lunedì 26 febbraio 2018

Chiesa di martiri





Nella serata di sabato 24 febbraio il Colosseo è stato illuminato di rosso, il colore del sangue dei martiri, per ricordare i cristiani discriminati e perseguitati nel mondo per la loro fede. A colorarsi di rosso sono state contemporaneamente anche la chiesa di San Paolo a Mosul e la cattedrale maronita di Sant’Elia ad Aleppo. All’iniziativa, promossa dall’organizzazione Aiuto alla Chiesa che soffre, ha partecipato anche il cardinale segretario di Stato che ha pronunciato il discorso che pubblichiamo integralmente.

 di
Pietro Parolin

Mi sia concesso di rivolgere un ringraziamento alla Fondazione Pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” per aver disposto la presente iniziativa e per l’invito a prendervi parte. Saluto cordialmente tutti i presenti e in modo particolare quanti ci seguono in collegamento da Aleppo e da Mosul. Attraverso loro abbraccio idealmente tutti coloro che, nel Medio Oriente e nel mondo intero, sono provati da sofferenze fisiche e morali e continuano a pagare le conseguenze di conflitti di vario genere, a volte nel silenzio, nell’indifferenza e anche nell’inerzia della comunità internazionale.
Aleppo e Mosul — due luoghi simbolo dell’immane dolore provocato da ideologie fondamentaliste, dall’odio e da interessi geostrategici ed economici — vengono questa sera collegati con un altro simbolo di forte risonanza per i cristiani e per il mondo intero, il Colosseo. Nell’anno 2000 l’Anfiteatro Flavio fu scelto da Giovanni Paolo II per la commemorazione ecumenica dei Testimoni della fede del XX secolo. La testimonianza offerta con lo spargimento del sangue continua tuttora, anche nel nostro tempo, come non manca di ricordare spesso il Santo Padre, affermando che «oggi la Chiesa è Chiesa di martiri».
Questa sera ricordiamo i cristiani perseguitati, senza dimenticare i seguaci di altre religioni, che in differenti parti dell’Oecumene subiscono violenza frutto di odio cieco, e soffrono le conseguenze di gravi violazioni delle loro libertà fondamentali, tra cui primeggia la libertà di religione. Questi nostri fratelli e sorelle sono le prime vittime della propagazione di una mentalità che non riconosce spazio per l’altro, per il diverso, e che preferisce sopprimere anziché integrare tutto ciò che, in qualche modo, sembra mettere in discussione le proprie certezze.
Il rispetto della libertà religiosa non è altro che il riconoscimento della dignità della persona umana. Ieri, invitati da Papa Francesco, abbiamo pregato e digiunato invocando da Dio il dono della pace, soprattutto per la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan e la Siria. Solo tornando a Dio, fonte della dignità di ogni essere umano, possiamo diventare artefici di pace e ricucire i rapporti interpersonali e riaggregare società spezzate dall’odio e dalla violenza. Oggi, presenziamo a questo gesto di sostegno e di vicinanza. Il simbolismo delle immagini che vediamo e che si presenteranno davanti ai nostri occhi tocca le coscienze e scuote dall’indifferenza, diventando un appello alla consapevolezza e all’impegno.
Il recente ritrovamento, in una delle gallerie superiori del Colosseo, di un simbolo cristiano, una piccola croce incastonata tra due lettere di quello che sembra essere un simbolo pagano di forza e di dominazione, ci richiama a un’altra realtà: la potenza salvifica di Cristo che, umile ed inerme agisce nella storia con un linguaggio e con gesti che non conoscono altra espressione se non quella dell’amore. Ricordare questo messaggio salvifico di speranza, che ha toccato anche le nostre vite, è quanto mai necessario.
Oggi più che mai, tanti cristiani in tutto il mondo lo testimoniano, vivendo la dolorosa realtà della sofferenza a causa della loro fede, il prezzo da pagare per testimoniare Cristo, il suo messaggio di amore e di perdono. A loro va la nostra preghiera, il nostro sostegno, la nostra solidarietà e il nostro incoraggiamento. Nei loro confronti si rinnova il nostro impegno spirituale e materiale l’assicurazione di voler intraprendere ogni strada percorribile per favorire la pace, la sicurezza e un futuro migliore, mentre a quanti si impegnano a sovvenire ai bisogni umanitari va il nostro sentito ringraziamento.
Assieme alla nostra solidarietà, sia di conforto ai fratelli la speranza nella potenza salvifica del Signore. Essa non opera alla maniera del mondo, ma di Dio: nell’amore umile che, lasciando ciascuno libero, è disposto a incarnarsi in ogni situazione, ad assumere ogni croce per sostenere, abbracciare e salvare. È la potenza inerme del chicco di grano che morendo porta molto frutto (cfr.Giovanni, 12, 24); è la laboriosa pazienza del minuscolo granello di senape (cfr.Marco 4, 30-32) che, seminato nel campo del mondo, cresce ogni giorno e con i suoi grandi rami offre, a quanti in esso cercano riparo, il conforto e la pace che solo l’amore può dare.

L'Osservatore Romano