giovedì 19 ottobre 2017

Missione possibile, anzi.... necessaria!

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di Paolo Affatato (Vatican Insider)

Il Vangelo è sempre lo stesso e l’amore di Cristo per l’umanità non muta. Ma la missione della Chiesa cambia. Si confronta con contesti e sfide sempre nuove, dalla secolarizzazione che investe le nazioni dell’Occidente all’ostilità che i cristiani incontrano nei paesi a maggioranza islamica; dalle aree geografiche come l’Amazzonia, dove gli spostamenti sono problematici, fino al rischio di progressiva estinzione della fede per l’invecchiamento del personale ecclesiale. Di fronte a questioni che interpellano nel profondo l’agire della Chiesa, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli – che sovrintende ad oltre mille circoscrizioni cattoliche in Asia, Africa e America Latina – ha una ferma convinzione: «La missione è prima di tutto opera della grazia, cioè di Dio stesso» ed è frutto di discepoli che sono «esodati, cioè de-centrati da sé, perché pongono Cristo al centro della loro vita». La missione della Chiesa, allora, non è il risultato di una perfetta organizzazione strategica, ma «segue la logica di Cristo, la logica del morire per vivere, della rinuncia per amore che dà gioia». In occasione della Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra domenica 22 ottobre, Vatican Insider ha rivolto al cardinale Filoni alcune domande. 

Eminenza, come è cambiata e qual è la missione della Chiesa nel terzo millennio?  
«Oggi si può parlare di una Chiesa in stato permanente di missione. A oltre 50 anni dalla pubblicazione del documento conciliare Ad gentes (1965), il concetto di missionarietà, infatti, è cambiato moltissimo: si è ampliato nell’accezione sociologica e non si riferisce più solo ad alcuni sacerdoti, religiosi e laici, chiamati a recarsi in terre lontane. Ogni battezzato, in virtù del battesimo, è missionario. Inoltre Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium usa il termine “missione” in senso aperto, superando le espressioni, usate nei precedenti documenti pontifici, di “missione ad gentes” o di “nuova evangelizzazione”. Destinatari di tale novità sono tutti i cristiani che, in forza della loro identità di figli di Dio, ricevuta dalla grazia battesimale, sono missionari. Mentre in passato la missionarietà è stata legata alla generosità di pochi “inviati”, nella Evangelii Gaudium si sottolinea che tutta la Chiesa di Dio è “in stato di missione”. E oggi l’azione missionaria diviene il termometro della stessa vitalità e fecondità della Chiesa». 

Cambia l’approccio, ma il contenuto resta il medesimo: può ricordare qual è?  
«Il contenuto della missione è l’amore di Dio per l’uomo, rivelato in Cristo fino alla follia della croce. Pertanto siamo portatori del Vangelo se siamo in conversione continua, se diventiamo discepoli, se costruiamo una Chiesa “in stato di esodo”, non centrata su se stessa, non autoreferenziale, ma pronta a ricercare, come fa il Buon Pastore, non una pecorella smarrita ma le 99 pecorelle che sono fuori dell’ovile. La missione diventa nuova anche per i nuovi areopaghi, per i nuovi scenari che una Chiesa “in uscita” incontra sul suo cammino. Il discepolo è un “esodato”, un de-centrato da sé perché pone Cristo al centro della sua vita e della sua azione missionaria. Altrimenti si cade nella tentazione di una Chiesa che persegue successi e trionfi, che segue la logica del mondo. Cristo ha la sua logica, la logica del morire per vivere, del fallimento per la vittoria, del passaggio obbligato della rinuncia per amore che dà gioia». 

Oggi si assiste anche un movimento missionario in senso inverso, dai paesi di missione verso l’Europa: cosa significa e come interpretarlo?  
«Per comprendere questo movimento, in primis vorrei ricordare che nessuno invia in missione se non Dio solo, coinvolgendoci nella Pasqua del suo Figlio. Nessuno riceve la missione se non chi, nella fede, si scopre egli stesso inviato, coinvolto nell’amore misericordioso che salva e trasforma. Il superamento della distinzione geografica tra “Chiese che inviano” e “Chiese che ricevono” richiede il superamento della inadeguata distinzione tra “azione pastorale” e “missione”. Va detto che nessuna comunità cristiana è costituita definitivamente. Nessuna Chiesa locale è mai perfettamente stabilita. Il Vangelo non è mai completamente annunciato. I nostri cuori non saranno mai pienamente convertiti e salvati, se non nella pienezza della risurrezione. La missione è dunque il cuore della fede perché il movimento dell’amore redentore di Dio non ha mai fine. Ogni Chiesa ha sempre bisogno di rinnovamento, di ringiovanire nel suo cuore, perché ogni suo figlio sarà sempre bisognoso di conversione e della redenzione. La testimonianza evangelica personale rimane fondamentale per la missione. Se la fede consiste nell’incontro personale con Cristo, l’incontro vivo con testimoni di Cristo è cruciale per la missione. E l’attività di animazione missionaria deve facilitare la conoscenza, l’incontro e il coinvolgimento vocazionale con questi testimoni della missione, che a volte sono martiri». 

Se dovesse pensare ad alcune figure di “testimoni”, paradigmatiche per risvegliare la coscienza missionaria, a chi penserebbe?  
«Tra le tante figure di santi e beati, vorrei oggi citare in particolare due figure del XIX secolo, il Curato d’Ars e Paolina-Maria Jaricot: uno sacerdote, l’altra laica; l’uno uomo e l’altra donna; l’uno curato di campagna in un minuscolo villaggio di contadini e pastori, l’altra in relazione con il mondo operaio che andava sviluppandosi. Di Giovanni Maria Vianney apprezziamo il senso della missionarietà nella vita parrocchiale. Si direbbe oggi, in termini cari a Papa Francesco, che è stato un parroco “in uscita”, non chiuso tra le mura della propria chiesetta. Di Paolina-Maria Jaricot, fondatrice della Pontificia Opera per la Propagazione della Fede, vorrei ricordare l’entusiasmo apostolico innovativo e creativo, in quanto laica e pertanto antesignana rispetto ai suoi tempi e rispetto alla Chiesa: la sua opera di evangelizzazione si proiettava verso terre lontane come la Cina, il Pacifico, i Caraibi, dove contribuì a far giungere il Vangelo anche grazie a iniziative come gli aiuti umanitari e la corrispondenza epistolare con i missionari». 

Lei di recente si è recato in Giappone, un contesto dove la missione interpella profondamente una Chiesa che sembra in difficoltà. Cosa può dire al termine di quel viaggio apostolico?  
«Il Giappone rientra tra quei luoghi e quelle nazioni che, per diverse ragioni storiche e culturali, presentano sfide difficili alla missione della Chiesa: se in Giappone vi sono pochissimi cattolici e le vocazioni sacerdotali sono in calo, si può pensare d’altro canto ai paesi a maggioranza islamica, dove la missione è possibile solo fra i tribali; e chi direbbe che, in quella grande democrazia che è l’India moderna, è difficile perfino far entrare un missionario come visitatore? Oppure non si può dimenticare, tra le altre regioni, l’Amazzonia, dove si arriva solo con piccoli aerei e si cammina attraverso i fiumi. Il Papa ha appena annunciato uno speciale Sinodo dei vescovi per la regione panamazzonica, che si terrà a Roma nell’ottobre 2019. Una è la chiave che accomuna questi luoghi: in tutti questi contesti c’è bisogno di sacerdoti, religiosi, religiose e laici che mettano sotto gli occhi dei non cristiani l’identità di Gesù attraverso la propria vita, avvicinando tutti con pazienza e amicizia; e che sperimentino sempre con gratitudine che in tale opera apostolica il lavoro essenziale è compiuto dalla Grazia, cioè da Dio. Anche se talvolta possono esserci persecuzioni, la missionarietà è come un amore travolgente. Non si può controllare, prende e marca tutta la vita. Non c’è razionalità che raffreddi e uccida l’ardore missionario, perchè esso è l’amore stesso di Dio che si irradia verso ogni uomo». 

In cosa consisterà il “mese missionario”, annunciato da Papa Francesco per l’ottobre 2019?  
Il punto di partenza è celebrare il centenario dell’enciclica Maximum Illud di Benedetto XV, la prima delle encicliche missionarie del XX secolo. È un testo tuttora fondamentale per comprendere l’evangelizzazione oggi: allora il Papa richiamava per la prima volta tutta la comunità dei fedeli a sentirsi responsabile della missione, e riconosceva allo stesso tempo i valori presenti nelle religioni mondiali, abbandonando ogni idea di conquista e parlando piuttosto di luoghi e popoli ai quali portare l’annuncio del Vangelo. Il magistero della Chiesa ha poi offerto nuovi contributi come il decreto conciliare Ad gentes, l’esortazione Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, l’enciclica Redemptoris missio di Giovanni Paolo II, fino alla Evangelii gaudium di Papa Francesco. Partendo dalla coscienza e dalla responsabilità missionaria di ogni battezzato, il mese missionario sarà diviso per settimane tematiche e, in ogni parte del mondo, i fedeli saranno chiamati a individuare una peculiare modalità per celebrarlo, con creatività apostolica. Sarà certo un momento di festa e di gioia evangelica per tutta la Chiesa nel mondo».