liberata, Esther decise di rifugiarsi con le tre figlie in Brasile e poi in Svezia. Mise al sicuro le figlie ma lei decide di rientrare in Argentina allo scopo di proseguire la propria attività con le Madres de Plaza de Mayo. Venne arrestata e fatta sparire. Invano padre Jorge Mario, come già aveva fatto con tante altre persone, tentò di avere informazioni. 
  
È lo stesso Bergoglio a raccontare che cosa era accaduto prima dell’arresto e della scomparsa della sua insegnante, nel 1978: «Esther una volta mi chiamò e mi chiese: ehi, puoi venire a casa mia, che mia suocera sta male e voglio che tu le dia l’estrema unzione? Mi sembrò strano perché non erano credenti, nonostante la suocera lo fosse; era abbastanza devota, però mi sembrò strano. Quando entrai nell’appartamento, Esther mi rivelò il vero motivo di quell’urgenza. Mi chiese dove potevamo nascondere la biblioteca, perché la tenevano sotto sorveglianza. Le avevano già sequestrato una figlia e poi l’avevano rilasciata. Esther aveva tre figlie». I resti di Esther Ballestrino, vittima della repressione della dittatura militare, sono stati identificati nel luglio 2005. 
  
Il mistero della biblioteca marxista della donna è durato quattro decenni. E quasi per caso è stato risolto durante la visita di Papa Francesco in Paraguay, nel 2015. Alcuni testimoni avevano ipotizzato che Bergoglio, ricorda Nello Scavo, «avesse ragionevolmente distrutto i libri, probabilmente bruciati per far sparire ogni traccia. Un gesto finito addirittura in un frettoloso film italiano sul pontefice. Ma nessuno aveva assistito al rogo: e dunque, mi dicevo, non si può escludere che i libri siano invece stati custoditi in qualche nascondiglio. Se la distruzione di quelle opere sarebbe stata una scelta normale agli occhi di chi ricostruisce quei giorni con lo sguardo dell’oggi, non è detto che sarebbe stato altrettanto logico per chi quell’epoca l’ha vissuta in prima linea. Distruggere i libri, inoltre, rientrava nella simbologia della dittatura». 
  
«Diversi gesuiti del Collegio di San Miguel, mentre svolgevo le ricerche per i miei due libri (La Lista di Bergoglio, pubblicato anche in Argentina dalla Editorial Claretiana; e successivamente I salvati e i sommersi di Bergoglio, uscito in Italia), mi avevano detto – racconta Scavo - che nella biblioteca del collegio erano stati nascosti dei “libri comunisti”. Che si trattassero dei volumi affidati da Esther a padre Jorge era solo un’ipotesi». 
  
Le figlie di Esther sull’argomento hanno sempre glissato. Perché? Perché anche loro, è l’ipotesi dell’autore del libro, avrebbero dovuto rispettare quel tacito patto del silenzio a cui molti tra i salvati da Bergoglio avevano tenuto fede per quasi quattro decenni? Nel 2015, durante la visita in Paraguay, Francesco compie uno dei suoi fuori programma. Se ne accorge il portale web “Terre d’America”, diretto da Alver Metalli, che per primo riferisce dell’incontro ad Asunción tra le figlie di Esther e il Pontefice.