lunedì 19 febbraio 2018

Ringraziare Dio per i doni degli altri.



La strada ecumenica tracciata dal Papa 


Gioia e Unità: sono gli ultimi due titoli dell’editrice Ave, che nella collana «Le parole di Francesco» raccoglie in piccole antologie temi ed espressioni care al Pontefice. Interventi da cui emerge la narrazione di un Vangelo amico dell’uomo, i cui frutti sono appunto la gioia e l’unità. La prima antologia è introdotta dall’arcivescovo di Manila, cardinale Luis Antonio G. Tagle. La seconda (Roma, Ave, 2018, pagine 91, euro 9) dal priore della comunità di Taizé, della cui introduzione pubblichiamo ampi stralci.

(Fratel Alois) Nel novembre 2014 il Papa è stato a Istanbul dal suo «carissimo fratello Bartolomeo», come egli chiama Sua Santità il patriarca ecumenico. Parlando nella chiesa patriarcale di San Giorgio, il Papa ha sottolineato l’importanza di ascoltare i giovani: «Sono proprio i giovani — penso ad esempio alle moltitudini di giovani ortodossi, cattolici e protestanti che si incontrano nei raduni internazionali organizzati dalla comunità di Taizé — sono loro che oggi ci sollecitano a fare passi in avanti verso la piena comunione. E ciò non perché essi ignorino il significato delle differenze che ancora ci separano, ma perché sanno vedere oltre, sono capaci di cogliere l’essenziale che già ci unisce».
Si comprende con queste parole quanto il Papa sia attento alla sete d’autenticità che caratterizza le nuove generazioni. Sa che per queste generazioni una parola è credibile solo se corrisponde a un modo di vivere. Quando i cristiani sono separati, ciò che possono dire sull’amore, l’unità, la riconciliazione diventa incomprensibile. Non possiamo trasmettere il messaggio di pace e comunione annunciato da Cristo se non siamo insieme. Ci sono stati momenti nella storia dove, in nome della verità del Vangelo, i cristiani si sono separati. Oggi, in nome della verità del Vangelo, è fondamentale fare tutto il possibile per riconciliarci.
Questo Papa venuto dall’America latina, con la sua semplicità, ha indicato fin dall’inizio del suo ministero quale fosse la fonte del vero rinnovamento nella Chiesa a beneficio di tutti: far vedere Cristo non solo attraverso parole, ma attraverso la vita concreta dei cristiani.
I cristiani potrebbero fare molto per favorire riconciliazioni nel mondo, essi potrebbero diventare fermento di pace nella famiglia umana. Ma un tale impegno è credibile solo se essi stessi vivono tra loro nell’unità visibile. Molti giovani aspirano a questa unità e il Papa desidera che la voce dei giovani venga ascoltata meglio.
Il Papa, come abbiamo visto sopra, ha aggiunto che i giovani chiedono l’unità non perché ignorino le differenze, ma perché sanno guardare oltre, individuando l’essenziale che già unisce. Questa osservazione è profondamente vera. Siamo stupiti nel constatare a Taizé che coloro che trascorrono insieme alcuni giorni sulla nostra collina — ortodossi, protestanti o cattolici — si sentono profondamente uniti, senza limitare la loro fede al minimo denominatore comune e nemmeno livellare i loro valori. Al contrario, essi approfondiscono la propria fede. La fedeltà alla loro origine si concilia con un’apertura verso coloro che sono differenti.
Questo da dove viene? Partecipando a una settimana d’incontro presso la nostra comunità, hanno accettato di mettersi sotto lo stesso tetto e guardare insieme verso Dio. Se è possibile a Taizé, perché non dovrebbe esserlo altrove? Cristiani di diverse Chiese, non dovremmo avere il coraggio di rivolgerci a Cristo insieme e, senza aspettare una totale armonizzazione teologica, decidere di “metterci sotto lo stesso tetto”? Non sarebbe possibile compiere la nostra unità in Cristo (Lui che non è diviso), sapendo che esistono differenze nell’espressione della fede, che certuni pongono delle domande ancora irrisolte, ma che altri, lungi dal dividerci, possono essere la fonte di un arricchimento reciproco?
Il Papa ha detto ai membri del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani il 10 novembre 2016: «L’unità non è uniformità. Le differenti tradizioni teologiche, liturgiche, spirituali e canoniche, che si sono sviluppate nel mondo cristiano, quando sono genuinamente radicate nella tradizione apostolica, sono una ricchezza e non una minaccia per l’unità della Chiesa».
Questo mi porta a un’altra visita che il Papa ha fatto: alla vigilia del 2017, che ha segnato il cinquecentesimo anniversario della riforma protestante, egli si è recato in Svezia, a Lund, il 30 e 31 ottobre 2016 per visitare i cristiani luterani. Quell’incontro è stato una pietra miliare sul cammino verso l’unità. Ero profondamente felice di essere presente. In grande semplicità è stata offerta a Papa Francesco un’accoglienza fraterna e calorosa. Egli stesso si è seduto senza alcuna formalità in mezzo ai vescovi luterani della Chiesa di Svezia, vicino al presidente della Federazione luterana mondiale, il vescovo Munib Younan. Nella preghiera pronunciata nella cattedrale di Lund, il Papa ha espresso in particolare queste parole, mai dette da un Pontefice: «Spirito santo, donaci di riconoscere con gioia i doni che sono giunti alla Chiesa dalla riforma». Così applicava alla riforma ciò che aveva già espresso in modo più generale nella Evangelii gaudium (n. 246): «Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi».
In diverse occasioni il Santo Padre ha citato due doni della riforma: i riformatori protestanti hanno messo la Bibbia nelle mani di tutti i cristiani e hanno dato il primo posto all’amore, alla grazia di Dio.
In questo spirito, insieme ai miei fratelli, ci domandiamo: le parole del Papa rivolte ai cristiani luterani non richiedono forse una risposta? L’apertura del Papa ai doni della riforma non potrebbe essere un invito a dire l’apertura dei protestanti ai doni della Chiesa cattolica? I protestanti potrebbero lodare Dio per la capacità di evolvere che la Chiesa cattolica ha dimostrato dal concilio Vaticano II. Attraverso questa evoluzione ha dato una risposta positiva ai grandi interrogativi posti nel XVI secolo dalla riforma per quanto riguarda la priorità assoluta di Dio, la libertà della sua grazia, l’importanza decisiva della sacra Scrittura per la vita e l’insegnamento della Chiesa, la visione della Chiesa come popolo di Dio, con il sacerdozio comune di tutti i fedeli e i ministeri ecclesiali come servizio, la libertà cristiana e l’inviolabilità della coscienza personale.
In vista della piena attuazione dei doni di cattolicità e universalità particolarmente sviluppati nella Chiesa cattolica, Papa Francesco continua a richiamare alla necessità di maggiore sinodalità. Non sarebbe forse giunto il momento, per le Chiese nate dalla riforma, di lodare Dio anche per il ministero di comunione a livello universale che è tradizionalmente associato al vescovo di Roma, responsabile di assicurare la concordia dei suoi fratelli e sorelle nella loro vasta varietà? Il loro ringraziamento esprimerebbe una relazione con il vescovo di Roma che, pur essendo informale, non rimarrebbe senza una portata ecclesiale e che, anche se provvisoria, è comunque reale.

L'Osservatore Romano


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(Fernando Prado Ayuso) A cinque anni dall’inizio del suo pontificato, il mondo continua a sorprendersi del “genio di Bergoglio”. Il lettore attento potrà scoprire in queste pagine la “magica” semplicità con cui egli entra in sintonia con quanti lo ascoltano.
Questa straordinaria capacità di comunicare che vediamo in Papa Francesco è, senza dubbio, risultato e frutto maturo di una saggezza e di una profondità coltivate piano piano nel dialogo sincero con Dio e con gli uomini. Il che è proprio dei grandi e autentici leader spirituali.
L’edizione spagnola di questa opera raccoglie più di duecento interventi pubblici (omelie, discorsi e messaggi) che padre Jorge Mario Bergoglio ha rivolto ai suoi fedeli a Buenos Aires nei quasi quindici anni in cui ha servito la diocesi come arcivescovo (1999-2013). Non tutte sono parole sconosciute. Da quando lo stesso cardinale Bergoglio ha affidato la pubblicazione delle sue omelie e dei suoi scritti al suo amico El Gordo (padre Gustavo Larrazabal, claretiano) — allora direttore della Editorial Claretiana di Buenos Aires — molti suoi interventi sono stati resi noti in molteplici modi, sebbene forse un po’ a caso, o in opere di carattere più che altro tematico. Ora sono stati tutti raccolti e pubblicati in questa importante opera in castigliano, stavolta a cura della casa editrice Claretiana di Madrid.
Abbiamo aggiunto all’edizione spagnola alcuni testi non compresi nel compendio originale in lingua italiana (edito da Rizzoli). Qualche omelia trascritta dalla nostra equipe o qualche discorso del cardinale Bergoglio agli educatori — apparsi in alcune nostre pubblicazioni anteriori — che ci sembrava non potessero mancare. Ci è parso utile, infine, aggiungere ai testi una numerazione, che possa consentire, al di là dell’impaginazione, un raggruppamento o una ricerca interna dei diversi messaggi o discorsi.
Francesco si mostra seguace e maestro nella pratica della consegna data in passato da Paolo VI nell’esortazione Evangelii nuntiandi su come l’omelia doveva essere «semplice, chiara, diretta e adatta» (n. 42). Nei discorsi e nelle omelie pronunciati a Buenos Aires si può apprezzare come Bergoglio utilizzi magistralmente le risorse della retorica orale, con le sue insistenze, ripetizioni, uso di immagini e termini popolari, e anche di differenti registri lessicali per adattarsi alle diverse fasce di ascoltatori.
Bergoglio nei suoi interventi pubblici affronta i problemi della vita quotidiana del suo popolo. Lo fa senza girarci intorno, in quello stile vicino tanto caratteristico del pastore. In queste pagine possiamo vedere come egli si addentri nelle grandi questioni: la crisi economica, le divisioni politiche, la corruzione, la povertà, la disoccupazione... preoccupandosi sempre per le persone concrete: gli anziani, i bambini, i giovani, i poveri. Ma preoccupandosi anche per i leader, i politici, gli educatori e gli operatori delle comunicazioni.
Bergoglio parla sempre da un “noi” inclusivo, sentendosi parte di quanto accade. Consapevole che la Parola di Dio non risuonerà nel popolo con tutto il suo splendore «se prima non avrà risuonato così nel cuore del suo pastore», Bergoglio ricorre costantemente alla Scrittura per illustrare le sue omelie e i suoi discorsi. Ricorre pure al Magistero della Chiesa e a quello dei suoi predecessori.
Negli scritti e nei discorsi di Buenos Aires appaiono parole e termini che oggi, dopo cinque anni di pontificato, stanno diventando comuni tra noi. Sono termini tipici di Bergoglio, che descrivono la realtà sociale e che si riferiscono anche all’ambito religioso. Dietro le parole ci sono chiaramente le idee che le parole indicano. Molte espressioni, idee e termini che udiamo oggi dalla bocca di Francesco erano già presenti nel Bergoglio pastore di Buenos Aires. Altre, forse, dovranno ancora venire.
Vorremmo sottolineare anche l’importanza dell’eredità ignaziana e il peso specifico che l’essere gesuita ha in Bergoglio. Molte sue parole, che vengono dagli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio, o dal patrimonio della spiritualità ignaziana, sono oggi parte del patrimonio comune della Chiesa.
Una raccolta nuova
È appena uscito En tu ojos está mi palabra (Madrid, Publicaciones Claretianas, 2018, pagine 1168, euro 52), edizione spagnola della raccolta, introdotta e curata nel 2016 da Antonio Spadaro, delle omelie e dei discorsi dell’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio pronunciati a Buenos Aires dal 1999 al 2013. Rispetto all’edizione italiana sono stati individuati e integrati alcuni testi, ed è stato aggiunto un indice tematico. La prima copia del libro è stata consegnata in anteprima al Papa durante un incontro privato nel pomeriggio del 14 gennaio da padre Fernando Prado Ayuso, direttore delle Publicaciones Claretianas, e dal direttore della Civiltà Cattolica. En tu ojos está mi palabra sarà presentato il 27 febbraio a Madrid dall’arcivescovo, cardinale Carlos Osoro Sierra, e da Antonio Spadaro. Modererà l’incontro Fernando Prado Ayuso, autore di una premessa all’edizione spagnola della quale pubblichiamo ampi stralci.
L'Osservatore Romano