martedì 24 ottobre 2017

Verso orizzonti più vasti.

Risultati immagini per Memoria, Coraje Y Esperanza. A la luz del Bicentenario de la Independencia de América Latina

- Introduzione del Papa a un libro di Guzmán Carriquiry
- Patria come paternità e filiazione di Jorge Mario Bergoglio
Due edizioni. È uscita la nuova edizione del libro Memoria, Coraje Y Esperanza. A la luz del Bicentenario de la Independencia de América Latina (Granada, Editorial Nuevo Inicio, 2017, pagine 127) scritto da Guzmán Carriquiry Lecour, segretario incaricato della vice-presidenza della Commissione pontificia per l’America latina. Il volume si apre con la presentazione di Papa Francesco, che pubblichiamo in questa pagina insieme al prologo che il cardinale Jorge Mario Bergoglio scrisse nel 2011 per la prima edizione del libro. La nuova edizione dell’opera verrà presentata il 16 novembre, nell’aula magna della Libera università Maria Santissima Assunta, dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin.
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Verso orizzonti più vasti 
Introduzione del Papa a un libro di Guzmán Carriquiry
Più di sei anni fa ho avuto il piacere di scrivere il prologo di questo bel libro del dottor Guzmán Carriquiry Lecour, firmando come cardinale arcivescovo di Buenos Aires. Ora presento questa nuova edizione come Papa Francesco, vescovo di Roma, venuto dalle viscere della fede, della storia e della vita dei popoli latinoamericani. Ad aprile del 2015 ho confermato l’autore di questo libro, anche lui rioplatense come me, quale segretario incaricato della vice-presidenza della Commissione Pontificia per l’America latina.
Oggi sono lieto di poter accompagnare il rilancio di questo volume, perché il bicentenario dell’indipendenza latinoamericana continua ad avere vigore e risonanza. Non è solo questione di date, perché appena ieri questo evento tanto significativo è stato commemorato soltanto in alcuni paesi dell’America latina, ma s’intravede in un orizzonte vicino la sua commemorazione in Cile, Perú, Brasile e in tutto il Centroamerica. Inoltre, l’incerto cammino dell’indipendenza dei nostri paesi, con i suoi progressi e i suoi regressi, sempre minacciato da diversi tipi di colonialismo, ancora non si è concluso.
Le gesta patriottiche dell’emancipazione americana, come pure, alle nostre origini, le apparizioni di Nostra Signora di Guadalupe nel quadro di un’epopea missionaria e di un meticciato lacerato, sono tra gli eventi fondanti della nostra patria grande latinoamericana. Amore e dolore, morte e speranza li segnano dal più profondo nella vita dei nostri popoli. Sono come un concentrato determinante della storia, della sua bellezza e le sue miserie, di sofferenze e speranze. Bisogna tornare periodicamente ad essi per non restare “orfani di Patria”; sono l’ermeneutica per conservare, rafforzare ed eventualmente recuperare la nostra identità.
Ma c’è anche un altro motivo importante per apprezzare questa nuova edizione. Non è passato inosservato a un attento latinoamericano come il dottor Carriquiry Lecour il fatto che, sei anni fa, l’America latina stava concludendo un ciclo di forte crescita economica in condizioni internazionali favorevoli, che ha visto oltre quaranta milioni di latinoamericani uscire dalla povertà e costituire nuove classi popolari. Una lunga ondata di depressione provocata dalla crisi economica mondiale, unita a catene di corruzione e violenze, ha segnato una transizione fino al momento attuale, in cui l’America latina sembra vivere nell’angoscia e nell’incertezza, con strutture politiche incrinate, con un nuovo incremento della povertà e con un approfondimento degli abissi dell’esclusione sociale per molti. Ci addolora la patria che, di fatto, non accoglie e non custodisce tutti i suoi figli. Aneliamo invece alla patria grande, ma sarà grande solo — si legge nel documento di Aparecida al n. 527 — quando lo sarà per tutti, e con maggiore giustizia ed equità.
Che cosa sta accadendo in America latina? Che cosa è rimasto dell’appellativo “continente della speranza”? Forse ci siamo rassegnati a un pragmatismo di cortissimo respiro in mezzo alla confusione? Ci limitiamo a manovre di cabotaggio senza rotte certe? Siamo tornati a confidare in ideologie che hanno mostrato insuccessi economici e devastazioni umane? Il bicentenario dell’indipendenza è una buona occasione per alzarsi in volo e guardare verso orizzonti più vasti. C’è bisogno di dibattiti seri e appassionati sul nostro passato, presente e futuro. Dobbiamo sviluppare e discutere progetti storici che mirino con realismo a una speranza di vita più degna per le persone, le famiglie e i popoli latinoamericani. Urge poter definire e perseguire grandi obiettivi nazionali e latinoamericani, con consensi forti e mobilitazioni popolari, al di là delle ambizioni e degli interessi mondani, e lontani da manicheismi ed esasperazioni, da avventure pericolose ed esplosioni incontrollabili. Più che adagiarci nell’indifferenza e nell’insignificanza, siamo sfidati a elevare utopie di autentica libertà e liberazione integrale, sostenute da rinnovate “gesta patriottiche” (come conclude bene questo libro).
Perciò, pochi mesi fa, quando a metà del 2016 è stato commemorato il bicentenario dell’indipendenza dell’Argentina, ho scritto un messaggio alla mia amata patria dicendo: «Con il sostegno di questi duecento anni, ci viene chiesto di continuare a camminare, di guardare avanti. A tal fine penso — in modo particolare — agli anziani e ai giovani, e sento il bisogno di chiedere loro aiuto per continuare a camminare verso la nostra meta. Agli anziani, i “memoriosi” della storia chiedo di avere il coraggio di sognare, superando la “cultura dello scarto” che ci viene imposta a livello mondiale. Abbiamo bisogno dei loro sogni, fonte d’ispirazione. Ai giovani chiedo di non mandare in pensione la loro esistenza nel quietismo burocratico in cui li confinano tante proposte prive di speranza e di eroismo. Sono convinto che la nostra patria ha bisogno di rendere viva la profezia di Gioele (cfr. Gioele 4, 1). Solo se i nostri nonni avranno il coraggio di sognare e i nostri giovani di profetizzare grandi cose, la patria potrà essere libera. Abbiamo bisogno di nonni sognatori che spingano i giovani, che — ispirati da quegli stessi sogni — corrano avanti con la creatività della profezia».
Questa stessa creatività della profezia si chiede ai pastori della Chiesa in America latina, al di fuori di qualsiasi clericalismo sradicato e astratto. Nei miei viaggi apostolici in paesi latinoamericani ho potuto ammirare nuovamente le energie di fede e saggezza, di dignità e solidarietà, di gioia e speranza che pulsano nel cuore della nostra gente e animano il suo ethos culturale.
I popoli, specialmente quelli poveri e semplici, conservano le loro buone ragioni per vivere e convivere, per amare e sacrificarsi, per pregare e mantenere viva la speranza. E anche per lottare per grandi cause. Perciò m’interessa riunirmi periodicamente con i movimenti popolari, portavoce della sacrosanta parola d’ordine di “casa, terra e lavoro” per tutti. Per riuscire a farlo, occorre lottare per un nuovo modello di sviluppo sostenibile, equo e rispettoso del creato. E quante sono le opere di misericordia che il recente anno giubilare ha incoraggiato a creare ovunque, rispondendo ai più diversi bisogni, in solidarietà con i poveri e con quanti soffrono! Bisogna sommare e non dividere. Bisogna sommare, sì, le più diverse esperienze che già vive in erba e vigilia questo mondo di fratelli che tutta la vera patria — che è paternità e riflesso della paternità di Dio — anela e manifesta.
Commemorare il bicentenario oggi o serve a raccogliere l’eredità interpellante e le questioni irrisolte che ci ha lasciato l’indipendenza, e ad affrontare tutti i “compiti in sospeso” — come prospetta questo libro — o non serve a nulla; sarebbe soltanto un nuovo motivo di distrazione e di manipolazione folcloristica. Non sprechiamo i grandi eventi della nostra storia.
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Patria come paternità e filiazione
di Jorge Mario Bergoglio
In Una apuesta por América Latina, il suo autore, il dottor Guzmán Carriquiry, si presentava come «uruguayano, rioplatense, mercosuregno, sudamericano, latinoamericano che, per i sentieri infiniti e imprevedibili della Provvidenza, lavora da trent’anni nella Santa Sede, nel centro della cattolicità». Senza dubbio, il suo radicamento e il suo percorso particolari danno motivo, consistenza e proiezione a questo suo nuovo libro, Il bicentenario de la indipendencia de los países latinoamericanos.
L’opera del dottor Guzmán Carriquiry evita, già in partenza, il rischio di trasformarsi in una cronaca di fatti isolati. Il sottotitolo Ayer y hoyinquadra il tema nella dinamica di un processo. Perché l’indipendenza dei paesi latinoamericani non fu un fatto puntuale che si produsse in un momento preciso, bensì un cammino, con ostacoli e involuzioni, un cammino che ancora oggi bisogna seguire procedendo tra diversi conati di nuove forme di colonialismo.
Lo stile dinamico dell’opera, oltre alla narrazione di fatti, comprende uno sforzo interpretativo del processo. In questo aspetto vedo la maggiore ricchezza. Carriquiry, con il suo metodo, entra nel problema dell’ermeneutica con cui vanno affrontati i processi storici e i singoli fatti. In ciò è estremamente originale.
Nei suoi studi sulla critica letteraria, Dámaso Alonso richiamava l’attenzione e segnalava l’importanza che va data alla relazione tra “contenuto” e “contenente”: deve esserci armonia tra loro. È un principio ermeneutico che, applicato all’ambito storico di questo libro, potremmo enunciare semplicemente così: i fatti storici non possono essere compresi e interpretati primariamente con ermeneutiche anacronistiche.
Vittorio Messori, per esempio, nel suo libro sulla leggenda nera americana cerca di mantenere questo principio. I fatti devono essere valutati e compresi dall’ottica dell’epoca in cui sono accaduti. Se ciò avviene, allora sì, in una tappa finale, è gnoseologicamente lecito affrontare l’insieme del processo con elementi del pensiero contemporaneo, ma sempre sulla base delle interpretazioni parziali con l’ermeneutica dell’epoca.
Da questo sforzo critico Carriquiry esce vincente e riesce a presentarci un armonioso processo di fatti e interpretazioni. Pertinente è la citazione che fa di Methol Ferré a pagina 125, dove il geniale pensatore rioplatense menziona lo svuotamento storico delle ideologie a partire dalle quali è stata costruita la variegata serie di ermeneutiche sull’indipendenza dei paesi latinoamericani: dopo le note carenze dei luoghi comuni liberali, abbondarono le interpretazioni ispirate agli ateismi messianici e alle loro utopie “salvazioniste” (che avevano avuto nel marxismo il loro apice ideologico e nel socialismo reale i primi Stati confessionalmente atei della storia) e ora in quella corrente dell’edonismo nichilista in cui sfociano le crisi dei credi ideologici.
L’ateismo edonista, insieme ai suoi “complementi di anima” neo-gnostici, è divenuto paradigma culturale dominante, con proiezione e diffusione globali, convertito in clima del tempo in cui viviamo. Si tratta del nuovo “oppio del popolo”. Nel nostro tempo assistiamo a questo tipo di ermeneutiche ideologiche che, curiosamente, finiscono con l’associarsi configurando il “pensiero unico” basato sul divorzio tra intelligentia e ratio. L’intelligenza è fondamentalmente storica, la ratioè strumentale all’intelligenza ma, quando diventa indipendente, cerca sostegno nell’ideologia o nelle scienze sociali come pilastri autonomi. Il “pensiero unico”, oltre a essere socialmente e politicamente totalitario, ha una struttura gnostica: non è umano; riedita le varie forme di razionalismo assolutista con le quali culturalmente si esprime l’edonismo nichilista a cui fa riferimento Methol Ferré. Campeggia il “teismo spray”, un teismo diffuso, senza incarnazione storica; al massimo creatore dell’ecumenismo massonico. Così nella nostra epoca stanno nascendo le ideologie più diverse, ridotte alla fine a questo gnosticismo teista che, in termini ecclesiali, potremmo definire come “un Dio senza Chiesa, una Chiesa senza Cristo, un Cristo senza popolo”. Se usiamo questa ermeneutica, provochiamo una vera des-carnazione della storia. L’autore, nella sua opera, evita tutte queste proposte e dà un’interpretazione del processo libertario latinoamericano che potremmo definire “cattolica” per il rispetto all’uomo incarnato nella storia dei popoli.
Al “concreto cattolico” s’ispira anche un altro aspetto importante della metodologia di questa opera: il prezzo che i popoli hanno dovuto pagare in nome di una politica indipendentista sradicata dalla realtà. Si può parlare di un concetto d’indipendenza di taglio nominalista che ha ispirato molti capitoli della nostra storia latinoamericana, configurando una sorta di romanticismo libertario. L’autore è acuto nell’analisi di questo problema e critico nella descrizione delle conseguenze che ha comportato per i nostri popoli. Gli inni nazionali spesso sono una dimostrazione di questo nominalismo della libertà, che finisce con l’essere un’idea senza radicamento che sorvola la realtà concreta dei popoli.
In questo libro confluiscono passato, presente e futuro. Non si tratta di un semplice catalogo di fatti del passato, né di un’analisi sociologica del presente, e neppure di una descrizione dell’utopia futura. Si tratta di un libro di storia, di Storia con la maiuscola, dove il protagonista è il popolo, i popoli latinoamericani. Popoli che vivono un presente che esige da loro un impegno con il passato e il futuro: un passato ricevuto per farlo crescere e trasmetterlo a quanti verranno dopo di noi. In una frase arguta qualcuno ha detto che il presente non è solo quello che riceviamo dai nostri genitori ma anche quello che ci prestano i nostri figli affinché poi glielo restituiamo. Un presente ricevuto e prestato allo stesso tempo, ma un presente che è fondamentalmente nostro; farsene carico è fare patria, il che è molto diverso dal costruire un paese o configurare una nazione.
Un paese è lo spazio geografico, la nazione la costituisce l’impalcatura istituzionale. La patria, invece, è quel che abbiamo ricevuto dai genitori e che dobbiamo consegnare ai figli. Un paese può essere mutilato, la nazione si può trasformare (nei dopoguerra del XX secolo abbiamo visto tanti esempi di ciò), ma la patria o mantiene il suo essere fondante o muore; patria è patrimonio, ciò che si è ricevuto e che bisogna consegnare accresciuto, ma non adulterato. Patria è paternità e filiazione... Patria evoca quella scena tragica e piena di speranza di Enea con suo padre sulle spalle la sera della distruzione di Troia: et sublato patre montem petivi. Sì, patria significa sostenere quanto ricevuto, non per metterlo in conserva, bensì per consegnarlo integro nella sua essenza, ma cresciuto nel cammino della storia.
Patria comporta necessariamente una tensione tra la memoria del passato, l’impegno con la realtà del presente e l’utopia che proietta verso il futuro. E questa tensione è concreta, non subisce interventi estranei, non si estrapola nella confusione della realtà presente con la memoria e l’utopia che generano fughe ideologiche sostanzialmente infeconde.
La Chiesa, nel documento finale della v conferenza dell’episcopato latinoamericano, fa sua questa concezione storica dei popoli del continente, consapevole che il “concreto cattolico”, che risponde all’Incarnazione del Verbo, è costitutivo della nostra realtà latinoamericana. Carriquiry comprende molto bene questo approccio e lo plasma con rigore intellettuale nella sua opera che non evita le problematiche e neppure i vari insuccessi vissuti in questi duecento anni; e, proprio perché è cattolico, non dissimula neppure il peccato storico tante volte reiterato in seno ai nostri popoli. Ha il coraggio di guardare più indietro e al di là, verso la promessa di quel meticciato culturale profeticamente plasmato nel volto dai tratti indios di una Madre incinta e nel suo confortante messaggio di vita promissoria per il futuro: «Non sto forse qui io che sono tua Madre?».
L'Osservatore Romano