giovedì 5 ottobre 2017

Venerdì della XXVI settimana del Tempo Ordinario



Che ho io perché la mia amicizia chiedi?
Che vantaggio ti viene, Gesù mio,
Che alla mia porta, asperso di rugiada,
Passi le notti dell’inverno oscure?

Quanto furono dure le mie viscere
A non aprirti! Che delirio insano,
Se il freddo gelo della mia apatia
Seccò le piaghe alle tue piante pure!

L’angelo, quante volte mi diceva:
“Anima, affacciati ora alla finestra,
Vedrai con quanto amore insiste e chiama!”.

E quante volte, altissima bellezza,
“Domani gli apriremo”, rispondevo,
Per rispondere lo stesso l’indomani!

Lope Feliz De Vega Carpio

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Dal Vangelo secondo Luca 10,13-16

Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, gia da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafarnao, sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai precipitata! 
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato». 

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Dio è da sempre innamorato di noi, la sua opera più «bella». Eppure non ci basta. Soffocati dalla superbia come Lucifero, l'angelo «perfetto in bellezza» che ci ha ingannati, rifiutando il Figlio di Dio precipitiamo anche noi lontano dall'amore di Dio. Così, nella storia di ogni giorno, il molto bello diventa il molto brutto. Corazin e Betsaida sono le nostre storie ricche di miracoli; Cafarnao è la nostra città, dove il Signore abita con noi in chi ci è accanto; rifiutando perversamente il Creatore, le nostre giornate e i nostri luoghi scendono nella morte. Il «disprezzo» della Grazia infatti, conduce sempre a cadere rovinosamente nei peccati. Abbiamo giudicato un fratello, nonostante la Parola e il soffio dello Spirito Santo ci abbiano suggerito di scusare e pensar bene? Siamo già precipitati negli inferi della lussuria. Sidone e Tiro, città pagane lontane da Dio, sono invece immagine di quanti, umiliati dai propri peccati, attendono con ansia un amore che li tratti «meno duramente» della giustizia del mondo. All'annuncio del Vangelo esse si convertirebbero senza indugio accogliendo la misericordia di Dio, perché il suo giudizio d'amore ha inizio proprio con la predicazione. E Dio non si arrende mai, con nessuno. Innamorato perdutamente, con i suoi «guai» profetici ci apre gli occhi sulla «cenere» in cui è ridotta la nostra vita, per suscitare in noi l'umile attesa del suo perdono. Anche ora Gesù è alla porta e bussa, come lo Sposo del Cantico dei cantici. E' coperto della rugiada del mattino, il mantello di misericordia di cui la resurrezione lo ha avvolto. Il Cielo si gioca sulla soglia del cuore. Basta pochissimo, una fessura non più grande della cruna di un agol'umiltà di chi ha già sofferto abbastanza, anche solo il desiderio di desiderarlo, e la nostra vita tornerà ad essere l'opera più bella di Dio, tanto bella da divenire la sua immagine somigliante, Gesù incarnato e annunciato in noi. Sposi per sempre nel suo amore.