martedì 31 ottobre 2017

Se la pastorale non ha coraggio

«Da un granello di senape» (Chiesa luterana di San Giovanni a Glendale, California)

 I cristiani «credono davvero» nella «forza dello Spirito Santo» che è in loro? E hanno il coraggio di «gettare il seme», di mettersi in gioco, o si rifugiano in una «pastorale di conservazione» che non lascia che «il Regno di Dio cresca»? Sono le domande poste da Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta martedì 31 ottobre, nella quale ha tracciato un orizzonte di «speranza», per ogni singolo uomo e per la Chiesa come comunità: quello della piena realizzazione del Regno di Dio, che ha due pilastri: la «forza» dirompente dello Spirito e il «coraggio» di lasciar scatenare questa forza.
Lo spunto è giunto al Pontefice dalla lettura del brano evangelico (Luca, 13, 18-21) in cui «sembra che Gesù faccia un po’ di fatica: “Ma come posso spiegare il Regno di Dio? A che cosa lo posso paragonare?”» e utilizza «due esempi semplici della vita quotidiana»: quelli del granello di senape e del lievito. Sono, ha spiegato Francesco, entrambi piccoli, sembrano innoqui, «ma quando entrano in quel movimento, hanno dentro una potenza che esce da se stessi e cresce, va oltre, anche oltre quello che si possa immaginare». Proprio «questo è il mistero del Regno».
La realtà, infatti, è che «il grano ha la potenza dentro, il lievito ha la potenza dentro», e anche «la potenza del Regno di Dio viene da dentro; la forza viene da dentro, il crescere viene da dentro». Non è, ha aggiunto il Papa con un paragone che rimanda all’attualità, «un crescere come per esempio si verifica nel caso di una squadra di calcio quando aumenta il numero dei tifosi e fa più grande la squadra», ma «viene da dentro». Un concetto che, ha aggiunto, viene ripreso da Paolo nella Lettera ai Romani (8, 18-25) in un passo «che è pieno di tensioni», perché «questa crescita del Regno di Dio dal di dentro, dall’interno, è una crescita in tensione».
Ecco allora che l’apostolo spiega: «Quante tensioni ci sono nella nostra vita e dove ci conducono», e dice che «le sofferenze di questa vita non sono paragonabili alla gloria che ci aspetta». Ma anche lo stesso «aspettare», ha detto il Pontefice rileggendo l’epistola, non è un attendere «tranquillo»: Paolo parla «di ardente aspettativa. C’è un’ardente aspettativa in queste tensioni». Inoltre quest’ultima non è solo dell’uomo, ma «anche della creazione» che è «protesa verso la rivelazione dei figli di Dio». Infatti «anche la creazione, come noi, è stata sottoposta alla caducità» e procede nella «speranza che sarà liberata dalla schiavitù della corruzione». Quindi, «è tutta la creazione che dalla caducità esistenziale che percepisce, va proprio alla gloria, alla libertà dalla schiavitù; ci porta alla libertà. E questa creazione — e noi con essa, con la creazione — geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi».
La conclusione di questo ragionamento ha portato il Papa a rilanciare il concetto di «speranza»: l’uomo e la creazione intera posseggono «le primizie dello Spirito», ovvero «la forza interna che ci porta avanti e ci dà la speranza» della «pienezza del Regno di Dio». Perciò l’apostolo Paolo scrive «quella frase che ci insegna tanto: “Nella speranza infatti siamo stati salvati”».
Essa, ha continuato il Pontefice, è un «cammino», è «quella che ci porta alla pienezza, la speranza di uscire da questo carcere, da questa limitazione, da questa schiavitù, da questa corruzione e arrivare alla gloria». Ed è, ha aggiunto, «un dono dello Spirito» che «è dentro di noi e porta a questo: a una cosa grandiosa, a una liberazione, a una grande gloria. E per questo Gesù dice: “Dentro il seme di senape, di quel grano piccolino, c’è una forza che scatena una crescita inimmaginabile”».
Ecco allora la realtà prefigurata dalla parabola: «Dentro di noi e nella creazione — perché andiamo insieme verso la gloria — c’è una forza che scatena: c’è lo Spirito Santo. Che ci dà la speranza». E, ha aggiunto Francesco, «Vivere in speranza è lasciare che queste forze dello Spirito vadano avanti e ci aiutino a crescere verso questa pienezza che ci aspetta nella gloria».
Successivamente, la riflessione del Pontefice ha preso in esame un altro aspetto, perché nella parabola si aggiunge che «il granello di senape viene preso e gettato. Un uomo prese e lo gettò nel giardino» e che anche il lievito non viene lasciato inerme: «una donna prende e mescola». Si capisce cioè che «se il grano non è preso e gettato, se il lievito non è preso dalla donna e mescolato, rimangono lì e quella forza interiore che hanno rimane lì». Allo stesso modo, ha spiegato Francesco, «se noi vogliamo conservare per noi il grano, sarà un grano solo. Se noi non mescoliamo con la vita, con la farina della vita, il lievito, rimarrà solo il lievito». Occorre perciò «gettare, mescolare, quel coraggio della speranza». Che «cresce, perché il Regno di Dio cresce da dentro, non per proselitismo». Cresce «con la forza dello Spirito Santo».
A tale riguardo il Papa ha ricordato che «sempre la Chiesa ha avuto sia il coraggio di prendere e gettare, di prendere e mescolare», sia, anche, «la paura di farlo». E ha notato: «Tante volte noi vediamo che si preferisce una pastorale di conservazione» piuttosto che «lasciare che il Regno cresca». Quando accade così «rimaniamo quelli che siamo, piccolini, lì», forse «stiamo sicuri», ma «il Regno non cresce». Mentre «perché il Regno cresca ci vuole il coraggio: di gettare il granello, di mescolare il lievito».
Qualcuno potrebbe obbiettare: «Se io getto il granello, lo perdo». Ma questa, ha spiegato il Papa, è la realtà di sempre: «Sempre c’è qualche perdita, nel seminare il Regno di Dio. Se io mescolo il lievito mi sporco le mani: grazie a Dio! Guai a quelli che predicano il Regno di Dio con l’illusione di non sporcarsi le mani. Questi sono custodi di musei: preferiscono le cose belle» al «gesto di gettare perché la forza si scateni, di mescolare perché la forza faccia crescere».
Tutto questo è racchiuso nelle parole di Gesù e di Paolo proposte dalla liturgia: la «tensione che va dalla schiavitù del peccato» alla «pienezza della gloria». E la speranza che «non delude» anche se è «piccola come il grano e come il lievito». Qualcuno, ha ricordato il Pontefice, «diceva che è la virtù più umile, è la serva. Ma lì c’è lo Spirito, e dove c’è speranza c’è lo Spirito Santo. Ed è proprio lo Spirito Santo che porta avanti il Regno di Dio». E ha concluso suggerendo ai presenti di ripensare «al granello di senape e al lievito, al gettare e al mescolare» e di domandarsi: «Come va, la mia speranza? È un’illusione? Un “magari”? O ci credo, che lì dentro c’è lo Spirito Santo? Io parlo con lo Spirito Santo?».
L ' Osservatore Romano