sabato 24 marzo 2018

Le palme sono un simbolo di vittoria

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Ecco le parole del Vangelo di cui avete appena ascoltato la lettura: L'indomani, la gran folla venuta per la festa, sentendo che Gesù si recava a Gerusalemme, prese i rami delle palme e gli andò incontro gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele (Gv 12, 12-13). Le palme sono un omaggio e un simbolo di vittoria; perché, morendo, il Signore avrebbe vinto la morte, e, mediante il trofeo della croce, avrebbe riportato vittoria sul diavolo principe della morte. Il grido "Osanna" poi, secondo alcuni che conoscono l'ebraico, più che altro esprime affetto; un po' come le interiezioni in latino: diciamo "ahi!" per esprimere dolore, "ah!" per esprimere gioia, "oh, che gran cosa!" per esprimere meraviglia. Al più "oh!" esprime un sentimento di ammirazione affettuosa. Così è per la parola ebraica "Osanna", che tale è rimasta in greco e in latino, essendo intraducibile; come quest'altra: Chi dirà "racha" a suo fratello (Mt 5, 22). La quale, come riferiscono, è una interiezione intraducibile che esprime un sentimento di indignazione.

 Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele. "Nel nome del Signore" sembra doversi intendere nel nome di Dio Padre, quantunque si possa intendere altresì nel nome di Cristo, dato che anch'egli è il Signore. Per questo altrove sta scritto: Il Signore fece piovere da parte del Signore (Gn 19, 24). Ma è il Signore stesso che ci aiuta a capire queste parole, quando dice: Io sono venuto nel nome del Padre mio, e non mi avete accolto; se un altro viene in nome proprio, lo accogliereste (Gv 5, 43). Maestro di umiltà è Cristo, che umiliò se stesso, fattosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cf. Fil 2, 8). E non perde certo la divinità quando ci insegna col suo esempio l'umiltà: in quella egli è uguale al Padre, in questa è simile a noi. E in quanto è uguale al Padre ci ha creati perché esistessimo, in quanto è simile a noi ci ha redenti perché non ci perdessimo.

 La folla gli tributava questo omaggio di lode: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele. Quale atroce tormento doveva soffrire l'animo invidioso dei capi dei Giudei, nel sentire una così grande moltitudine acclamare Cristo come proprio re! Ma che cos'era mai per il Signore essere re d'Israele? Era forse una gran cosa per il re dei secoli diventare re degli uomini? Cristo non era re d'Israele per imporre tributi, per armare eserciti, per debellare clamorosamente dei nemici: egli era re d'Israele per guidare le anime, per provvedere la vita eterna, per condurre al regno dei cieli coloro che credono, che sperano, che amano. Che il Figlio di Dio quindi, uguale al Padre, il Verbo per mezzo del quale sono state create tutte le cose, abbia voluto essere re d'Israele, non fu una elevazione per lui ma un atto di condiscendenza verso di noi: fu un atto di misericordia non un accrescimento di potere. Colui infatti che in terra fu chiamato re dei Giudei, è in cielo il Signore degli angeli.

 Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra. Qui vien narrato con grande concisione ciò che gli altri evangelisti raccontano con ricchezza di particolari (cf. Mt 21, 1-16; Mc 11, 1-11; Lc 19, 29-48). Giovanni conferma questo fatto con una testimonianza profetica, per sottolineare che i maligni capi dei Giudei non comprendevano che in lui si adempivano le profezie da essi conosciute: Gesù trovato un asinello, vi montò sopra, secondo quel che è scritto: Non temere, figlia di Sion: ecco, il tuo re viene, seduto su di un puledro d'asina (Gv 12, 14-15; Zach 9, 9). Fra quel popolo c'era la figlia di Sion (Sion è lo stesso di Gerusalemme); ripeto: in mezzo a quel popolo, cieco e riprovato, c'era tuttavia la figlia di Sion alla quale erano rivolte le parole: Non temere, figlia di Sion: ecco, il tuo re viene, seduto su di un puledro d'asina. Questa figlia di Sion, cui era rivolto l'oracolo profetico, era presente in quelle pecore che ascoltavano la voce del pastore; era presente in quella moltitudine che con tanta devozione cantava le lodi del Signore che veniva, e che lo seguiva compatta. Ad essa il profeta diceva: Non temere, cioè riconosci colui che acclami, e non temere quando lo vedrai soffrire; perché il suo sangue viene versato per cancellare il tuo peccato e ridonarti la vita. Il puledro di asina sul quale nessuno era ancora salito (è un particolare che troviamo negli altri evangelisti), simboleggia il popolo dei gentili, che ancora non avevano ricevuto la legge del Signore. E l'asina (ambedue i giumenti furono portati al Signore) simboleggia il suo popolo proveniente dalla nazione d'Israele, non certo quella parte che rimase incredula ma quella che riconobbe il presepe del Signore.
S. Agostino, Trattati su Giovanni, 51, 2-5