giovedì 29 marzo 2018

Insomma, senza preservativo.



Che cos’è l’apertura alla vita


Nei giorni scorsi si è molto parlato dell’Humanae Vitae e dell’affermazione di Don Chiodi rispetto all’eventuale obbligo, da parte di coppie in particolari situazioni di difficoltà, di fare uso della contraccezione. Avrei voluto scrivere subito qualche considerazione sull’argomento, ma mi sono frenata dopo aver letto la splendida riflessione di Flora Gualdani sul blog di Costanza Miriano: in effetti ha già detto tutto lei, c’è ben poco da aggiungere.
L’unica cosa che posso aggiungere è la mia esperienza: mi sono sposata nel 2003, con un ragazzo meraviglioso ma molto malato. Nei due anni successivi abbiamo avuto due bambine, a diciassette mesi di distanza l’una dall’altra, concepite durante un periodo di relativa “tranquillità” della malattia. Durante la gravidanza della secondogenita, purtroppo, il tumore di mio marito si è ripresentato in maniera tanto sorprendente quanto aggressiva, e lui è morto tre anni dopo. Le bambine avevano quattro anni l’una e due e mezzo l’altra.
Se dovessi dire che cosa è significato, durante il matrimonio con Luigi, l’aver avuto due figlie, non potrei che usare le stesse parole del suo medico: un miracolo. Non era infatti scontato per noi (come non lo è per nessuna coppia, in fondo) diventare genitori. Queste bambine sono state una benedizione inaspettata, in una situazione in cui sarebbe stato quantomeno comprensibile, se non addirittura auspicabile, evitare l’arrivo di un figlio. Forse, potremmo dire che io e Luigi saremmo rientrati in uno di quei casi per cui Don Maurizio Chiodi indicava l’obbligo della contraccezione. E io stessa dopo la nascita della seconda figlia – che è coincisa con l’aggravarsi della malattia – non ho trovato altra strada, inizialmente, che quella della pillola anticoncezionale, per evitare l’arrivo di una terza gravidanza. Non ignoravo, infatti, il Magistero e le sue indicazioni, ma avevo tanta paura e ancor più tanta rabbia verso Dio, che sembrava essere sordo alle mie preghiere. Dopo un paio di mesi, però, d’accordo con Luigi, decisi di imparare a usare i metodi naturali. Non me ne sono mai pentita.
Sette anni fa mi sono risposata e con mio marito Gianni ho avuto altri tre figli, tutti maschi (e io che dieci anni fa lamentavo l’assenza di un uomo in casa… dopo aver conosciuto Gianni sono stata invasa dal testosterone!!). Tre bambini amati e desiderati, e “distanziati” nel loro arrivo attraverso l’uso dei metodi naturali. E’ vero, ammetto che uno dei tre (ma non dirò mai quale, nemmeno sotto tortura) è arrivato un po’ “a rotta di collo”, forse non eravamo del tutto preparati, ma di sicuro non abbiamo mai pensato: questo qui è di troppo. E se non l’abbiamo mai pensato non è perché siamo bravi, buoni o santi, ma perché abbiamo avuto la Grazia, fino ad ora, di non sentirci padroni assoluti delle nostre vite o di quelle dei figli che ci sono stati affidati. E se qualcuno mi chiedesse che cos’è per me, oggi, l’apertura alla vita, risponderei: un dono di Dio. Perché l’apertura alla vita non è qualcosa che ci diamo da soli, è sempre frutto di un rapporto con il Signore, anche un rapporto tiepido e scalcinato come il mio, ma pur sempre un rapporto. E se è vero che i metodi naturali sono sicuramente una ricchezza in se stessi, anche per una coppia che non crede e non va in Chiesa (perché il rispetto del proprio corpo e di quello della persona amata dovrebbe interessare a tutti, anche a chi non ha fede), a maggior ragione sarebbe quantomeno doveroso incoraggiarne la conoscenza, da parte dei nostri pastori, presso le coppie cristiane, piuttosto che parlare di obbligo alla contraccezione.
Oggi ho quarant’anni, cinque figli e l’istinto materno di un tostapane. Non amo i bambini in generale, non mi fermo a toccare le pance delle donne incinte, non vado in brodo di giuggiole se vedo un neonato, ma sono pazza dei miei figli.
Mi commuovo quando vado alle loro recite dell’asilo, quando leggo un loro tema, o la pagella, o quando entro di soppiatto nelle camere e li guardo dormire. Eppure tutti loro mi hanno tolto, a turno in questi anni, ore di sonno, tempo libero, tonicità muscolare e qualche quintalata di autostima (chi ha figlie femmine adolescenti sa di cosa sto parlando). La felicità nell’essere madre di una folta prole, nonostante il mio sconcertante egoismo, mi viene dall’unica certezza che ho e che cerco di vivere all’interno del mio matrimonio: che Dio mi ama. E il suo amore per me è sempre stato pieno, totale.
Insomma, senza preservativo.