giovedì 8 marzo 2018

Donna: Pilastro della Chiesa.



Pilastro della Chiesa. È in corso dal 6 marzo in Vaticano l’assemblea plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal) quest’anno dedicata al tema «La donna, pilastro nell’edificazione della Chiesa e della società in America latina». Pubblichiamo stralci degli interventi del cardinale presidente
(Marc Ouellet) Oggi si ammette di buon grado la necessità di un riconoscimento teologico e pratico più concreto della donna nella Chiesa e nella nostra società. Papa Francesco, seguendo i suoi predecessori, lo ha ribadito in numerose occasioni, ma l’attuazione di pratiche ecclesiali più aperte alla sua presenza e influenza tarda a realizzarsi per motivi che non sono soltanto di ordine storico e culturale.
In primis sono dunque propenso a un metodo teologico che parta dalla rivelazione della Trinità in Gesù Cristo, per comprendere la donna, creata a immagine e somiglianza di Dio, con l’aiuto dell’esegesi contemporanea sull’Imago Dei, la quale ripristina la legittimità e il valore dell’analogia tra la Trinità e la famiglia, nonostante una forte tradizione contraria.
L’analogia familiare offre un apporto non trascurabile alla comprensione del mistero trinitario, ma il suo valore si fonda soprattutto sul suo significato antropologico. Papa Francesco vi fa riferimento molto spesso nella sua esortazione apostolica Amoris laetitia: «Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente. Ci illuminano le parole di san Giovanni Paolo II: “Il nostro Dio, nel suo mistero più intimo, non è solitudine, bensì una famiglia, dato che ha in sé paternità, filiazione e l’essenza della famiglia che è l’amore. Questo amore, nella famiglia divina, è lo Spirito Santo”. La famiglia non è dunque qualcosa di estraneo alla stessa essenza divina. Questo aspetto trinitario della coppia ha una nuova rappresentazione nella teologia paolina quando l’Apostolo la mette in relazione con il “mistero” dell’unione tra Cristo e la Chiesa (cfr. Efesini, 5, 21-33)». 
L’idea di nuzialità che guida la mia riflessione si fonda su tre concetti che esprimono l’essenza dell’amore: dono, reciprocità e fecondità. Tale nozione si applica analogicamente a diversi ordini di realtà: alla coppia uomo-donna, alla relazione Cristo-Chiesa e alle Persone divine. Si estende così la visione del santo Papa della famiglia che, conferendo una freschezza nuova all’analogia trinitaria della famiglia, interpreta la Imago Dei come Imago Trinitatis, completando così, in modo fecondo e felice, la dottrina tradizionale dell’immagine di Dio. Finora, in effetti, questa si limitava alla somiglianza tra la natura razionale dell’uomo, con le sue facoltà spirituali, e la natura divina, eminentemente spirituale da una parte e, dall’altra, con il procedere trinitario: il Figlio che procede dal Padre come Verbo e lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio come Amore. Chiaramente parlare di analogia non significa parlare di univocità; di fatto la somiglianza evocata è attenuata dalla più grande dissimiglianza che s’impone sempre in ogni comparazione tra il Creatore e la sua creatura. La questione è quindi complessa e delicata e invita a integrare le prospettive complementari più che a contrapporle. Consideriamo soprattutto che i progressi contemporanei offrono prospettive ampie e feconde per ripensare la persona, il rapporto uomo-donna e il mistero di Dio a partire dall’Amore come Dono.
La reciprocità maschio-femmina, a immagine-somiglianza di Dio, permette all’uomo di rappresentarlo sulla terra e di imitarlo, partecipando al suo potere creatore. L’insistenza della tradizione sacerdotale sulla differenza fisica dei sessi intende così esprimere il carattere fondamentalmente relazionale dell’essere umano, sul piano orizzontale del rapporto tra uomo e donna e anche sul piano verticale della relazione con Dio.
Nell’esperienza umana il bambino, come ipostasi della reciprocità d’amore, è il frutto dell’amore coniugale, che è anche una reciprocità a tre poiché, se si prescinde dal carattere fortuito della generazione e dal fattore temporale del suo sviluppo, il bambino appartiene intrinsecamente alla natura stessa della donazione reciproca dei coniugi.
Non ci sono tre Persone identiche e uniformi nella Santissima Trinità, ma tre Persone la cui proprietà personale realizza un modo di essere Amore in Dio completamente diverso, ma nell’unità della stessa natura: l’Amore paterno, l’Amore filiale e l’Amore nuziale.
Da qui la bellezza della Chiesa-Comunione che procede dalla kenosis eucaristica del Verbo incarnato, come personalità femminile animata dallo Spirito, e la sua figura di Sposa e madre.
Qual è l’importanza di questi progressi per la dignità della donna e per le conseguenze ecclesiali e sociali concrete che si dovrebbero legittimamente trarre?
In primo luogo, l’individuazione dell’archetipo relazionale della donna nella Trinità conferma subito la sua dignità di immagine di Dio come persona, donna, moglie e madre. E conferma anche i valori dell’amore, del matrimonio e della famiglia, come pure le vocazioni verginali soprannaturali che ricevono un forte sostegno teologico e spirituale.
Che altro possiamo aggiungere a queste riflessioni teologiche per sottolineare l’importanza del “mistero” della donna e del suo indispensabile contributo alla vita sociale ed ecclesiale? Data la vicinanza tra Spirito e donna nel disegno divino della creazione e dell’incarnazione della grazia, e data la partecipazione intima e insuperabile della Vergine Maria nei rapporti trinitari reciproci del Verbo e dello Spirito, non dovremmo riconoscere questo “mistero” della donna, definendo “ministeri sacri”, senza connotazioni clericali di alcun tipo, le sue molteplici funzioni e i suoi ruoli nella società e nella Chiesa: moglie e madre, ispiratrice e mediatrice, redentrice e riconciliatrice, aiuto e compagnia indispensabile per l’uomo in qualunque compito e responsabilità sociale ed ecclesiastica. Che si evidenzino l’ascolto, l’apertura, la riparazione delle ingiustizie e la valorizzazione dei carismi femminili da parte di tutti e di tutte, e in particolare da parte delle autorità civili e religiose, affinché si riconosca e si integri di più e meglio la diversità femminile!
È allora comprensibile che la Chiesa cattolica, dall’immensa grazia del concilio Vaticano II, abbia condotto una battaglia decisiva e permanente per il rispetto della diversità dei sessi in ogni parte e a ogni livello, sia nel campo del lavoro, del matrimonio e della famiglia sia in quello del ministero ordinato, e che continui a farlo, anche da sola, contro ogni “colonizzazione ideologica” (Papa Francesco) che pretenda di annullare la differenza sessuale nella cultura, e dunque la figura originale della donna, in nome di un’antropologia libera da ogni vincolo trascendente. Il tema della donna è oggigiorno talmente importante da richiedere da parte della Chiesa e della società un investimento enorme di pensiero e di azione, per illuminare correttamente le scelte sociali e per far sì che l’immagine di Dio nell’uomo e nella donna, in dolore e desiderio di comunione, raggiunga quella divina somiglianza dell’Amore senza la quale non c’è felicità possibile per l’umanità, né società degna di tale nome.


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Pilastro della Chiesa. È in corso dal 6 marzo in Vaticano l’assemblea plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal) quest’anno dedicata al tema «La donna, pilastro nell’edificazione della Chiesa e della società in America latina». Pubblichiamo stralci degli interventi del segretario incaricato della vicepresidenza.
(Guzmán Carriquiry Lecour) Le donne restano quasi invisibili. Non solo discriminate, ma anche dimenticate. Occorre quindi raccontare di nuovo, dalla loro prospettiva, la storia dell’America latina, «quella patria immensa di uomini allucinati e donne storiche» come disse il colombiano Gabriel García Márquez durante la cerimonia di ritiro del Nobel per la letteratura a Stoccolma.
Non è certo politicamente corretto, ma è molto significativo iniziare col ricordare due figure femminili che sono all’origine del nuovo mondo americano. Una è Isabella di Castiglia, la regina cattolica, e l’altra l’india Malinche, chiamata Marina dai conquistatori, compagna e guida di Hernán Cortés nella conquista dell’Impero azteca. Il rapporto di Cortés con Malinche è una prova molto significativa di quel meticciato fondazionale, diseguale, pieno di contraddizioni e di dominazioni, dove non mancarono principesse indigene integrate nell’aristocrazia coloniale, ma dove la maggior parte delle donne indios si dovette sottomettere, con diverse dosi di violenza, ai conquistatori e ai colonizzatori. Nelle ricorrenti sollevazioni indigene nel corso della storia latinoamericana si ricordano donne che furono leader e combattenti in prima linea, come le cacicas Tomasa Titut Condemayta e Gregoria Sisa, che si distinsero nella guerra intrapresa da Tupac Amarú contro l’impero spagnolo. Fu in tempi di desolazione, generati dalla conquista e dalla formazione di questo meticciato lacerato, e anche d’intensa attività missionaria, che il nuovo mondo americano ricevette la visita della “bella Signora”, che si presentò come “la perfetta sempre Vergine Maria (…) madre del vero Dio grazie al quale si vive”. Le apparizioni della Vergine di Guadalupe, durante le quali si rivelò al suo Juanito, costituiscono, secondo Papa Francesco, un «evento fondante» nella storia dei popoli latinoamericani.
Le rose che caddero dalla tilma di Juan Diego furono il segno dell’evento guadalupano, ed è significativo che la prima santa americana, a Lima, avesse come soprannome, datole dalla sua nutrice indigena e poi come nome dopo la confermazione, quello di Rosa.
Secoli dopo, ci furono altre testimonianze che anticiparono il femminismo moderno in America latina, come quelle di María Antonia de Paz y Figueroa, nota come mamá Antula e beatificata di recente, e anche quelle delle sue compagne, soprannominate le “beate”, donne laiche che percorsero come pellegrine missionarie i cammini di mezza Argentina, da Santiago del Estero a Buenos Aires, organizzando, promuovendo e animando un’infinità di esercizi spirituali.
Nella seconda metà del XIX secolo, cominciarono a farsi sentire nei diversi paesi latinoamericani, donne scrittrici ed educatrici, soprattutto maestre, che possono giustamente essere considerate pioniere di movimenti femministi, le quali, nelle loro opere, criticarono le situazioni di schiavitù, di emarginazione e di dipendenza subite dalle donne, rivendicando i loro diritti e chiedendo per loro l’accesso all’educazione e alla vita pubblica delle nazioni. Tra di esse la brasiliana Nisia Floresta Brasileira Augusta, la poetessa brasiliana Narcisa Amália de Campos, l’argentina Juana Paula Manso, la peruviana Mercedes Cabello de Carbonera, e la cilena Rosario Ortiz, una delle prime giornaliste dell’America latina.
Alla fine del secolo arrivarono in America latina molte congregazioni religiose femminili, alle quali se ne aggiunsero altre nei primi decenni del XX secolo, alcune nate in terra latinoamericana, che fondarono una rete di scuole e ospedali e realizzarono un gran numero di opere e di attività caritative e assistenziali. Da quel momento e fino ai giorni nostri le monachelle e le suorine — così le chiamano i nostri popoli — sono le testimoni e le artefici migliori delle opere di misericordia.
Era anche l’epoca dei movimenti suffragisti, dove donne istruite, provenienti in generale da classi medie emergenti o benestanti, reclamavano il diritto al voto per le donne.
Fu l’Uruguay il primo paese sudamericano ad approvare il suffragio femminile. Nel 1932 Getulio Vargas con un decreto concesse il diritto di voto alle donne. Va inoltre ricordata la professoressa Antonieta de Barros, la prima e unica donna nera che, nello stato di Santa Catarina, divenne membro dell’assemblea legislativa. Il suffragio femminile fu approvato in Argentina nel 1947 e due anni dopo l’uguaglianza giuridica dei coniugi e la patria potestà condivisa furono tra le conquiste di cui Eva Perón fu la principale protagonista.
Evita fu la prima donna a essere candidata a una vice-presidenza in America Latina. Un segno evidente della crescente partecipazione delle donne in tutti gli ambiti della vita delle nazioni è la loro recente presenza nei più alti incarichi politici di governo.
Le Madres de Mayo, e le Abuelas de Mayo, possono ben rappresentare tutte le donne che hanno lottato contro le dittature militari e hanno manifestato per i loro figli e nipoti desaparecidos, vittime di una politica brutale di repressione come terrorismo di Stato. Vanno ricordate anche le sorelle Mirabal, note come le Las Mariposas, per il loro intenso attivismo contro la dittatura nella Repubblica Dominicana: trovate morte in un dirupo e poi riconosciute come simbolo dell’oppressione e della violenza contro le donne. Papa Francesco ricorda sempre con ammirazione e gratitudine Esther Ballestrino, paraguaiana, rifugiatasi in Argentina per sfuggire alla dittatura del suo paese. Ottenne lo status di rifugiata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, ma la guerra sporca la colpì nei suoi affetti più cari e lei stessa finì come desaparecida. Non possiamo inoltre non ricordare le Damas de Blanco, che manifestarono pubblicamente a Cuba, con coraggio, chiedendo la liberazione di familiari ingiustamente messi in prigione.
Una donna che ha anticipato una trasformazione culturale in America Latina è stata la messicana Frida Kahlo, pittrice surrealista, compagna sentimentale del muralista Diego de Rivera, entrambi di militanza comunista, artista ammirata da Pablo Picasso, Vasili Kandinsky e André Breton, la prima a esporre i propri dipinti al Museo del Louvre.
L’aver selezionato solo i nomi di alcune donne nella nostra storia, anche se per valorizzare certe tendenze culturali, lascia però la sensazione di aver compiuto una grave ingiustizia nei confronti dei milioni di donne anonime, non menzionate nei libri e neppure sui giornali. Donne la cui storia non è stata pubblicizzata. Invece senza di loro non sarebbe stata trasmessa la fede, con tutto il suo ethos di umanità; senza di loro il tessuto familiare e sociale dei nostri popoli si sarebbe disgregato ancor di più, impoverendosi radicalmente; senza di loro la dialettica dell’inimicizia e della violenza avrebbe prevalso ancor di più sulla cultura dell’incontro e dell’amicizia sociale nella convivenza delle nostre nazioni.


L'Osservatore Romano