giovedì 22 febbraio 2018

La gioia possibile



Pubblichiamo l’introduzione del cardinale arcivescovo di Manila a «Gioia», volume della collana «Le parole di Francesco» che raccoglie in una piccola antologia espressioni e temi cari al Pontefice (Roma, Editrice Ave, 2018, pagine 111, euro 9). 
(Luis Antonio G. Tagle) Fin dai primi giorni del suo ministero petrino, Papa Francesco ha sollecitato i pastori e fedeli a uscire per raggiungere le periferie della società e della Chiesa.
Ognuno è chiamato a impegnarsi nella missione evangelizzatrice della Chiesa secondo i doni ricevuti dallo Spirito santo e secondo il proprio stato di vita. Nella Evangelii gaudium (nn. 20-21) il Papa descrive le periferie come le persone o le comunità bisognose della luce del Vangelo: la periferia non è uno spazio geografico, ma uno spazio umano, coloro che sono stati abbandonati, gli emarginati o qualsiasi persona che abbia bisogno della nostra compagnia paziente. Egli ci invita a prendere l’iniziativa di avvicinarci a loro, di lasciarci coinvolgere nella loro vita e di stare al loro fianco; a ogni passo del proprio cammino la Chiesa evangelizza con gioia, ma come può riempirci di gioia andare verso le periferie, come è possibile?
Quando lasciamo le nostre zone di sicurezza, facciamo esperienza dell’incertezza e della vulnerabilità: quale gioia ci attende quando usciamo e andiamo nella periferia? Si tratta di una particolarissima gioia: una gioia che solo il Vangelo, solo lo spirito del Vangelo può darci. In primo luogo la gioia che scopriamo quando andiamo nella periferia è una gioia missionaria, che si differenzia dalla sensazione di felicità che le persone provano dopo un bel viaggio: la gioia missionaria è quella che provo quando Dio mi manda a incontrare delle persone, a relazionarmi con loro nella speranza che attraverso questo incontro umano il Vangelo sia loro annunziato e che esse possano rispondere con la fede, c’è gioia nell’essere inviati da Dio. Oggi, molti hanno grandi sogni e progetti, sentiamo che quei sogni e progetti sono i nostri, ne rivendichiamo il possesso come beni preziosi, diventano veicoli di orgoglio, ambizione; ma questi sentimenti uccidono la gioia e la pace, seminano diffidenza, gelosia e invidia.
Quando invece usciamo incontro ad altre persone perché siamo inviati da Dio, diventiamo capaci di donare noi stessi, umili e fiduciosi. Non incontriamo le persone per fare carriera o per conquistarle, l’unica cosa che importa è incontrare le persone nel Vangelo, il punto di incontro non è un bar o un teatro: il punto di incontro di due o tre persone è il Vangelo, e quando questo accade in me e nelle persone che incontro c’è gioia; ciò che è necessario è sentire chiaramente che io sono inviato ad altre persone e che il messaggio che porto non è mio ma di Gesù. Le persone che vivono nelle periferie della società soffrono molto, quando vengono manipolate a vantaggio delle superbe ambizioni politiche ed economiche di coloro che hanno influenza e potere; questo non accade e non deve accadere con noi evangelizzatori — noi portiamo alle persone la gioia che abbiamo provato per aver visto, udito e toccato Gesù, la Parola di vita, e il nostro unico desiderio è che anche essi condividano questa gioia.
In secondo luogo: in periferia facciamo esperienza della gioia della comunione e della solidarietà. Le persone che vivono nelle periferie spesso si sentono abbandonate, vengono usate per essere poi dimenticate; in molti credono di non valere nulla, anche quando vivono dentro a spazi affollati si sentono isolati, e alcuni di loro pensano allo stesso modo nei confronti della Chiesa. Un aspetto della gioia missionaria è l’esperienza della solidarietà. Quando siamo in cammino con altre persone nell’umiltà e nel dono di sé, le ferite inferte dalla manipolazione e dall’abbandono cominciano a guarire, le persone nelle periferie ritrovano il senso del loro valore e della loro dignità; esse non sono oggetti, ma persone che possono amare, sognare e contribuire alla società e alla Chiesa ritrovando la gioia; quando io vedo questo in loro, provo una gioia speciale, sacra addirittura, la gioia che afferma la mia fede nella comunione generata dal Vangelo: incontrandoci nel Vangelo scopriamo di essere veri fratelli e sorelle, noi apparteniamo gli uni agli altri come apparteniamo a Dio, nessuno è isolato; per me questa gioia di comunione, di solidarietà, dona alla missione della Chiesa la chiarezza di essere segno e strumento di comunione tra Dio e l’umanità. Mi dà una grande gioia fare esperienza della Chiesa come sacramento di comunione in un modo così semplice e umile in periferia.
In terzo luogo, andando nelle periferie per incontrare persone, ho provato la gioia di imparare da loro. Questa è una gioia speciale per me, perché io insegno teologia e sono abituato a parlare; questa gioia nell’imparare dalle altre persone nella periferia, specialmente dai poveri, è una scuola di spiritualità, non finisco mai di meravigliarmi per la sapienza e intuizione spirituale dei poveri e di coloro che soffrono molto, ma continuano a sperare in Dio. Spesso mi rende più umile trovarmi davanti a questi saggi maestri, a questi tesori nascosti in periferia. Quando incontriamo le persone per condividere il Vangelo, vediamo la luce del Vangelo in loro; mentre portiamo loro la luce del Vangelo vediamo la luce del Vangelo in loro; io considero una gioia e un privilegio ricevere l’insegnamento delle persone delle periferie. Quando vado da loro apro gli occhi, gli orecchi, il cuore per ricevere i semi della parola di Dio che provengono dalle loro sofferenze e gioie; allora comprendo Gesù che pieno di gioia nello Spirito santo esclama: «Io ti rendo lode Padre, Signore del cielo e della terra che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli, sì Padre perché così a te è piaciuto».
Una comunità di quasi ventimila famiglie vivono frugando tra i rifiuti, in una località che si chiama Smoking mountain, nelle Filippine a Manila. Sono poveri che testimoniano la speranza, l’amore reciproco, l’altruismo. Quando ho visitato quel luogo, una bambina si è seduta sulle mie ginocchia e ha giocato con il mio naso, le mie orecchie e mi ha detto: «Assomigli alla persona sulla fotografia vicino alla cappella». Di fatto aveva visto la fotografia dell’arcivescovo in cappella, ma quando io scherzosamente ho risposto che non ero io, quasi in lacrime ha esclamato: «Allora chi è quella persona? Chi sei tu?». Mi aveva riconosciuto perché andava sempre alla cappella, una ragazzina innocente che vive in mezzo ai rifiuti fa spesso visita a Gesù nel santissimo Sacramento e vede la foto dell’arcivescovo, ma coloro che hanno macchina e soldi per pagare il treno, l’autobus, frequentano la cappella, pregano? Questa bambina per me è una maestra di spiritualità.
Ancora una storia. In un campo estivo per i giovani ho tenuto una conferenza e poi li ho invitati a fare delle domande. La prima viene da una giovane ragazza: «Vescovo, vuoi cantare per noi?» Ho risposto subito: «Fai delle domande sensate e poi canterò per te». Seguirono molte domande, poi un ragazzo chiese: «Vuoi adesso cantare per noi?». Li ho invitati a cantare una canzone popolare, dopo il canto sono venuti a chiedere una benedizione, per toccarmi, per chiedere una foto, un autografo. Un anno dopo ho incontrato nuovamente uno di quei giovani a cui avevo autografato la maglietta. Mi ha confidato di non averla lavata: ogni notte la piega e la mette sotto il cuscino. Mi ha spiegato che non vedendo il padre da anni, con quella maglia sa di avere un padre, pensa di avere una famiglia nella Chiesa, questo giovane è un deserto umano nella periferia, in cui il fiore dell’amore comincia a crescere grazie a Gesù e a questi incontri umani semplici. Possiamo mostrare al mondo come la gioia si trovi uscendo dalle nostre zone di sicurezza per andare verso coloro che vivono nelle periferie, con il desiderio di condividere la parola di Dio, di abbattere le pareti dell’isolamento per mezzo della comunione e di imparare dalla sapienza proclamata dalla periferia.

L'Osservatore Romano