venerdì 20 dicembre 2019

PADRE RANIERO CANTALAMESSA - TERZA PREDICA DI AVVENTO 2019: "MARIA NEL NATALE".

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I « passi » che stiamo compiendo sulle orme di Maria corrispondono, abbastanza fedelmente, allo svolgersi anche storico della vita di lei, come esso risulta dai Vangeli. La meditazione su Maria « piena di fede » ci ha riportato al mistero dell’Annunciazione; quella sul Magnificat, al mistero della Visitazione, e ora quella di Maria « Madre di Dio » al Natale. Fu nel Natale, infatti, nel momento in cui diede alla luce il suo figlio primogenito (Lc 2, 7), non prima, che Maria divenne veramente e pienamente Madre di Dio.
Nel parlare di Maria, la Scrittura mette costantemente in risalto due elementi, o momenti, fondamentali, che corrispondono, del resto, a quelli che anche la comune esperienza umana considera essenziali perché si abbia una vera e piena maternità. Essi sono: concepire e partorire. Ecco – dice l’angelo a Maria – concepirai nel seno e partorirai un figlio (Lc 1, 31). Questi due momenti sono presenti anche nel racconto di Matteo: Quel che è « generato » in lei, è dallo Spirito Santo ed essa « partorirà » un figlio (cf Mt 1, 20 s). La profezia di Isaia, in cui tutto ciò era stato preannunciato, si esprimeva allo stesso modo: Una vergine concepirà e partorirà un figlio (Is 7, 14). Ecco perché dicevo che solo a Natale, quando dà alla luce Gesù, Maria diventa, in senso pieno, Madre di Dio.
Dei due momenti, il titolo in uso nella Chiesa latina « Genitrice di Dio » (Dei Genitrix) mette più in rilievo il primo momento, quello relativo alla concezione; il titolo Theotókos, in uso nella Chiesa greca, mette più in rilievo il secondo momento, il partorire (tíkto significa infatti, in greco, partorisco). Il primo momento (fuori del caso unico di Maria) è comune sia al padre che alla madre, mentre il secondo, il partorire, è esclusivo della madre.
Madre di Dio è il titolo che esprime uno dei misteri e, per la ragione, uno dei paradossi più alti del cristianesimo. È il più antico e importante titolo dogmatico della Madonna, essendo stato definito dalla Chiesa nel Concilio di Efeso nel 431, come verità di fede da credersi da tutti i cristiani. È il fondamento di tutta la grandezza di Maria. È il principio stesso della mariologia. Per esso, Maria non è, nel cristianesimo, solo oggetto di devozione, ma anche di teologia; entra cioè nel discorso stesso su Dio, perché Dio è direttamente implicato nella maternità divina di Maria.
Uno sguardo storico al formarsi del dogma
Nel Nuovo Testamento non troviamo esplicitamente il titolo « Madre di Dio » dato a Maria. Vi troviamo però delle affermazioni che, nella riflessione della Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, mostreranno, in seguito, di contenere già, in nuce, tale verità. Di Maria si dice che ha concepito e generato un figlio, il quale è Figlio dell’Altissimo, santo e Figlio di Dio (cf Lc 1, 31-32.35). Dai Vangeli risulta, dunque, che Maria è la madre di un figlio, di cui si sa che è il Figlio di Dio. Ella è chiamata correntemente nei Vangeli: la madre di Gesù, la madre del Signore (cf Lc 1, 43), o semplicemente « la madre » e « sua madre » (cf Gv 2, 1-3).
Bisognerà che la Chiesa, nello sviluppo della sua fede, chiarisca a se stessa chi è Gesù, prima di sapere di chi è madre Maria. Maria non comincia certo a essere Madre di Dio nel concilio di Efeso del 431, come Gesù non comincia a essere Dio nel concilio di Nicea del 325, che lo definì tale. Lo era anche prima. Quello è piuttosto il momento in cui la Chiesa, nello svilupparsi ed esplicitarsi della sua fede, sotto la spinta dell’eresia, prende piena coscienza di questa verità e prende posizione a suo riguardo. Avviene come nella scoperta di una nuova stella: essa non nasce nel momento in cui la sua luce giunge sulla terra ed è vista dall’osservatore, ma esisteva già da prima, forse da migliaia di anni luce. La definizione conciliare è il momento in cui la lucerna viene messa sul candelabro che è il credo della Chiesa.
In questo processo che porta alla proclamazione solenne di Maria Madre di Dio, possiamo distinguere tre grandi fasi. All’inizio e per tutto il periodo dominato dalla lotta contro l’eresia gnostica e docetista, la maternità di Maria viene vista quasi solo come maternità fisica. Questi eretici negavano che Gesù avesse un vero corpo umano, o, se l’aveva, che questo corpo umano fosse nato da una donna, o, se era nato da una donna, che fosse tratto veramente dalla carne e dal sangue di lei. Contro di essi bisognava dunque affermare con forza che Gesù era figlio di Maria e « frutto del suo grembo » (Lc 1, 42), e che Maria era vera e naturale Madre di Gesù.
La maternità di Maria, in questa fase più antica, serve, più che altro, a dimostrare la vera umanità di Gesù. Fu in questo periodo e in questo clima che si formò l’articolo del credo: « Nato (o incarnato) per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine ». Esso, all’origine, voleva dire semplicemente che Gesù è Dio e uomo: Dio, in quanto generato secondo lo Spirito, cioè da Dio, e uomo in quanto generato secondo la carne, cioè da Maria.
In questa fase antica, già con Origene, fa la sua comparsa il titolo di Theotókos. D’ora in poi, sarà proprio l’uso di questo titolo a condurre la Chiesa alla scoperta di una maternità divina più profonda. Avvenne durante l’epoca delle grandi controversie cristologiche del V secolo, quando il problema centrale, intorno a Gesù Cristo, non è più quello della sua vera umanità, ma quello dell’unità della sua persona. La maternità di Maria non viene più vista solo in riferimento alla natura umana di Cristo, ma, com’è più giusto, in riferimento all’unica persona del Verbo fatto uomo. E siccome quest’unica persona che Maria genera secondo la carne non è altro che la persona divina del Figlio, di conseguenza, ella appare vera « Madre di Dio ».
Tra Maria e Cristo non c’è più solo una relazione di ordine fisico, ma anche di ordine metafisico, e questo la colloca a una altezza vertiginosa, creando un rapporto singolare anche tra lei e il Padre. Con il Concilio di Efeso, questa cosa diventa per sempre una conquista della Chiesa. In un testo da esso approvato si dice:
« Se qualcuno non confessa che Dio è veramente l’Emmanuele e che perciò la Santa Vergine, avendo generato secondo la carne il Verbo di Dio fatto carne, è la Theotókos, sia anatema» .
Fu un momento di grande giubilo per tutto il popolo di Efeso, che aspettò i Padri fuori dell’aula conciliare e li accompagnò, con fiaccole e canti, alle loro dimore. Tale proclamazione determinò una esplosione di venerazione verso la Madre di Dio che non venne meno mai più, né in Oriente né in Occidente, e che si tradusse in feste liturgiche, icone, inni e nella costruzione di innumerevoli chiese a lei dedicate. Fu in questo clima che fu costruita la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
Ma anche questo traguardo non era definitivo. C’era un altro livello da scoprire nella maternità divina di Maria, dopo quello fisico e quello metafisico. Nelle controversie cristologiche, il titolo di Theotókos era valorizzato più in funzione della persona di Cristo che di quella di Maria, pur essendo un titolo mariano. Da tale titolo non si tiravano ancora le conseguenze logiche riguardanti la persona di Maria e, in particolare, la sua santità unica. Theotókos rischiava di divenire un’arma di battaglia tra opposte correnti teologiche, anziché l’espressione della fede e della pietà della Chiesa verso Maria.
Fu questo il grande apporto degli autori latini e in particolare di sant’Agostino. La maternità di Maria è vista come una maternità nella fede, come maternità anche spirituale. Siamo all’epopea della fede di Maria. A proposito della parola di Gesù: Chi è mia Madre…, Agostino risponde attribuendo a Maria, in grado sommo, quella maternità spirituale che viene dal fare la volontà del Padre:
« Forse che non fece la volontà del Padre la Vergine Maria, che per fede credette, per fede concepì, che fu scelta perché da lei nascesse per gli uomini la salvezza, che fu creata da Cristo, prima che in essa venisse creato Cristo? Certo che fece la volontà del Padre santa Maria e perciò è cosa più grande per Maria essere stata discepola di Cristo, che essere stata Madre di Cristo» .
La maternità fisica di Maria e quella metafisica vengono ora coronate dal riconoscimento di una maternità spirituale, o di fede, che fa di Maria la prima e la più santa figlia di Dio, la prima e più docile discepola di Cristo, la creatura della quale – scrive ancora sant’Agostino – «per l’onore dovuto al Signore, non si deve neppure far menzione quando si parla del peccato » . La maternità fisica o reale di Maria, con l’eccezionale e unico rapporto che crea tra lei e Gesù e tra lei e la Trinità tutta intera resta, da un punto di vista oggettivo, la cosa più grande e il privilegio ineguagliabile, ma essa è tale proprio perché trova un riscontro soggettivo nell’umile fede di Maria. Per Eva costituiva certo un privilegio unico essere la « madre di tutti i viventi »; ma poiché non ebbe fede, a nulla le giovò e anziché beata, divenne sventurata.
Madre di Dio, titolo ecumenico
Maria è l’unica, nell’universo, a poter dire, rivolta a Gesù, ciò che dice a lui il Padre celeste: « Tu sei mio figlio; io ti ho generato! » (cf Sal 2, 7; Eb 1, 5). Sant’Ignazio d’Antiochia dice, con tutta semplicità, quasi senza accorgersi in che dimensione sta proiettando una creatura, che Gesù è « da Dio e da Maria » . Quasi come noi diciamo di un uomo che è figlio del tale e della tale. Dante Alighieri ha racchiuso il duplice paradosso di Maria che è « Vergine e Madre » e « madre e figlia », in un solo verso: « Vergine Madre, figlia del tuo Figlio! »
Il titolo « Madre di Dio » basta da solo a fondare la grandezza di Maria e a giustificare l’onore a lei tributato. Si rimprovera talvolta ai cattolici di esagerare nell’onore e nell’importanza attribuiti a Maria e a volte bisogna riconoscere che il rimprovero era giustificato, almeno per il modo e lo spirito con cui ciò avveniva. Ma non si pensa a ciò che ha fatto Dio. Dio si è portato talmente avanti nell’onorare Maria facendola Madre di Dio, che nessuno può dire di più, “anche se avesse tante lingue quante sono le foglie d’erba .
Il titolo di « Madre di Dio » è anche oggi il punto d’incontro e la base comune a tutti i cristiani, da cui ripartire per ritrovare l’intesa intorno al posto di Maria nella fede. Esso è l’unico titolo ecumenico, non solo di diritto, perché definito in un Concilio ecumenico, ma anche di fatto perché riconosciuto da tutte le Chiese. Lutero ha scritto: «L’articolo che afferma che Maria è Madre di Dio è vigente nella Chiesa fin dagli inizi e il Concilio di Efeso non l’ha definito come nuovo, perché è già una verità sostenuta nel Vangelo e nella Sacra Scrittura… Queste parole (Lc 1, 32; Gal 4, 4) con molta fermezza sostengono che Maria è veramente la Madre di Dio» .
Un altro iniziatore della Riforma, Zuinglio, scrive: « Maria è giustamente chiamata, a mio giudizio, Genitrice di Dio, Theotókos». Egli chiama altrove Maria «la divina Theotókos, eletta prima ancora di avere la fede» . Calvino, a sua volta, scrive: « La Scrittura ci dichiara esplicitamente che colui che dovrà nascere dalla Vergine .Maria sarà chiamato Figlio di Dio (Lc 1, 32) e che la Vergine stessa è Madre del nostro Signore » .
Madre di Dio, Theotókos, è dunque il titolo al quale bisogna sempre ritornare, distinguendolo da tutta l’infinita serie di altri nomi e titoli mariani. Se esso fosse preso sul serio da tutte le Chiese e valorizzato di fatto, oltre che riconosciuto di diritto in sede dogmatica, basterebbe a creare una fondamentale unità intorno a Maria ed ella, anziché occasione di divisione tra i cristiani, diventerebbe, dopo lo Spirito Santo, il più importante fattore di unità ecumenica, colei che, con il suo carisma materno, aiuta a « riunire tutti i figli di Dio che sono dispersi» (cf Gv 11, 52).
Madri di Cristo: l’imitazione della Madre di Dio
Il nostro modo di procedere, in questo cammino verso Natale sulle orme di Maria, consiste nel contemplare i singoli «passi» da lei compiuti per poi imitarli nella nostra vita. Ma come imitare questo tratto della Madonna di essere Madre di Dio? Può Maria essere « figura della Chiesa », cioè suo modello, anche in questo punto?
Non solo ciò è possibile, ma ci sono stati uomini, come Origene, sant’Agostino, san Bernardo, i quali sono arrivati a dire che, senza questa imitazione, il titolo di Maria sarebbe inutile per me: « Che giova a me – dicevano – che Cristo sia nato una volta da Maria a Betlemme, se non nasce anche per fede nella mia anima? » .
Dobbiamo richiamare alla mente che la maternità divina di Maria si realizza su due piani: su un piano fisico e su un piano spirituale. Maria è Madre di Dio non solo perché l’ha portato fisicamente nel grembo, ma anche perché l’ha concepito prima nel cuore con la fede. Noi non possiamo, naturalmente, imitare Maria nel primo senso, generando di nuovo Cristo, ma possia-mo imitarla nel secondo senso, che è quello della fede. Gesù stesso iniziò questa applicazione alla Chiesa del titolo di « Madre di Cristo », quando dichiarò: Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 8, 21; cf Mc 3, 31 s; Mt 12, 49).
Nella tradizione, questa verità ha conosciuto due livelli di ap¬plicazione complementari tra di loro. In un caso, si vede realizzata questa maternità, nella Chiesa presa nel suo insieme, in quanto « sacramento universale di salvezza »; nell’altro, tale maternità si vede realizzata in ogni singola persona o anima che crede. Il Concilio Vaticano II si colloca nella prima prospettiva quando scrive: « La Chiesa… diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figlioli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio» .
Ma ancora più chiara è, nella tradizione, l’applicazione personale ad ogni anima: « Ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio… Se secondo la carne una sola è la Madre di Cristo, secondo la fede, tutte le anime generano Cristo quando accolgono la parola di Dio» . Un altro Padre fa eco dall’oriente: « Il Cristo nasce sempre misticamente nell’anima, prendendo carne da coloro che sono salvati e facendo dell’anima che lo genera una madre vergine» .
Come concepire e partorire di nuovo Cristo
Concentriamoci sull’applicazione del titolo Madre di Dio che ci riguarda anche singolarmente. Proviamo a vedere come si diventa, in concreto, madre di Gesù. Come ci dice Gesù che si diventa sua madre? Attraverso due operazioni: ascoltando la Parola e mettendola in pratica. Ripensiamo, per capire, a come divenne madre Maria: concependo Gesù e partorendolo.
Vi sono due maternità incomplete o due tipi di interruzione di maternità. Una è quella, antica e nota, dell’aborto. Essa avviene quando si concepisce una vita, ma non si partorisce, perché, nel frattempo, o per cause naturali o per il peccato degli uomini, il feto è morto. Fino a poco fa, questo era l’unico caso che si conosceva di maternità incompleta. Oggi se ne conosce un altro che consiste, all’opposto, nel partorire un figlio senza averlo concepito. Così avviene nel caso di figli con¬cepiti in provetta e immessi, in un secondo momento, nel seno di una donna, e nel caso desolante e squallido dell’utero dato in prestito per ospitare, magari a pagamento, vite umane concepite altrove. In questo caso, quello che la donna partorisce, non viene da lei, non è concepito « prima nel cuore che nel corpo ».
Purtroppo anche sul piano spirituale ci sono queste due tristi possibilità. Concepisce Gesù senza partorirlo chi accoglie la Parola, senza metterla in pratica, chi continua a fare un aborto spi¬rituale dietro l’altro, formulando propositi di conversione che vengono poi sistematicamente dimenticati e abbandonati a metà strada; chi si comporta verso la Parola come l’osservatore frettoloso che guarda il suo volto nello specchio e poi se ne va dimenticando subito com’era (cf Gc 1, 23-24). Insomma, chi ha la fede, ma non ha le opere.
Partorisce, al contrario, Cristo senza averlo concepito chi fa tante opere, anche buone, ma che non vengono dal cuore, da amore per Dio e da retta intenzione, ma piuttosto dall’abitudine, dall’ipocrisia, dalla ricerca della propria gloria e del proprio interesse, o semplicemente dalla soddisfazione che dà il fare. Insomma, chi ha le opere, ma non ha la fede.
Le cinque feste di Gesù Bambino
Abbiamo considerato il caso negativo della maternità incompleta o per mancanza di fede o per mancanza di opere. Consideriamo ora il caso positivo di una vera e completa maternità che ci fa somigliare a Maria. San Francesco d’Assisi ha una parola che riassume bene ciò che mi preme mettere in luce:
« Siamo madri di Cristo – dice – quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza; lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in esempio… Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa, avere un tale fratello e un tale figlio, il Signore Nostro Gesù Cristo!» .
Noi – viene a dire il santo – concepiamo Cristo quando lo amiamo in sincerità di cuore e con rettitudine di coscienza, e lo diamo alla luce quando compiamo opere sante che lo manifestano al mondo. E un’eco delle parole di Gesù: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli (Mt 5, 16).
San Bonaventura, discepolo e figlio del Poverello, ha sviluppato questo pensiero in un opuscolo intitolato « Le cinque feste di Gesù Bambino » e spiega come fare per rivivere ognuna di esse nella propria vita. Le cinque feste sono: il concepimento, la nascita, la circoncisione, l’Epifania e la Presentazione al tempio.
Di queste cinque feste, ci interessano soprattutto le prime due: il concepimento e la nascita. Per san Bonaventura, l’anima concepisce Gesù quando, scontenta della vita che conduce, stimolata da sante ispirazioni e accendendosi di santo ardore, infine staccandosi risolutamente dalle sue vecchie abitudini e difetti, è come fecondata spiritualmente dalla grazia dello Spirito Santo e concepisce il proposito di una vita nuova. È avvenuta la concezione di Cristo! Una volta concepito, il benedetto Figlio di Dio nasce nel cuore, allorché, dopo aver fatto un sano discernimento, chiesto opportuno consiglio, invocato l’aiuto di Dio, l’anima mette immediatamente in opera il suo santo proposito, cominciando a realizzare quello che da tempo andava maturando, ma che aveva sempre rimandato per paura di non esserne capace.
Ma è necessario insistere su una cosa: questo proposito di vita nuova deve tradursi, senza indugio, in qualcosa di concreto, in un cambiamento, possibilmente anche esterno e visibile, nella nostra vita e nelle nostre abitudini. Se il proposito non e messo in atto, Gesù è concepito, ma non è partorito. E uno dei tanti aborti spirituali. Non si celebrerà mai « la seconda festa » di Gesù Bambino che è il Natale! È uno dei tanti rinvii, di cui è forse stata punteggiata la nostra vita e che sono una delle ragioni principali per cui così pochi si fanno santi.
Se decidi di cambiare stile di vita ed entrare a far parte di quella categoria di poveri ed umili, che, come Maria, cercano solo di trovare grazia presso Dio, senza curarsi di piacere agli uomini, allora devi armarti di coraggio, perché ce ne sarà bisogno. Dovrai affrontare due tipi di tentazione. Ti si presenteranno dapprima – dice san Bonaventura – gli uomini carnali del tuo ambiente a dirti: « È troppo arduo ciò che intraprendi; non ce la farai mai, ti mancheranno le forze, ne andrà di mezzo la tua salute; queste cose non si addicono al tuo stato, comprometti il tuo buon nome e la dignità della tua carica… ».
Superato questo ostacolo, si presenteranno altri che hanno fama di essere e, forse, sono anche di fatto, persone pie religiose, ma che non credono veramente nella potenza di Dio e del suo Spirito. Queste ti diranno che, se cominci a vivere in questo modo – dando tanto spazio alla preghiera, evitando le chiacchiere inutili, facendo opere di carità -, sarai ritenuto presto un santo, un uomo devoto, spirituale, e poiché tu sai benissimo di non esserlo an¬cora, finirai per ingannare la gente ed essere un ipocrita, attirando su di te l’ira di Dio che scruta i cuori.
A tutte queste tentazioni, bisogna rispondere con fede: Non è divenuta troppo corta la mano del Signore da non poter salvare! (Is 59, 1) e, quasi adirandoci con noi stessi, esclamare, come Agostino alla vigilia della sua conversione: « Se questi e queste ce la fanno, perché non anch’io? Si isti et istae, cur non ego? » .
Abbiamo cercato, in queste tre meditazione di Avvento, di prepararci al Natale sotto la guida della Madre di Dio. Ora che siamo giunti alla fine non ci resta che unirci a lei nella contemplazione silenziosa ed estasiata del Dio fatto uomo per noi. La liturgia bizantina dei vespri della vigilia di Natale contiene una preghiera piena di santo orgoglio, che possiamo fare nostra davanti al presepio:
Che cosa possiamo offrirti in dono, o Cristo nostro Dio, per essere apparso sulla terra assumendo la nostra stessa umanità? Ognuna delle creature plasmate dalle tue mani ti offre qualcosa per renderti grazie: gli angeli ti offrono il loro canto, i cieli la stella, i magi i loro doni, i pastori il loro stupore, la terra una grotta, il deserto una mangiatoia. Ma noi ti offriamo una Madre vergine!
Santo Padre, Venerabili Padri, fratelli e sorelle, BUON NATALE A TUTTI.
1.S. Cirillo Alessandrino, Anatematismo I contro Nestorio, en Enchiridion Symbolorum, nr. 252.
2.S. Agostino, Discorsi 72 A (=Denis 25), 7 (Miscelánea Agustiniana, I, p. 162).
3.S. Agostino, De natura et gratia 36, 42 (CSEL 60, p. 263 s).
4.S. Ignazio d’Antiochia, Lettera agli Efesini 7, 2.
5.Dante Alighieri, Paradiso XXXIII, 1
6.Lutero, Commento al Magnificat (ed. Weimar 7, p. 572 s).
7.Lutero, Dei Concili della Chiesa (ed. Weimar, 50, p. 591 s).
8.H. Zwingli, Expositio fidei, en Zwingli Hauptschriften, der Theologe III, Zurigo 1948, p. 319.
9.Calvino, Institutiones II, 14, 4 .
10.Cfr. Origene, Commento al Vangelo di Luca, 22, 3 (SCh 87, p. 302).
11.Lumen Gentium 64
12.S. Ambrogio, Expositio in Lucam, II, 26.
13.S. Massimo Confessore, Commento al Padre nostro (PG 90, 889).
14.S. Francesco d’Assisi, Lettera a tutti i fedeli, 1 (Fonti Francescane nr. 178).
15.S. Bonaventura, De quinque festivitatibus Pueri Jesu (ed. Quaracchi 1949, pp. 207 ss).
16.S. Agostino, Confessioni, VIII, 8, 19

venerdì 13 dicembre 2019

PADRE RANIERO CANTALAMESSA - SECONDA PREDICA DI AVVENTO 2019: "MARIA NELLA VISITAZIONE".



Risultato immagini per LA VISITAZIONE"

In questa meditazione saliamo con Maria “verso la montagna” ed entriamo nella casa di Elisabetta. La Madre di Dio ci parlerà in prima persona con il suo cantico di lode che è il Magnificat. Oggi tutta la Chiesa si stringe intorno al successore di Pietro che celebra il suo 50° di sacerdozio e il cantico della Vergine è la preghiera che più spontaneamente sale dal cuore in circostanze come questa. Una meditazione su di esso è un nostro piccolo modo di partecipare anche in questo momento a tale ricorrenza.
Per comprendere il posto e lo scopo che il cantico della Vergine ha nel vangelo di Luca, è necessario premettere qualche cenno sui cantici evangelici in genere. Gli inni disseminati nei vangeli dell’infanzia – Benedictus, Magnificat, Nunc dimittis – hanno la funzione di spiegare poeticamente il senso spirituale degli eventi narrati -Annunciazione, Visitazione, Natale -, conferendo a essi la forma di una confessione di fede e di lode.
Come tali, essi sono parte integrante della narrazione storica. Non sono degli intermezzi o dei brani staccati, perché ogni evento storico è costituito da due elementi: dal fatto e dal significato del fatto. I cantici inseriscono già la liturgia nella storia. “La liturgia cristiana – è stato scritto – ha i suoi inizi negli inni della storia dell’infanzia” . Noi abbiamo, in altre parole, in questi cantici, un embrione della liturgia natalizia. Essi realizzano l’elemento essenziale della liturgia che è di essere celebrazione festosa e credente dell’evento di salvezza.
Molti problemi rimangono insoluti circa questi cantici, secondo gli studiosi: gli autori reali, le fonti, la struttura interna… Noi possiamo prescindere, fortunatamente, da tutti questi problemi critici e lasciare che essi continuino a essere studiati con frutto da quelli che si occupano di questo genere di problemi. Non dobbiamo attendere che siano risolti tutti questi punti oscuri, per poterci già edificare con questi cantici. Non perché tali problemi non siano importanti, ma perché esiste una certezza che relativizza tutte quelle incertezze: Luca ha accolto questi cantici nel suo vangelo e la Chiesa ha accolto il Vangelo di Luca nel suo canone.
Questi cantici sono “parola di Dio”, ispirata dallo Spirito Santo. Il Magnificat è di Maria perché a essa lo ha “attribuito” lo Spirito Santo e questo fa sì che esso sia più “suo” che se lo avesse scritto materialmente di suo pugno! Infatti a noi non interessa tanto sapere se il Magnificat l’ha composto Maria, quanto sapere se l’ha composto per ispirazione dello Spirito Santo. Se anche fossimo certissimi che esso fu composto direttamente da Maria, esso non ci interesserebbe per questo, ma perché in esso parla lo Spirito Santo.
Il cantico di Maria contiene uno sguardo nuovo su Dio e sul mondo; nella prima parte, che abbraccia i versetti 46-50, lo sguardo di Maria si porta su Dio; nella seconda parte, che abbraccia i restanti versetti, il suo sguardo si porta sul mondo e la storia.
Un nuovo sguardo su Dio
Il primo movimento del Magnificat è verso Dio; Dio ha il primato assoluto su tutto. Maria non si attarda a rispondere al saluto di Elisabetta; non entra in dialogo con gli uomini, ma con Dio. Ella raccoglie la sua anima e la inabissa nell’infinito che è Dio. Nel Magnificat è stata “fissata” per sempre un’esperienza di Dio senza precedenti e senza paragoni nella storia. È l’esempio più sublime del linguaggio cosiddetto numinoso. È stato osservato che l’affacciarsi della realtà divina all’orizzonte di una creatura produce, di solito, due sentimenti contrapposti: uno di timore e uno di amore. Dio si presenta come “il mistero tremendo e affascinante”, tremendo per la sua maestà, affascinante per la sua bontà. Quando la luce di Dio, per la prima volta, brillò nell’anima di Agostino, egli confessa che “tremò di amore e di terrore” e che anche in seguito il contatto con Dio lo faceva “rabbrividire e ardere” insieme .
Troviamo qualcosa di simile nel cantico di Maria, espresso in modo biblico, attraverso i titoli. Dio è visto come “Adonai” (che dice molto di più del nostro “Signore” con cui viene tradotto), come “Dio”, come “Potente” e soprattutto come Qadosh, “Santo”: Santo è il suo nome! Nello stesso tempo, però, questo Dio santo e potente, è visto, con infinita fiducia, come “mio Salvatore”, come realtà benevola, amabile, come “proprio” Dio, come un Dio per la creatura. Ma è soprattutto l’insistenza di Maria sulla misericordia che mette in luce questo aspetto benevolo e “affascinante” della realtà divina. “La sua misericordia si stende di generazione in generazione”: queste parole suggeriscono l’idea di un fiume maestoso che sgorga dal cuore di Dio e attraversa tutta la storia umana. Ora questo fiume è giunto a una “chiusa” e riparte a un livello superiore. “Si è ricordato della sua misericordia”: la promessa ad Abramo e ai Padri si è compiuta.
La conoscenza di Dio provoca, per reazione e contrasto, una nuova percezione o conoscenza di sé e del proprio essere, che è quella vera. L’io non si coglie che di fronte a Dio, “coram Deo. In presenza di Dio, la creatura, dunque, conosce finalmente se stessa nella verità. E così vediamo che avviene anche nel Magnificat. Maria si sente “guardata” da Dio, entra ella stessa in quello sguardo, si vede come la vede Dio. E come vede se stessa in questa luce divina? Come “piccola” (“umiltà” qui significa reale piccolezza e bassezza, non la virtù dell’umiltà!) e come “serva”. Si percepisce come un piccolo nulla che Dio si è degnato di guardare. Maria non attribuisce l’elezione divina alla sua virtù dell’umiltà, ma al favore divino, alla grazia. Pensare diversamente (come hanno fatto certi autori famosi) significa distruggere di colpo l’umiltà di Maria. L’umiltà ha uno statuto tutto speciale: ce l’ha chi non crede di averla; non ce l’ha chi crede di averla.
Da questo riconoscimento di Dio, di sé e della verità, si sprigiona la gioia e l’esultanza: “Il mio spirito esulta…”. Gioia prorompente della verità, gioia per l’agire divino, gioia della lode pura e gratuita. Maria magnifica Dio per se stesso, anche se lo magnifica per ciò che ha fatto in lei, cioè a partire dalla propria esperienza, come fanno tutti i grandi oranti della Bibbia. Il giubilo di Maria è il giubilo escatologico per l’agire definitivo di Dio ed è il giubilo creaturale di sentirsi creatura amata dal Creatore, al servizio del Santo, dell’amore, della bellezza, dell’eternità. È la pienezza della gioia. San Bonaventura, che aveva esperienza diretta degli effetti trasformanti della visita di Dio all’anima, parla della venuta dello Spirito Santo in Maria, al momento dell’Annunciazione, come di un fuoco che la infiamma tutta:
Sopravvenne in lei – scrive – lo Spirito Santo come fuoco divino che infiammò la sua mente e santificò la sua carne conferendole una perfettissima purità [...]. Oh, se tu fossi capace di sentire, in qualche misura, quale e quanto grande fu l’incendio disceso dal cielo, quale refrigerio recato [...]. Se potessi udire il canto giubilante della Vergine!
Anche l’esegesi scientifica più esigente e rigorosa si rende conto che qui ci troviamo davanti a parole che non si possono capire con i normali mezzi di analisi filologica e confessa: “Chi legge queste righe è chiamato a condividere il giubilo; solo la comunità concelebrante dei credenti in Cristo e dei suoi fedeli è all’altezza di questi testi” . È un parlare “nello Spirito” che non si può capire se non nello Spirito.
Un nuovo sguardo sul mondo
Il Magnificat si compone di due parti. Quello che cambia, nel passaggio dalla prima alla seconda parte, non è né il mezzo espressivo né il tono; da questo punto di vista, il cantico è un flusso continuo che non presenta cesure; continua la serie dei verbi al passato che narrano ciò che Dio ha fatto, o meglio ha “cominciato a fare”. Quello che cambia è solo l’ambito dell’agire di Dio: dalle cose che ha fatto “in lei”, si passa a osservare le cose che ha fatto nel mondo e nella storia. Si considerano gli effetti del definitivo manifestarsi di Dio, i suoi riflessi sull’umanità e sulla storia. Qui osserviamo una seconda caratteristica della sapienza evangelica che consiste nell’unire all’ebbrezza del contatto con Dio la sobrietà nel guardare il mondo, nel conciliare tra loro il più grande trasporto e abbandono nei confronti di Dio al più grande realismo critico nei confronti della storia e degli uomini.
Con una serie di potenti verbi all’aoristo, Maria descrive, a partire dal versetto 51, un rovesciamento e un radicale mutamento delle parti tra gli uomini: “Ha rovesciato – ha innalzato; ha ricolmato – ha rimandato a mani vuote”. Una svolta improvvisa e irreversibile, perché opera di Dio che non cambia e non torna indietro, come invece fanno gli uomini nelle loro cose. In questo mutamento emergono due categorie di persone: da una parte la categoria dei superbi-potenti-ricchi, dall’altra la categoria degli umili-affamati.
È importante che noi comprendiamo in che consiste un tale rovesciamento e dove si produce, perché diversamente c’è il rischio di fraintendere tutto il cantico e con esso le beatitudini evangeliche che sono qui anticipate quasi con le stesse parole. Guardiamo alla storia: che cosa è accaduto, di fatto, quando ha preso a realizzarsi l’avvenimento cantato da Maria? C’è forse stata una rivoluzione sociale ed esterna, per cui i ricchi sono, di colpo, impoveriti e gli affamati sono stati saziati di cibo? C’è stata forse una più giusta distribuzione dei beni tra le classi? No. Forse che i potenti sono stati rovesciati materialmente dai troni e gli umili innalzati? No; Erode ha continuato a essere chiamato “il Grande” e Maria e Giuseppe sono dovuti fuggire in Egitto a causa sua.
Se dunque quello che ci si aspettava era un cambiamento sociale e visibile, c’è stata una smentita totale da parte della storia. Allora dove è accaduto quel rovesciamento? (Perché esso è accaduto!). È accaduto nella fede! Si è manifestato il regno di Dio e questa cosa ha provocato una silenziosa, ma radicale rivoluzione. Come se si fosse scoperto un bene che, di colpo, ha svalutato la moneta corrente. Il ricco appare come un uomo che ha messo da parte un’ingente somma di denaro, ma nella notte c’è stata una svalutazione del cento per cento e al mattino si è alzato che era un povero miserabile. I poveri e gli affamati, al contrario, sono avvantaggiati, perché sono più pronti ad accogliere la nuova realtà, non temono il cambiamento; hanno il cuore pronto. Il rovesciamento cantato da Maria è dello stesso tipo – dicevo – di quello proclamato da Gesù con le beatitudini e con la parabola del ricco epulone.
Maria parla di ricchezza e povertà a partire da Dio; ancora una volta, parla “coram Deo”, prende come misura Dio, non l’uomo. Stabilisce il criterio “definitivo”, escatologico. Dire dunque che si tratta di un rovesciamento avvenuto “nella fede”, non significa dire che esso è meno reale e radicale, meno serio, ma che lo è infinitamente di più. Questo non è un disegno creato dall’onda sulla sabbia del mare che l’onda successiva cancella. Si tratta di una ricchezza eterna e di una povertà ugualmente eterna.
Il Magnificat sulla bocca della Chiesa
Sant’Ireneo, commentando l’Annunciazione, dice che “Maria, piena di esultanza, gridò profeticamente in nome della Chiesa: “L’anima mia magnifica il Signore” . Maria è come la voce solista che intona per prima un’aria che deve essere poi ripetuta dal coro. È questa una pacifica convinzione della Tradizione. Anche Origene la fa sua: “È per costoro (cioè per quelli che credono) che Maria magnifica il Signore”15. Anche lui parla di una “profezia di Maria”, a proposito del Magnificat16. Questo vuol dire l’espressione “Maria figura della Chiesa” (typus Ecclesiae), usata dai Padri e accolta dal concilio Vaticano II (cf LG 63). Dire che Maria è “figura della Chiesa” significa dire che ne è la personificazione, la rappresentazione in forma sensibile di una realtà spirituale; significa dire che è modello della Chiesa. Ella è figura della Chiesa anche nel senso che nella sua persona si realizza, fin dall’inizio e in maniera perfetta, l’idea di Chiesa; che ella ne costituisce, sotto il capo che è Cristo, il membro principale, e la primizia.
Ma cosa vuol dire qui “Chiesa” e al posto di quale Chiesa Ireneo dice che Maria intona il Magnificat? Non al posto della Chiesa nominale, ma della Chiesa reale, cioè non della Chiesa in astratto, ma della Chiesa concreta, delle persone e delle anime che compongono la Chiesa. Il Magnificat non è solo da recitare, ma da vivere, da far proprio da ciascuno di noi; è il “nostro” cantico. Quando diciamo: “L’anima mia magnifica il Signore”, quel “mia” è da prendere in senso diretto, non riportato.
Sia in ciascuno – scrive sant’Ambrogio – l’anima di Maria per magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio [...]. Se infatti secondo la carne una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio .
Alla luce di questi princìpi, proviamo ora ad applicare a noi – alla Chiesa e all’anima – il cantico di Maria, e vedere cosa dobbiamo fare per “somigliare” a Maria non solo nelle parole, ma anche nei fatti.
Una scuola di conversione evangelica
Là dove Maria proclama il rovesciamento dei potenti e dei superbi, il Magnificat ricorda alla Chiesa qual è l’annuncio essenziale che deve proclamare al mondo. Le insegna a essere anch’essa “profetica”. La Chiesa vive e attua il cantico della Vergine quando ripete con Maria: “Ha rovesciato i potenti, ha rimandato i ricchi a mani vuote!”, e lo ripete con fede, distinguendo questo annuncio da tutti gli altri pronunciamenti che pure ha diritto di fare, in materia di giustizia, di pace, di ordine sociale, in quanto interprete qualificata della legge naturale e custode del comandamento di Cristo dell’amore fraterno.
Se le due prospettive sono distinte, non sono però separate e senza alcun influsso reciproco. Al contrario, l’annuncio di fede di ciò che Dio ha fatto nella storia della salvezza (che è la prospettiva in cui si colloca il Magnificat) diventa la migliore indicazione di ciò che l’uomo deve fare, a sua volta, nella propria storia umana e, anzi, di ciò che la Chiesa stessa ha il compito di fare, in forza della carità che deve avere anche per il ricco, in vista della sua salvezza. Più che “un incitamento a rovesciare i potenti dai troni per innalzare gli umili”, il Magnificat è un salutare ammonimento rivolto ai ricchi e ai potenti circa il tremendo pericolo che corrono, esattamente come sarà, nelle intenzioni di Gesù, la parabola del ricco epulone.
Quello del Magnificat non è dunque l’unico modo di affrontare il problema, oggi così sentito, di ricchezza e povertà, fame e sazietà; ce ne sono altri anch’essi legittimi che partono dalla storia, e non dalla fede, e ai quali giustamente i cristiani danno il loro appoggio e la Chiesa il suo discernimento. Ma questo modo evangelico è quello che la Chiesa deve proclamare sempre e a tutti come suo mandato specifico e con il quale deve sostenere lo sforzo comune di tutti gli uomini di buona volontà. Esso è universalmente valido e sempre attuale. Se per ipotesi (ahimè, remota!) ci fossero un tempo e un luogo in cui non ci fossero più ingiustizie e disuguaglianze sociali tra gli uomini, ma tutti fossero ricchi e sazi, non per questo la Chiesa dovrebbe cessare di proclamare lì, con Maria, che Dio rimanda i ricchi a mani vuote. Anzi, lì dovrebbe proclamarlo con ancora maggiore forza. Il Magnificat è attuale nei paesi ricchi, non meno che nei paesi del terzo mondo.
Ci sono piani e aspetti della realtà che non si colgono a occhio nudo, ma solo con l’ausilio di una luce speciale: o con i raggi infrarossi, o con i raggi ultravioletti. L’immagine ottenuta con questa luce speciale è molto diversa e sorprendente per chi è abituato a vedere quello stesso panorama alla luce naturale. La Chiesa possiede, grazie alla parola di Dio, un’immagine diversa della realtà del mondo, l’unica definitiva, perché ottenuta con la luce di Dio e perché è quella stessa che ha Dio. Essa non può occultare tale immagine. Deve anzi diffonderla, senza mai stancarsi, renderla nota agli uomini, perché ne va del loro destino eterno. È l’immagine che alla fine resterà quando sarà passato “lo schema di questo mondo”. Renderla nota, a volte, con parole semplici, dirette e profetiche, come quelle di Maria, come si dicono le cose di cui si è intimamente e tranquillamente persuasi. E questo anche a costo di sembrare ingenua e fuori dal mondo, di fronte all’opinione dominante e allo spirito del tempo.
L’Apocalisse ci dà un esempio di questo linguaggio profetico, diretto e coraggioso, in cui, all’opinione umana, viene contrapposta la verità divina: “Tu dici [e questo “tu” può essere la singola persona, come può essere un’intera società]: “Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla!”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo” (Ap 3, 17).
In una celebre favola di Andersen, si parla di un re a cui è stato fatto credere, da lestofanti, che esiste una stoffa meravigliosa che ha la prerogativa di essere invisibile agli sciocchi e inetti e visibile solo ai savi. Egli, per primo, naturalmente, non la vede, ma ha paura di dirlo, per tema di passare per uno degli sciocchi, e così fan tutti i suoi ministri e tutto il popolo. Il re sfila per le strade senza nulla addosso, ma tutti, per non tradirsi, fingono di ammirare il bellissimo vestito, finché si ode la vocina di un bambino che grida tra la folla: “Ma il re è nudo!”, rompendo l’incantesimo, e tutti finalmente hanno il coraggio di ammettere che quel famoso vestito non esiste.
La Chiesa deve essere come la vocina di quel bambino, la quale, a un certo mondo tutto infatuato delle proprie ricchezze e che induce a ritenere pazzo e sciocco chi mostra di non credere in esse, ripete, con le parole dell’Apocalisse: “Tu non sai di essere nudo!”. Qui si vede come davvero Maria, nel Magnificat, “parla profeticamente per la Chiesa”: ella, per prima, partendo da Dio, ha messo a nudo la grande povertà della ricchezza di questo mondo. Il Magnificat, da solo, giustifica il titolo di “Stella dell’evangelizzazione” che san Paolo VI ha attribuito a Maria nella sua “Evangelii nuntiandi”.
Il Magnificat, richiamo alla conversione
Sarebbe fraintendere completamente questa parte del Magnificat che parla dei superbi e degli umili, dei ricchi e degli affamati, se la confinassimo solo nell’ambito delle cose che la Chiesa e il credente devono predicare al mondo. Qui non si tratta di qualcosa che si deve solo predicare, ma di qualcosa che si deve anzitutto praticare. Maria può proclamare la beatitudine degli umili e dei poveri perché è lei stessa tra gli umili e i poveri. Il rovesciamento da lei prospettato deve avvenire anzitutto nell’intimo di chi ripete il Magnificat e prega con esso. Dio – dice Maria – ha rovesciato i superbi “nei pensieri del loro cuore”.
Di colpo, il discorso è portato da fuori a dentro, dalle discussioni teologiche, in cui tutti hanno ragione, ai pensieri del cuore, in cui tutti abbiamo torto. L’uomo che vive “per se stesso”, il cui Dio non è il Signore, ma il proprio “io”, è un uomo che si è costruito un trono e vi siede sopra dettando legge agli altri. Ora Dio – dice Maria – rovescia questi tali dal loro trono; mette a nudo la loro non-verità e ingiustizia. C’è un mondo interiore, fatto di pensieri, volontà, desideri e passioni, dal quale – dice san Giacomo – provengono le guerre e le liti, le ingiustizie e i soprusi che sono in mezzo a noi (cf Gc 4, 1) e finché nessuno comincia con il risanare questa radice, nulla cambia veramente nel mondo e se qualcosa cambia è per riprodurre, di lì a poco, la stessa situazione di prima.
Come ci raggiunge da vicino il cantico di Maria, come ci scruta a fondo e come mette davvero “la scure alla radice”! Che stoltezza e incoerenza sarebbe mai la mia, se ogni giorno, ai Vespri, ripetessi, con Maria, che Dio “ha rovesciato i potenti dai troni” e intanto continuassi a bramare il potere, un posto più alto, una promozione umana, un avanzamento di carriera e perdessi la pace se esso tarda ad arrivare; se ogni giorno proclamassi, con Maria, che Dio “ha rimandato i ricchi a mani vuote” e intanto bramassi senza posa di arricchire e di possedere sempre più cose e cose sempre più raffinate; se preferissi essere a mani vuote davanti a Dio, anziché a mani vuote davanti al mondo, vuote dei beni di Dio, piuttosto che vuote dei beni di questo mondo. Che stoltezza sarebbe la mia se continuassi a ripetere, con Maria, che Dio “guarda verso gli umili”, che si accosta a loro, mentre tiene a distanza i superbi e i ricchi di tutto, e poi fossi di quelli che fanno esattamente il contrario.
Tutti i giorni – ha scritto Lutero commentando il Magnificat – dobbiamo constatare che ognuno si sforza di elevarsi al di sopra di sé, a una posizione d’onore, di potenza, di ricchezza, di dominio, a una vita agiata e a tutto ciò che è grande e superbo. E ognuno vuole stare con tali persone, corre loro dietro, le serve volentieri, ognuno vuol partecipare alla loro grandezza [...]. Nessuno vuole guardare in basso, dove c’è povertà, vituperio, bisogno, afflizione e angoscia, anzi tutti distolgono lo sguardo da una tale condizione. Ognuno sfugge le persone così provate, le scansa, le lascia sole, nessuno pensa di aiutarle, di assisterle e di far sì che esse pure divengano qualche cosa: devono rimanere in basso ed essere disprezzate .
Dio – ci ricorda Maria – fa l’opposto di questo: tiene a distanza i superbi e innalza fino a sé gli umili e i piccoli; sta più volentieri con i bisognosi e gli affamati che lo tempestano di suppliche e di richieste, che non con i ricchi e i sazi che non hanno bisogno di lui e non gli chiedono nulla. Così facendo, Maria ci esorta, con dolcezza materna, a imitare Dio, a far nostra la sua scelta. Ci insegna le vie di Dio. Il Magnificat è davvero una meravigliosa scuola di sapienza evangelica. Una scuola di conversione continua.
Come tutta la Scrittura, esso è uno specchio (cf Gc 1, 23) e sappiamo che dello specchio si possono fare due usi molto diversi. Lo si può usare rivolto verso l’esterno, verso gli altri, come specchio ustorio, proiettando la luce del sole verso un punto lontano fino a incendiarlo, come fece Archimede con le navi romane, oppure lo si può usare tenendolo rivolto verso di sé, per vedere in esso il proprio volto e correggerne i difetti e le brutture. San Giacomo ci esorta a usarlo soprattutto in questo secondo modo, per mettere “a fuoco” noi stessi, prima che gli altri.
“La Scrittura – diceva san Gregorio Magno – cresce a forza di essere letta” . Lo stesso avviene del Magnificat, le sue parole sono arricchite, non consunte, dall’uso. Prima di noi schiere di santi o di semplici credenti hanno pregato con queste parole, ne hanno assaporato la verità, messo in pratica il contenuto. Per la comunione dei santi nel corpo mistico, tutto questo immenso patrimonio aderisce ora al Magnificat. È bene pregarlo così, in coro, con tutti gli oranti della Chiesa. Dio lo ascolta così.
Per entrare in questo coro che attraversa i secoli, basta che noi intendiamo ripresentare a Dio i sentimenti e il trasporto di Maria che per prima lo intonò “in nome della Chiesa”, dei dottori che lo commentarono, degli artisti che lo musicarono con fede, dei pii e degli umili di cuore che lo vissero. Grazie a questo meraviglioso cantico, Maria continua a magnificare il Signore per tutte le generazioni; la sua voce, come quella di una corifea, sostiene e trascina quella della Chiesa.
Un orante del salterio invita tutti a unirsi a lui, dicendo: “Magnificate il Signore con me” (Sal 34, 4). Maria ripete ai suoi figli le stesse parole. Se posso osare interpretare il suo pensiero, il Santo Padre, nel giorno del suo Giubileo sacerdotale, rivolge a tutti noi lo stesso invito: “Magnificate il Signore con me”. E noi, Santità, promettiamo di farlo.
1 H. Schürmann, Il Vangelo di Luca, I, Paideia, Brescia 1983, p. 251.
2. Cf S. Agostino, Confessioni, VII, 16; XI, 9.
3.S. Bonaventura, Lignum vitae, I, 3.
4.H. Schürmann, Il Vangelo di Luca, cit., p. 172.
5.S. Ireneo, Contro le eresie, III, 10, 2 (SCh 211, p. 118).
6.S. Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca, II, 26 (CC 14, p. 42).
7.Ed. Weimar, 7, p. 547.
8.S. Gregorio Magno, Moralia, 20, 1 (PL 76, 135).

venerdì 6 dicembre 2019

"Hay que hacer comunidades cristianas como la Santa Familia de Nazaret..."




La «aparición» de la Virgen a Kiko Argüello un día de la Inmaculada que inspiró el nacimiento del Camino Neocatecumenal

La Inmaculada Concepción tiene históricamente una profunda vinculación con España, hasta el punto de que es la Patrona del país. Y fueron precisamente los católicos españoles, que llevaban siglos celebrando esta fiesta, los que tuvieron un papel fundamental en que este dogma fuera finalmente reconocido por la Iglesia en 1854.
Esta relación entre la Inmaculada y España se manifiesta de otras muchas maneras y una de ellas es el papel fundamental que esta advocación de la Inmaculada ha tenido en el nacimiento del Camino Neocatecumenal, una de las realidades eclesiales más potentes en este momento en el catolicismo, y nacida precisamente entre los más pobres de la periferia de Madrid en la década de 1960.

Los iniciadores del Camino Neocatecumenal, Kiko Argüello y la ya fallecida Carmen Hernández, dieron a esta realidad un papel preponderante a la Virgen María y en numerosas ocasiones han asegurado que Ella “inspiró” este Camino. De hecho, todas sus celebraciones están presididas por una imagen de María.
La visión de la Virgen
Sin embargo, cuando Kiko Argüello habla de la Inmaculada como “inspiración” del Camino Neocatecumenal se refiere concretamente a una visión de la Virgen que tuvo él mismo en 1959, precisamente el 8 de diciembre, festividad de la Inmaculada, y del que este domingo se cumplen justamente 60 años.
Este hecho extraordinario se produjo cuando Kiko apenas tenía 20 años y en su dormitorio de la casa de sus padres situada en la calle Blasco de Garay de Madrid. El mismo Kiko relataba brevemente hace unos días aquel acontecimiento que por ende afectaría después a millones de personas que durante las décadas posteriores se encontraron con Cristo, y con su Madre la Virgen, a través del Camino Neocatecumenal.

Durante una convivencia celebrada en España este mes de noviembre, el iniciador de esta realidad eclesial relató aquella visión. Eran las 3 de la tarde del 8 de diciembre de 1959. “Después de comer sentí que tenía que ir a mi cuarto a rezar. Fui a la habitación, me puse de rodillas sobre la cama y, de pronto, la Virgen María estaba detrás de mí con el niño y dijo esta frase: ‘Hay que hacer comunidades cristianas como la Santa Familia de Nazaret, que vivan en humildad, sencillez y alabanza; el otro es Cristo’. Y se calló”, relató Kiko.
“Yo no merezco esta aparición”
“Esto, lo creeréis o no lo creeréis, pero es la verdad. La Virgen bajó del cielo con su Hijo y se presentó en mi habitación. Yo no merezco esta aparición de la Virgen, pero lo hizo”, recalcó el iniciador del Camino. La realidad es que 60 años después de aquellas palabras de María hay más de 21.000 comunidades repartidas en más de 130 países que viven en estas pequeñas “comunidades”, de entre 30 y 60 personas cada una.

En aquel 1959, Kiko Argüello había ganado un Premio Nacional de Pintura y en plena universidad había pasado momentos turbulentos que le habían alejado de Dios hasta el extremo. “Me fui alejando de la Iglesia hasta dejarla totalmente. Había entrado en una profunda crisis buscando el sentido de mi vida. En Bellas Arte hice teatro. Conocí el teatro de Sartre y milité en esta línea un poco atea. Me dediqué a pintar, a hacer exposiciones… Dios permitió que yo hiciese una experiencia de ateísmo, o, si queréis, una kenosis, un profundo descenso al infierno de mi existencia, una existencia sin Dios”, contaba Kiko en otra ocasión.
El momento en el que entendió el mensaje de la Virgen
En una profunda crisis debido a este sinsentido, Kiko explicó que entró en este mismo dormitorio, “y me puse a gritar a este Dios que no lo conocía. Le gritaba: ¡Ayúdame! ¡No sé quién eres! Y en aquel momento el Señor tuvo piedad de mí, pues tuve una experiencia profunda de encuentro con el Señor que me sobrecogió. Recuerdo que lloraba amargamente, me caían las lágrimas, lágrimas a ríos”. Ahí empezaría el cambio en su vida.

Y fue en este contexto de vuelta a la fe cuando la Virgen le dijo estas palabras de formar comunidades. Él mismo reconoce que en aquel momento no entendió qué quería decirle María con esto. Fue unos pocos años después cuando escandalizado por el sufrimiento de los inocentes decidió irse con una Biblia y una guitarra a vivir con los pobres de las chabolas de Palomeras Altas de Vallecas. Allí, donde él sólo quería estar al pie de la cruz fueron tomando todo el sentido aquellas palabras de la Virgen. Y entre los más pobres de los pobres de España nacieron estas comunidades que serían el germen del Camino Neocatecumenal. Las palabras de la Virgen se habían cumplido.
El Santísimo oculto durante la Guerra Civil
Hay un detalle menos conocido sobre esta experiencia de Kiko con la Virgen que cabe la pena destacar. Durante la guerra civil española y cuando esta casa todavía no pertenecía a la familia de Argüello, el Santísimo Sacramento estuvo oculto durante toda la contienda en el que luego sería el dormitorio de Kiko y el lugar en el que la Virgen se le apareciese.

Ante el temor de que las milicias anticlericales asaltaran y profanaran la Eucaristía de la cercana iglesia de los jesuitas, los sacerdotes y la familia de aquella casa decidieron que el Santísimo se expusiera en secreto en esta habitación. Y así  fue hasta el final de la guerra, veinte años antes de que de ese pequeño habitáculo de no más 6 metros cuadrados surgiera la inspiración de una realidad que llevaría a la Iglesia y a Dios muchas almas.
Un icono de María para recordar aquel momento
Para recordar aquel momento del 8 de diciembre de 1959, Kiko Argüello pintó en 1973 un icono en el que aparecen la Virgen y el niño Jesús en el que añadió la frase que recibió de boca de María: “Hay que hacer comunidades cristianas como la Santa Familia de Nazaret, que vivan en humildad, sencillez y alabanza; el otro es Cristo”. El original, pintado al estilo oriental, se expone en estos momentos en una capilla lateral de la catedral de la Almudena de Madrid y es ahora una de las imágenes marianas más conocidas estando presente en decenas de miles de hogares y parroquias de todo el mundo.

El amor a Cristo es la única verdad. ¡Amad a Cristo, amad a Cristo, el resto es todo vanidad! Y si de pronto te das cuenta de que no tienes amor a Cristo, por favor, esta misma noche llama a la Virgen María y reza un Misterio del Rosario, o diecisiete, los que quieras, pero pídele a la Virgen María que te dé amor a su Hijo. El amor a Cristo es la única verdad, el resto es todo vanidad. Este Adviento tenéis que pedirle a la Virgen María que os dé fuerzas para rezar el Rosario. Y para que el Rosario os lleve a amar a Cristo, a amar a los hermanos; a considerarte el último”.

Donald Carroll: La casa di Maria


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Donald Carroll
La casa di Maria
Una storia meravigliosa:
come fu scoperta a Efeso l’abitazione della Vergine Maria
Edizioni San Paolo


Titolo originale dell'opera: MARYS HOUSE. The extraordinary story behind the discovery of the house where the Virgin Mary lived and died - Donald Carroll, 2000 - First published in Great Britain in 2000 by Veritas Books - Traduzione dall'inglese di Paolo Pellizzari

PREFAZIONE
La casa sulla Collina degli Usignoli
«Vicino alla croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vista la madre e presso di lei il discepolo che amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Quindi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo la prese in casa sua» (Giovanni 19, 25-27).
Cosi l'apostolo ed evangelista Giovanni racconta la presenza di Maria presso la croce di Gesù. Gli Atti degli Apostoli ricordano poi la presenza di Maria al momento della Pentecoste: «Tutti costoro attendevano costantemente con un cuor solo alla preghiera con le donne e Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui» (Atti 1,14). Dopo di che, a parte qualche vago accenno, di lei non si hanno più notizie precise nel Nuovo Testamento.
Fortunatamente, però, Maria non scompare dalla memoria dei cristiani. Ad esempio, secondo la tradizione, negli anni successivi alla lapidazione di Stefano, nel 37 d.C., quando s'inasprì in Gerusalemme la persecuzione contro i seguaci di Cristo, Giovanni condusse con sé Maria a Efeso, sulle coste dell' attuale Turchia bagnate dal Mar Egeo. Efeso, oltre a essere una delle più grandi città dell'Impero romano, era anche la capitale della provincia d'Asia, e sarebbe divenuta, secondo le parole dello storico francese Ernest Renan (1823-1892), «la seconda provincia di Dio». Effettivamente essa fu una delle basi di lancio del cristianesimo: è lì che Paolo predicò per tre anni e scrisse le sue lettere ai Corinzi; lì Giovanni scrisse il suo Vangelo. E lì, dopo la morte di Giovanni, sulla sua tomba furono costruiti prima un memoriale e successivamente una grande basilica.
Ma che cosa è avvenuto di Maria? Comprensibilmente, Giovanni e le altre persone responsabili della sua vita non erano interessati ad attirare l'attenzione sulla sua presenza a Efeso, città dominata dall'imponente tempio di Artemide, dedicato al culto della Dea Madre: Oltre tutto, era compito loro e non suo sfidare il paganesimo nel mondo greco-romano e diffondere la "buona notizia" di Cristo. Il suo ruolo era semplicemente quello di tenere un profilo basso; per il bene suo e di tutti. Sfortunatamente per gli storici che si sono succeduti nei secoli, Maria c'è riuscita fin troppo bene!
Tuttavia essa non scomparve dai pensieri della crescente comunità cristiana di Efeso, che conservò viva la memoria del tempo da lei trascorso in mezzo ad essa. Non sorprende, quindi, che nel IV secolo la prima chiesa nella cristianità a essere dedicata alla Vergine Maria sia stata costruita a Efeso. Vale la pena ricordare che, all' epoca, una chiesa poteva essere dedicata a un santo solamente se questi era vissuto in quel posto o vi aveva subìto il martirio. E non è solo una pura coincidenza che quando, nel 431 d.C., fu convocato il III Concilio Ecumenico per proclamare Maria Madre di Dio, esso si sia riunito proprio nella chiesa dedicata alla Vergine Maria a Efeso.
Eppure solo nel XIX secolo si fecero tentativi per scoprire come e dove esattamente Maria fosse vissuta; in altre parole, per collegare la Maria celeste, la Regina del cielo, alla Maria terrena, l'anziana signora "addolorata" che aveva trascorso i suoi ultimi anni lontano dal tumulto che accompagnava la diffusione di quella religione che l'avrebbe «esaltata su tutte le donne».
L'uomo che per primo cercò di localizzare l'ultima dimora di Maria fu un prete parigino, don Julien Gouyet. Gli era capitato in mano un libro che raccontava dettagliatamente le visioni avute da una monaca tedesca inferma e segnata dalle stigmate, morta mezzo secolo prima. In quelle visioni la monaca descriveva, fornendo abbondanti particolari, la casa dove Maria da ultimo era vissuta e indicava anche la sua localizzazione. Don Gouyet fu affascinato dal libro, tanto che nel 1881 si recò ad Efeso per cercare la casa, seguendo le indicazioni della monaca. La trovò, infatti, sulla sommità della Bülbül Dagi, la "Collina degli Usignoli", appena a sud di Efeso. O quantomeno pensò di averla trovata. Ma dopo che ebbe riferito la scoperta ai suoi superiori a Parigi e a Roma, su questo argomento scese presto un velo di silenzio. Nessuno prese sul serio le sue affermazioni. Ci vollero altri dieci anni prima che, nel 1891, una serie di spedizioni alla casa raccogliesse testimonianze sufficienti a convincere le autorità ecclesiastiche che essa non era un vecchio rudere qualunque; e poi ancora altri anni di scavi e ricerche prima che gli studiosi fossero disposti ad accettare la possibilità che la casa sulla Collina degli Usignoli fosse davvero quella che aveva abitato Maria.
A questo punto devo confessare che la mia prima reazione alla "versione pia" sulle origini della casa non è stata dissimile da quella degli ecclesiastici. Anche dopo diverse visite ero decisamente scettico. Dopo tutto, mi sembrava difficilmente credibile che un vecchio edificio di pietra, per quanto remoto, per quanto piccolo e privo di attrazione, fosse passato inosservato per milleottocento anni. Inoltre la possibilità di crederci era messa alla prova ancor più dal fatto che la casa era stata "vista" per prima da una monaca malata mai uscita dalla Germania e le cui visioni avevano portato alla sua scoperta: un procedimento davvero strano!... Infine, se la scoperta era veramente un evento speciale, perché sulla casa non era reperibile nemmeno un libro, né sul luogo stesso né in qualche libreria delle città vicine?
D'altra parte, bisogna ammettere che anche la leggendaria Troia era riuscita a scomparire per tremila anni, mentre la stessa Efeso, città un tempo splendente di marmi, era sparita dalla vista per cinque secoli. Inoltre la scoperta di Troia nel 1873 da parte di Heinrich Schliemann era stata resa possibile solo dalla determinazione ostinata dell' archeologo nel seguire gli indizi presenti nell'Iliade, sicuramente non l'opera storiografica più affidabile. Efeso, invece, sarebbe rimasta sepolta per sempre sotto terra, se un ingegnere inglese, archeologo dilettante, John Turde Wood, non avesse seguito la descrizione di una processione trovata su un frammento di pietra. E, quindi, forse non si dovrebbe essere tentati di giudicare l'autenticità di una scoperta dalla maniera in cui viene fatta.
Ma tutto questo lasciava ancora aperto l'interrogativo sul perché, a quanto sembrava, non ci fosse un libro sull'argomento. C'erano le solite brochures e libretti turistici, che si ripetevano o si contraddicevano l'un l'altro, in un inglese straordinariamente eccentrico; ma non c'era un racconto affidabile su quello che era avvenuto effettivamente in quelle zone montagnose oltre un secolo fa o, per la storia in questione, venti secoli or sono. Con la curiosità alimentata dalla frustrazione, mi rivolsi a internet, alle agenzie specializzate nella ricerca di libri e ai migliori antiquari di libri. All'inizio i risultati furono deludenti, poi, un po' alla volta, cominciarono a emergere piccole informazioni, alcune in inglese ma più sovente in francese, tedesco e turco, paragonabili a quei frammenti di vetro in forme e colori diversi, che speri - e poi cominci a crederci! - possano formare una finestra di vetro colorato, se ricomposti convenientemente.
E ora si può credere alla mia ricostruzione? Sì, perché ritengo che i fatti della storia siano stati assemblati con scrupoloso rispetto e attenzione, e perché in nessun momento la storia è stata rielaborata per accomodarla a esigenze religiose. Tuttavia bisogna realisticamente ammettere che la permanenza di Maria sulla Collina degli Usignoli, per quanto la cosa possa risultare suggestiva e commovente, rimane un indizio, una possibilità, al massimo una probabilità, e così forse resterà per sempre, in un certo senso non diversamente da altre affermazioni basate su pie e persistenti tradizioni religiose storicamente indimostrabili.
Ma credere che sulla Collina degli Usignoli sia stata scoperta davvero la casa di Maria, a me, sinceramente, sembra essere quanto di meno difficile - e improbabile esista al mondo!
I
La città di Efeso al tempo di Maria e Giovanni
Negli anni immediatamente successivi alla morte e risurrezione di Gesù, la piccola setta di agitatori conosciuti come cristiani godette, a Gerusalemme, di un periodo di relativa tolleranza. Ma quando il loro numero e la loro influenza aumentarono, la pazienza delle autorità giudaiche cominciò a diminuire, finché nel 37 d.C. scomparve del tutto. Quell'anno vide il martirio di santo Stefano e con esso l'inizio della persecuzione diretta della comunità cristiana di Gerusalemme. Nel corso dei cinque anni successivi la persecuzione divenne più crudele, raggiungendo il suo culmine nel 42 d.C., quando Erode Agrippa I salì al trono e ordinò l'imprigionamento di san Pietro e la decapitazione di san Giacomo, fratello di san Giovanni.
Fu così che, in quel frangente, la maggior parte dei cristiani, compresi probabilmente san Giovanni e la Vergine Maria, fuggirono. Molti trovarono rifugio in Giudea e in Samaria, ma coloro che, come Giovanni, erano incaricati di diffondere il messaggio di Gesù, andarono più lontano. Giovanni raggiunse Efeso e, fedele al suo impegno con Gesù morente, condusse con sé Maria e diversi altri credenti.
È difficile immaginare le difficoltà di un viaggio di quella lunghezza, in quelle condizioni, su quel terreno. Maria soprattutto dovette soffrire durante quella lunga fuga fuori della Terra Santa: all' epoca poteva avere una sessantina d'anni. Non possiamo immaginare la reazione di questo gruppetto di rifugiati alla vista dello splendore di Efeso: essa era una delle più grandi città dell'Oriente, uno dei più importanti centri economici dell'Impero romano, sede della prima banca del mondo, città di grandi ricchezze e tra le più popolose. L'effetto dev'essere stato sorprendente.

1. Sguardo panoramico sulla città
Avvicinandosi a Efeso, lungo quella che viene ora chiamata la via della Vergine Maria, devono essersi trovati di fronte alle imponenti mura della città costruite da Lisimaco, generale di Alessandro Magno e poi suo successore, nel III secolo a.c. Sulla sinistra le mura si sviluppavano lungo le pendici superiori della Collina degli Usignoli. Entrando per la Porta di Magnesia, si raggiungeva dapprima l'Agorà statale: un'imponente piazza pubblica circondata da edifici che servivano da centro amministrativo della città. Lungo il lato nord, di fronte alla strada, si trovava una grandiosa basilica che ospitava i tribunali. La piazza stessa, un' area semisacra dove si tenevano riunioni politiche e religiose, era nascosta alla vista, ma il grande frastuono che arrivava da essa ne segnalava l'importanza. Appena oltre l'Agorà, dall'altra parte della via, si trovavano le otto grandi colonne dori che del Pritanèo, dietro il quale bruciava giorno e notte la fiamma sacra di Efeso. Più lontano si trovavano imponenti monumenti e fontane che insieme costituivano il sigillo imperiale di Roma.
Proseguendo si arrivava al passaggio ad arco che si apriva sulla via dei Cureti, che prendeva il nome da un particolare ordine di sacerdoti consacrati ad Artemide. Essa conduceva giù verso il centro della città. La via era delimitata da statue marmoree raffiguranti i dignitari di Efeso ed era fiancheggiata da portici con pavimenti mosaicati. Su questi portici si alzavano da entrambi i lati degli edifici, soprattutto pubblici e commerciali sulla destra, privati e residenziali sulla sinistra; ancora a sinistra, su per il pendio della collina, si erigevano le ville dei ricchi e dei potenti.
Svoltando a destra in fondo alla via dei Cureti, Maria e i suoi compagni si sarebbero trovati di fronte a una delle viste più straordinarie del mondo antico. Sulla sinistra si trovava la monumentale Porta a tre archi di Mazzeo e Mitridate, attraverso la quale si accedeva all'Agorà commerciale, la piazza del mercato della città. Al suo esterno, lungo più di un centinaio di metri, si trovavano file di negozi dietro gallerie con portici. Più avanti, al di là della strada, sulla destra, si trovava il Teatro Grande, un impressionante anfiteatro costruito sul pendio della collina che poteva accogliere 24.000 spettatori. E più oltre, in lontananza, si trovava l'imponente tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo, lungo 155 metri e largo 55, con una doppia fila di colonne monolitiche alte 22 metri che circondavano le mura: il più grande edificio del mondo, interamente costruito in marmo.
Poi, guardando dal Teatro Grande giù verso il porto, si trovava la via del Porto (successivamente chiamata via Arcadiana dal nome dell'imperatore Arcadio, inizio del V secolo), un'ampia strada fiancheggiata da colonne, pavimentata di marmo e affiancata da negozi dietro enormi colonne. Tra i negozi e le colonne correvano vialetti pedonali pavimentati con elaborati mosaici. Di notte la via, lunga oltre cinquecento metri, era illuminata da cinquanta grandi torce, il che faceva di Efeso, insieme a Roma e Antiochia, una delle tre città antiche che avesse strade illuminate. Ma la via del Porto non era solo una ricca arteria mercantile di grande traffico: siccome terminava presso il porto, sempre affollato di navi provenienti da tutto il mondo conosciuto, essa era anche la via di accesso cerimoniale alla città, attraverso la quale erano passati imperatori, personaggi potenti e altre figure storiche, tra le quali Antonio e Cleopatra, nelle loro visite a Efeso.
Si ritiene che Maria abbia trascorso i suoi primi mesi a Efeso in una casa a nord della via del Porto, vicino a un' ampia arena sportiva, mentre Giovanni faceva costruire per lei una casa sulla Collina degli Usignoli. Ovviamente, non avrebbe senso speculare sulle circostanze esatte della vita di Maria a Efeso, ma si possono quantomeno dire due cose con un certo grado di sicurezza. La prima e più importante: è improbabile che si sia sentita in pericolo di fronte alle autorità locali. Il governo della città era conosciuto per la sua tolleranza religiosa, che, ad esempio, permetteva agli Ebrei, nonostante il loro monoteismo singolare, di avere sinagoghe e praticare la loro religione apertamente, senza subire interferenze. E quindi non c'era timore di persecuzioni, come invece era avvenuto a Gerusalemme. In secondo luogo, il comfort materiale di Maria probabilmente fu molto più grande a Efeso di quanto fosse stato in precedenza. Dopo rutto, Efeso era una delle poche città al mondo in cui la maggior parte delle case era dotata di acqua corrente e dove si poteva trovare con facilità ogni sorta di cibi, vestiario e attrezzature domestiche.
La maggior parte delle cose necessarie si poteva trovare nell'Agorà commerciale, sia per quanto riguardava i cibi (pane, verdure, cereali, carne, pesce, animali vivi, olio di oliva, vino, miele, sale ed erbe e spezie arabe) sia per quanto riguardava gli oggetti per la casa (utensili da cucina di rame, scodelle, anfore e lampade a olio). Per chi poteva spendere, c'erano anche sete, profumi e gioielleria fatta con pietre preziose. Vi si poteva comperare anche il lavoro, perché schiavi e uomini liberi che cercavano occupazione si ritrovavano lì all'alba e aspettavano di essere ingaggiati da chi aveva bisogno di lavoratori a giornata.

2. La popolazione
Gli operatori commerciali, i venditori ambulanti e i commercianti della città erano ancora abbondantemente superati in numero dai lavoratori dei campi. L'agricoltura era molto importante per l'economia efesina, e molti dei cittadini ricchi avevano fatto fortuna con la coltivazione delle terre che attorniavano Efeso... Ma i cittadini più considerati erano coloro che avevano contribuito in modo significativo ad abbellire la città. Al vertice si trovavano gli scultori, seguiti dagli architetti, dai produttori di ceramiche (specialmente decoratori di vasi), tessitori e tintori, tagliatori di pietre, argentieri, gioiellieri, intagliatori di avorio, fabbri ferrai e vetrai. I dottori erano importanti, certo, ma non molto più dei barbieri. E fa riflettere piacevolmente il fatto che gli avvocati fossero tenuti a offrire i loro servigi gratuitamente, anche se era permesso loro richiedere un compenso simbolico.
C'era, poi, un lusso alla portata di tutti gli efesini, indipendentemente dalla loro condizione sociale o economica, ed era quello delle terme pubbliche. C'erano ambienti separati per uomini e donne, ma alle donne era permesso accedere ai bagni degli uomini nelle prime ore del mattino... Un ricco, alle terme, poteva trascorrere tutto il pomeriggio, seduto con gli amici a discutere di ogni questione e a risolvere tutti i problemi del giorno. E c'era molto di cui discutere negli anni dopo l'arrivo di Maria nella città. Ricordiamo gli eventi principali: l'assassinio di Caligola da parte dei suoi pretoriani nel 42 d.C.; l'invasione romana della Britannia e la costruzione di un insediamento chiamato Londinium sulle rive del Tamigi nel 43; la controversa predicazione a Efeso di Paolo a partire dal 53; l'avvelenamento di Claudio da pane della moglie Agrippina nel 54 e il suo assassinio nel 59 su ordine del figlio Nerone, il quale poi fece uccidere la moglie Ottavia nel 62, prima di uccidersi a sua volta nel 68, due anni prima della distruzione di Gerusalemme nel 70; una serie di scosse di terremoto che si fecero sentire in vari punti dell'Impero e culminarono con la scomparsa di Pompei sotto le ceneri del Vesuvio nel 79. Di sicuro, molto su cui discutere!
E i ricchi, quando non se la spassavano alle terme, si godevano le loro ville sontuose. Molte erano a tre piani e avevano interni stupendi. Ogni casa si innalzava attorno a un ampio cortile interno pavimentato in marmo - che poteva estendersi fino a cinquanta metri quadrati, scoperti in alto per lasciar entrare la luce del sole - di solito con una fontana al centro e circondato da colonne ugualmente di marmo. Il piano superiore della villa era sempre occupato dalle camere da letto. Il piano terra era riservato agli "ambienti pubblici": sala da pranzo, soggiorno e la sala principale dove i padroni di casa accoglievano gli ospiti. Alle estremità si trovavano gli ambienti della servitù: cucina, bagno, toilette e lavandini... Ogni casa aveva la sua cisterna o il pozzo, oltre all'acqua corrente della città, e ognuna aveva il riscaldamento centralizzato, con lo stesso sistema ad ipocausto che riscaldava le terme pubbliche.
Oltre alle amenità offerte dalle terme pubbliche, un altro piacere di cui approfittavano tanto i ricchi quanto i poveri, anche se evidentemente in misura diversa, era quello della buona tavola. La dieta era costituita da cibi a base di farina di frumento, con cipolle, aglio e formaggi... Inoltre abbondavano pesce e carne di maiale. Naturalmente nelle case dei ricchi i pasti erano più vari e abbondanti.
Tutti i pasti - sia quelli del ricco sia quelli del povero - avevano tre cose in comune: il vino, il miele e il sale. Va detto che Efeso era famosa per il suo vino - ogni anno il 19 agosto c'era la festa del vino - e per il miele (l'ape, che era anticamente il simbolo di Efeso, compare in alcune delle sue monete). Quanto al sale, era considerato così importante che anche le famiglie più povere facevano dei sacrifici per poter acquistare una saliera per la tavola.
In materia di abbigliamento ci voleva poco per distinguere i benestanti dai cittadini meno privilegiati. Il vestiario quotidiano era costituito dalla tunica, fatta di un misto di cotone e lana per la gente comune, e di costosa seta per chi aveva disponibilità maggiori. C'erano tuniche con maniche e altre senza, ma tutte erano munite di cintura ai fianchi. Le tuniche degli uomini erano corte e costituite da un singolo pezzo di tessuto. Quelle delle donne erano lunghe e costituite da due pezzi di tessuto, uno indossato sopra l'altro. E mentre gli uomini erano tutti vestiti di bianco, le donne, invece, indossavano tuniche di vari colori, tra i quali il blu, il violetto e il giallo zafferano erano i più comuni. La familiare toga romana era indossata raramente al di fuori delle grandi occasioni, dei sacrifici e delle feste pubbliche. I lavoratori manuali e gli schiavi solitamente indossavano un indumento marrone, a forma di sacco, chiamato cucullus, che scendeva dal collo fino alle ginocchia.
Al tempo in cui Maria giunse a Efeso, gli uomini non portavano più la barba, ma si erano conformati a una delle mode più eccentriche del tempo: quella dei capelli biondi. Tanto gli uomini quanto le donne si facevano vedere con i capelli tinti di biondo o con parrucche bionde.

Tutto sommato, la Efeso in cui Maria si trovò a vivere era un luogo felice e civile. Questo era dovuto in parte alla sua ricchezza e in parte al governo della città, che era particolarmente illuminato anche secondo gli standard moderni. C'era un sistema fiscale imparziale e quando era parziale lo era per favorire il povero. Ad esempio, c'era una tassa standard di un denaro per il rilascio del certificato di nascita, ma se la madre era un membro della classe agiata, o intendeva essere considerata tale, la tassa era di cento denari. Allo stesso modo, il povero aveva diritto a ricevere certi benefici per i bambini, anche grano gratuito e l'entrata libera alle terme pubbliche. Il consiglio amministrativo della città, il Demos, teneva le sue riunioni nel Teatro Grande, alle quali tutti gli efesini potevano assistere liberamente. Il Teatro Grande era anche sede di frequenti concerti musicali, recital poetici ed esibizioni di spettacoli classici. Gli efesini del I secolo erano tra la gente più fortunata dell'Impero, e lo sapevano!
3. Paolo e i primi cristiani a Efeso
Non c'era nulla, si può dire, che potesse disturbare il benessere degli efesini - e certo anche il loro auto compiacimento - fino al 53 d. c., quando arrivò sulla scena Paolo di Tarso, il quale fece conoscere ad essi che i loro dèi erano un nulla: in realtà c'è solo un unico Dio! All'inizio egli predicò nelle sinagoghe, ma dopo qualche mese si trasferì nella sala conferenze di Tiranno, dove per due anni e mezzo insegnò ogni giorno dalle undici del mattino alle quattro del pomeriggio. Durante quel periodo molti si convertirono, ma ciò provocò malumori e preoccupazioni particolarmente tra gli argentieri, che traevano buoni profitti soprattutto dalla vendita di statuette e medaglioni della dea Artemide.
Uno di essi, un certo Demetrio, alla fine decise di fare qualcosa contro questa minaccia nei confronti del loro commercio, e così organizzò una riunione di tutti coloro la cui sussistenza dipendeva da Artemide e dalle altre divinità greco-romane. Dopo essere riuscito con successo a infiammare gli ascoltatori evocando i timori per gli affari, soffiò sul fuoco insistendo che quell'intruso cristiano insultava anche la dignità della grande dea. Nella loro furia collettiva, gli uditori aumentarono fino a diventare una folla che prese d'assalto il Teatro Grande, dove per due ore gridarono: «Grande è l'Artemide degli efesini!». Mentre il contagio della collera si diffondeva tra la folla, il teatro si riempì di gente che non aveva idea del perché ci fosse tutto quel rumore. E così - ma non per l'ultima volta nella storia - l'interesse commerciale privato e una demagogia spudorata si accordarono perfettamente per creare una "opinione popolare" a proprio vantaggio.
Paolo era intenzionato ad affrontare la folla, per misurarsi di persona con la loro rabbia, ma gli amici lo persuasero diversamente. Poi, con il loro aiuto, riuscì a malapena a mettersi in salvo. Alla fine, l'ordine venne ristabilito solo dopo che il cancelliere della città si presentò alla folla ricordando che, se qualcuno aveva delle accuse da fare, il tribunale era il luogo indicato per cercare giustizia. Poco dopo, Paolo lasciò Efeso e andò in Macedonia. Probabilmente nel 64 d. C. egli subì il martirio a Roma, e Giovanni divenne il capo della Chiesa di Efeso.
Ma quelle degli apostoli non furono le uniche presenze cristiane influenti a Efeso, durante i primi tempi della Chiesa. Anche Luca probabilmente fu a Efeso per un certo periodo, e alcuni studiosi ritengono che a Efeso abbia scritto il suo Vangelo. Si racconta che anche Marco avrebbe accompagnato Pietro a Efeso, mentre Filippo vi avrebbe trascorso un certo periodo prima di trasferirsi a Gerapoli, circa cento cinquanta chilometri a est di Efeso, dove predicò fino al martirio.

Quanto di questa attività missionaria sia arrivata all'attenzione di Maria, o quanto ella sia vissuta e abbia potuto vedere di tutto questo, nessuno lo sa. Siccome si ritiene che si sia trasferita nella casa sulla Collina degli Usignoli pochi mesi dopo il suo arrivo a Efeso, dovrebbe essere rimasta lontana dal rincorrersi quotidiano delle notizie che caratterizzava la metropoli in basso. D'altra parte, i membri della comunità cristiana efesina in continua crescita, alcuni dei quali vivevano proprio nelle sue vicinanze, sul fianco della montagna, di sicuro la tenevano al corrente degli eventi, mentre Giovanni stesso poteva informarla sulle sue attività apostoliche.
Allo stesso modo, possiamo solo fare delle congetture su quanto a lungo Maria abbia vissuto in quella casa. Alcuni anticipano la morte di Maria fino al 43 d. C, altri invece la posticipano fino al 63. La mia opinione è che la morte sia avvenuta probabilmente a metà fra queste due date. Non lo sapremo mai, come del resto non sapremo mai la data esatta della crocifissione di Gesù. Quello che importa è che, grazie alla curiosità e caparbietà di alcuni uomini e donne di molti secoli dopo, ora conosciamo molto più di quanto si sia mai saputo sugli anni che precedettero la morte di Maria, e sono convinto che in futuro sapremo ancora di più.

La sedimentazione della storia
Quale che sia la data esatta della morte di Maria, essa avvenne in un momento cruciale per Efeso e anche per la Chiesa. Da una pare, Efeso stava entrando nel suo periodo aureo. Tra la metà del I secolo e la fine del II secolo d.C. la città era tutto uno splendore di marmi: templi, teatri, scuole, stadi, fontane, terme, ville sempre più sontuose, strade, porte monumentali e la straordinaria Biblioteca di Celso furono tutti costruiti in quell'arco di tempo. Per quanto riguarda la Chiesa, invece, a partire dal martirio di Paolo e Pietro - rispettivamente nel 64 e nel 67 - essa era entrata in un periodo di persecuzioni.
Tuttavia il futuro non era poi tanto luminoso per Efeso e neppure così difficile per la Chiesa, come sarebbe potuto apparire all' epoca. Efeso, pur in mezzo all'esuberanza delle sue opere pubbliche, non aveva ancora risolto il secolare problema dell'interramento del porto. Nel 61 d.C. le autorità municipali avevano fatto uno sforzo decisivo per dragare il porto, ma il limo trasportato dal fiume Caistro continuava a minacciare di separare la città dal mare, cioè dalla fonte principale della sua ricchezza. Quando l'imperatore Adriano, nel 129 d.C., visitò la città, assicurò il suo sostegno entusiasta a un progetto massiccio di ripulitura del porto. Gli efesini, però, combattevano una battaglia che erano destinati a perdere.

1. Declino di Efeso e affermazione del cristianesimo
Nel frattempo, lontano dai clamori, il cristianesimo stava mettendo radici e diffondendosi ovunque. Al tempo della morte di Giovanni (fine del I secolo d.C.) si registravano una ventina di chiese tra Efeso e l'Asia Minore, ed esisteva già un significativo corpo di Scritture cristiane con cui sostenere i fedeli ed educare i pagani che si convertivano, cioè gli scritti che formano il Nuovo 1èstamento.
Ma non era solo il limo a minacciare la prosperità di Efeso. C'era anche un nemico invisibile: l'inflazione. Alla morte di Nerone, nel 68 d.C., la proporzione d'argento presente nel denarius era scesa al 74%, a fronte del 94% dei tempi di Augusto, e la moneta aveva perso mezzo grammo di peso. La combinazione tra un porto che andava sia pur lentamente scomparendo e una moneta che si stava rapidamente svalutando, alla fine avrebbe sicuramente soffocato Efeso. Inoltre, nel 262 d.C. la città subì un colpo dal quale non si sarebbe mai ripresa completamente: una flotta di cinquecento navi, raccolta dai Goti in Crimea, scese dal Bosforo e attaccò la città, saccheggiandola e distruggendo il tempio di Artemide. Un secolo più tardi, nel 365 e nel 368, due spaventosi terremoti misero fine al periodo d'oro dell'epoca romana e alla gloria architettonica di Efeso.
Ma già prima di queste calamità Efeso aveva cominciato a riprendere vita in altro senso, particolarmente come una delle culle, o centri di diffusione, del cristianesimo. Dopo che nel 313 l'editto di Milano aveva decretato la tolleranza ufficiale nei confronti del cristianesimo, l'antico Mouséion, l'edificio più grande di Efeso, fu trasformato in chiesa e dedicato alla Vergine Maria (all'epoca si contavano centosessantacinque chiese cristiane tra Efeso e l'Asia Minore, contro le settantasette in Italia e le ventiquattro in Palestina). Successivamente, sulla tomba di san Giovanni fu costruita una grande basilica, sulla collina di Ayasoluk, poco a nord di Efeso. Quando nel 380 il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Impero romano, Efeso era certamente riconosciuta come uno dei luoghi della sua irradiazione, ma anche come luogo della morte della Madre di Cristo.
Il riconoscimento più grande avvenne nell' estate del 431, quasi esattamente quattro secoli dopo la crocifissione di Gesù, quando le supreme autorità ecclesiastiche decisero di tenere il III Concilio Ecumenico a Efeso, presso la chiesa della Vergine Maria. In quell'occasione i Padri del Concilio proclamarono Maria Theotokos, vocabolo greco che significa "genitrice di Dio": Maria è vera Madre di Dio perché Gesù, nato da lei, è il Figlio di Dio. Per sottolineare ulteriormente la ragione per cui era stata scelta Efeso come luogo per confermare la maternità divina di Maria, alla fine del Concilio l'assemblea dei vescovi inviò una lettera al clero che metteva in risalto come Efeso fosse «il luogo dove vissero Giovanni il teologo e la beata Vergine Maria».
Sembrerà strano che i Padri del Concilio, riuniti a due passi dalla casa sulla Collina degli Usignoli, non abbiano approfittato dell'occasione per interessarsi alle testimonianze rimaste della presenza di Maria a Efeso. In realtà, non siamo informati di nulla. Ma, in fondo, i Padri erano troppo occupati in gravi questioni teologiche per lasciarsi attirare da considerazioni di altro ordine. O forse furono gli stessi cristiani di Efeso a influenzare il loro atteggiamento dichiarando: «Maria non è più qui».

2. La casa di Maria diviene la casa di Giovanni
Da allora in poi fu sempre san Giovanni a essere associato a Efeso. Nel VI secolo l'imperatore Giustiniano fece costruire un'imponente basilica sopra la tomba di Giovanni e la precedente basilica del IV secolo. Lunga oltre 157 metri e larga 78, con sei cupole alte 35 metri, la chiesa copriva l'intera sommità della collina di Ayasoluk. Solo Santa Sofia a Costantinopoli, completata nel 532, rivaleggiava con essa in magnificenza (tra l'altro, la maggior parte del marmo usato nella sua costruzione proveniva dalla demolizione dello Stadio di Efeso, dove un tempo i cristiani venivano esposti alla morte). All'epoca, però, il riempimento del porto aveva trasformato il tutto in acquitrino malsano, con il risultato che quasi tutta la parte restante della popolazione di Efeso si era spostata sul terreno più elevato che circonda la collina di Ayasoluk.
E così, quando il collegamento di Efeso con il mare fu definitivamente interrotto dal fango del fiume Caistro, anche il collegamento storico di Maria con Efeso scomparve sotto il fango dei secoli. Quando Gregorio di Tours, che scrive nel VI secolo, si riferisce esplicitamente alla casa «sulla cima di una montagna nelle vicinanze di Efeso [che aveva] quattro muri senza un tetto», aggiunge solo che «Giovanni era vissuto lì». Un secolo più tardi san Willibaldo, vescovo di Eichstadt, fece un pellegrinaggio a Efeso dove - così scrive - salì sulla montagna alla casa «dove Giovanni evangelista era solito pregare». La casa di Maria era diventata la casa di Giovanni.
Maria fu ulteriormente separata dal suo passato terreno dalla celebrazione che prese avvio nel VII secolo: la festa dell'Assunzione (o Dormizione, come allora era chiamata), il 15 agosto. Poi, nel IX secolo, papa Leone IV (847-855) fece precedere la festa da una vigilia e seguire da un' ottava, solennizzandola in questo modo sopra altri giorni di festa. Infine, papa Nicola I (858-867) elevò l'Assunzione allo stesso livello del Natale e della Pasqua, mettendo così in parallelo l'assunzione di Maria in cielo con la risurrezione di Cristo. Di conseguenza, Maria cominciò a essere dipinta nell'arte bizantina con prerogative regali, come la regina del cielo, in trono e con lo scettro. In Europa le furono dedicate chiese e cattedrali, tanto che le campane che suonavano l'Angelus - diventato nel frattempo preghiera abituale rivolta a Maria - si potevano udire dalle Isole Britanniche fino al Medio Oriente. Davvero, alla fine del primo millennio, Maria aveva fatto molta strada partendo dalla casetta sulla Collina degli Usignoli!
All'inizio del secondo millennio il cristianesimo si era diffuso in Grecia, Italia, Francia, Spagna, Isole Britanniche, Germania, Polonia, Boemia, Moravia, Serbia, Bulgaria e Russia. Ma il primo secolo del nuovo millennio vide anche sorgere, in Oriente, una nuova minaccia per i cristiani: i Turchi Selgiùchidi si erano riversati nell'Asia Minore, mettendo in rotta l'esercito bizantino nel 1071 a Manzikert, vicino al Lago Van, nell'attuale Turchia orientale. Nel giro di pochi anni i Selgiùchidi raggiunsero la costa del Mar Egeo, obbligando i cristiani di Efeso - per citare solo un esempio, ma molto importante - a rifugiarsi sulle montagne dove fondarono il villaggio cristiano di Kirinca.
In parte come risposta a questa nuova minaccia, e in parte come conseguenza della costante frustrazione dei cristiani nel vedere Gerusalemme sotto il dominio dell'islam, papa Urbano n, nel 1095, lanciò un appello perché partissero per la Terra Santa e combattessero per liberare Gerusalemme. Dire che l'invito ebbe successo, sarebbe dire poco. L’anno seguente vide l'avvio della prima Crociata e, con essa, due secoli di incessanti lotte nelle quali i cristiani cercarono di tornare alle loro radici con la forza.

3. L’arte cerca la «Madre di Gesù»
Alla fine del secolo XIII la figura di Maria cominciò a subire una trasformazione nell' arte occidentale: si prese a raffigurarla in forme meno distanti, meno regali e più umane, con gesti ed espressioni più familiari. Il punto di svolta si ebbe probabilmente con i meravigliosi affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, nel corso del primo decennio del XIV secolo. Il suo approccio venne poi adottato dai pittori della scuola fiorentina, dopo di che, nel corso dei due secoli successivi, la Madre di Dio reclamò l'altro suo ruolo di Madre di Gesù, mentre la raffigurazione della sua immagine passò nelle mani dei grandi maestri del Rinascimento: Beato Angelico, Botticelli, Ghirlandaio, Perugino, Piero della Francesca, Mantegna, Dürer, Holbein, Bellini, Lippi, Lucas Cranach, Giorgione, Raffaello, Leonardo, Michelangelo e Tiziano, tra gli altri. Tra molti altri: alla fine del XVI secolo Maria era quasi sicuramente la figura più rappresentata nell' arte del mondo occidentale, se non del mondo intero. Allo stesso tempo la devozione a Maria si era affermata nelle immense cattedrali gotiche che allora dominavano i territori dell'Europa: slanciati inni di pietra elevati alla gloria della vera fede, dove l'omaggio alla Vergine risuonava tra le volte svettanti, specialmente dopo il 1568, quando l'Ave Maria, grazie al Rosario, divenne la preghiera mariana più abituale e più diffusa tra i cattolici.
Ma che cosa era avvenuto della Maria efesina, la mite, anziana "signora" che aveva trascorso il suo tempo in ambienti così umili da essere quasi completamente dimenticati? In realtà, nonostante gli sforzi congiunti anche se non deliberati di teologi e di artisti, né lei né Efeso erano state completamente dimenticate. Nel 1650, il frate francescano Francesco Quaresmi scrisse che quando san Giovanni «partì per predicare il vangelo in Asia Minore, egli prese con sé la santa Madre di Dio e visse a Efeso». Poco tempo dopo lo storico ecclesiastico francese Louis de Tillemont scrisse: «Riteniamo che non ci siano dubbi sul fatto che Maria sia vissuta a Efeso e vi sia anche morta». Nel secolo successivo il papa Benedetto XIV (17401758) si pronunciò sul caso in modo ancora più enfatico, annunciando chiaramente che «la beata Maria aveva concluso la sua vita a Efeso ed era salita al cielo».
Voci come queste avrebbero probabilmente continuato a farsi sentire finché le sabbie del tempo - metaforiche e insieme reali - non avessero definitivamente sepolto le ultime tracce della Maria terrena, se non fosse stato per un' altra voce, uscita dalla fonte meno probabile e immaginabile, che avrebbe parlato e posto fine per sempre all'esilio di Maria nei lontani recessi della storia.

Le visioni della Beata Anna Katharina Emmerick
1. La Rivoluzione francese
Alla fine del XVIII secolo l'intero continente europeo fu sconvolto dalle ondate d'urto causate dalla Rivoluzione francese. Thomas Carlyle (1795-1881) l'ha definita «la cosa più spaventosa mai nata nei tempi», e sicuramente spaventoso era il suo più ovvio prodotto derivato, quel Terrore giacobino che scatenò un delirio di massacro. Inizialmente furono solo i nobili e alcuni cortigiani a salire sulle carrette dei condannati a morte che avanzavano rumorosamente verso il patibolo in mezzo a folle deliranti, zittite momentaneamente solo dal rumore metallico della lama della ghigliottina. Ma quando il terrore cominciò a nutrirsi di se stesso, allora le ceste cominciarono a riempirsi di teste di rivoluzionari oltre che di controrivoluzionari. Nel 1794 la Rivoluzione aveva decapitato se stessa.
Tuttavia, prima di arrivare a quel punto, essa aveva sguinzagliato i cani dell' odio che erano corsi ringhiando in ogni angolo dell'Europa, inseguendo tutto quello e tutti coloro che fossero anche lontanamente associati all' Ancien Régime. Questo significa, evidentemente, che la Chiesa e il clero si trovarono a essere tra i bersagli preferiti. Ma ciò non spiega ancora come mai la furia anticlericale dei giacobini si sia riversata in modo così violento, così velenoso sulla stessa Vergine Maria. Le immagini di Maria furono rimosse dalle chiese e bruciate; le statue furono frantumate in mille pezzi, tra esse le famose Madonne Nere delle cripte di Mont-Saint-Michel e di Chartres. Tutto quello che finora era stato ritenuto sacro, divenne oggetto di scherno sacrilego per le folle riversate sulle strade.
Il Concordato di Napoleone con papa Pio VII nel 1801 pose fine ai peggiori eccessi della Rivoluzione, ma anche dopo che i sogni napoleonici d'impero travolsero di gran lunga le peggiori fantasie repubblicane, la ricaduta tossica del Terrore continuò ad avvelenare il clima in cui le comunità religiose furono obbligate a operare un po' in tutta l'Europa. Una di queste fu il convento agostiniano di Dülmen, una cittadina di campagna a sud-ovest di Münster, in Germania.

2. Le visioni di Anna Katharina Emmerick
Per ampliare le brevi notizie riferite in queste pagine, cfr. P. Giovetti, La monaca e il poeta. Anna Katharina Emmerick e Clemens Brentano, Edizioni San Paolo, 2000.
Nel 1812 tutti i monasteri e i conventi della Germania occidentale furono chiusi e anche le monache di Dülmen poterono sopravvivere solamente grazie alla carità di quei fedeli in grado di accoglierle nelle loro case. Forse la più difficile da sistemare fu suor Anna Katharina Emmerick, una monaca di trentotto anni, in uno stato di salute talmente pietoso da essere praticamente confinata a letto da lungo tempo. Alla fine, tuttavia, anche per lei si trovò una sistemazione. Essa non avrebbe più lasciato il letto fino alla morte, dodici anni più tardi, e in tutto quel tempo la sua stanza fu quasi costantemente sotto assedio da parte di gente devota di ogni condizione: aristocratici e contadini, prelati e laici, letterati e ignoranti, ricchi e poveri, giovani e vecchi, molti dei quali avevano percorso grandi distanze anche solo per vederla di persona. Tutto questo per il fatto che nella notte del 29 dicembre 1812 - mentre i resti della Grande Armée di Napoleone stavano arrivando alla spicciolata in Francia, lasciandosi dietro le nevi della Russia macchiate dal sangue di mezzo milione di uomini - suor Anna Katharina cominciò improvvisamente a sanguinare dalle mani e dai piedi.
Essa ebbe anche numerose visioni che ottant'anni più tardi avrebbero condotto alla riscoperta della casa sulla Collina degli Usignoli.
Figlia di poveri lavoratori agricoli, Anna Katharina era nata l'8 settembre 1774. Già da ragazzina aveva messo in luce le due caratteristiche che avrebbero contraddistinto la sua vita da adulta: una salute cronicamente fragile e una fede incrollabile. Anche se il lavoro agricolo la sfiniva, nondimeno essa trovava regolarmente la forza di portare a termine la lunga e impegnativa «Via Crucis» che era stata riprodotta fuori della cittadina. E quando i lavori dei campi alla fine cominciarono a minacciare la sua salute, essa andò a lavorare come cucitrice, e lì impressionò tutti con la sua abilità a preparare vestiti e a pregare nello stesso tempo.
Col passare degli anni, la sua pietà si irrobustì fino a diventare determinazione a entrare in un convento, ma le fu opposto un rifiuto dietro l'altro, per il fatto che non poteva mai presentarsi con la piccola dote richiesta, a quei tempi, per una monaca. Essa aveva distribuito tutto quello che aveva guadagnato come cucitrice, e gli stessi conventi erano troppo poveri per addossarsi altri carichi economici. Ma questo non fece che approfondire la sua determinazione a consacrare la propria vita a Cristo e alla Chiesa. Poi, all'età di ventiquattro anni, la Emmerick cominciò a provare certe sofferenze che riproducevano quelle di Gesù nelle sue ultime ore, tra cui ferite sulla sinistra della fronte causate da una corona di spine invisibile. Finalmente all'età di ventotto anni, con il capo coperto di lesioni di origine sconosciuta, fu ammessa nel piccolo convento agostiniano di Dülmen, dove visse fino alla soppressione delle comunità religiose nel 1812. Poi, poco dopo il Natale 1812, venne la notte in cui si manifestarono le stigmate.
Coloro che erano presenti quella notte riferirono che, mentre Anna Katharina pregava, la sua faccia divenne rossa e sembrò che fosse colpita da febbre alta. Poi, all'improvviso, la sua figura divenne tutta luminosa, particolarmente nelle mani e nei piedi, che apparvero bagnati di sangue come se fossero stati trafitti da punture. Allo stesso tempo, sul fianco comparve una ferita sanguinante. Quelli che videro queste cose, comprensibilmente furono presi dal panico e cercarono subito un medico; ma la sua situazione andava al di là delle capacità diagnostiche della scienza medica. Seguirono poi due lunghe e penose inchieste: una da parte della commissione ecclesiastica e l'altra da parte della commissione civile. Entrambe arrivarono alla conclusione che, per quanto era possibile accertare, le stigmate erano assolutamente autentiche.
Per i restanti dodici anni della sua vita, suor Anna Katharina rimase costretta a letto, costantemente sofferente, sanguinando nelle bende e avendo visioni di tale intensità e vivezza che cominciarono ad attirare l'attenzione di persone ben al di là della diocesi di Münster. Una di queste persone fu Clemens von Brentano (1778-1842), il poeta romantico tedesco, che giunse al suo capezzale nel 1818 e vi ritornò spesso fino alla morte di lei, avvenuta nel 1824. Egli trascrisse i racconti delle sue visioni, sottoponendoli poi sempre alla sua approvazione. Queste trascrizioni furono pubblicate intorno alla metà del secolo (in particolare, la Vita della santa Vergine Maria nel 1852), quindi trenta-quarant'anni prima che i vari cercatori muovessero verso quella che i Turchi chiamavano Meryem Ana Evi, la «Casa della Madre Maria».
Le visioni registrate da Brentano occupano diversi volumi e riguardano soprattutto eventi della vita di Cristo e di Maria. Solo poche pagine sono dedicate al periodo conclusivo della vita di Maria a Efeso, e queste poche non riferiscono gli avvenimenti in ordine logico e nemmeno cronologico, ma tendono ad essere circolari anziché lineari, creando e poi chiarendo le ambiguità. Riporto quindi, tralasciando dettagli poco significativi, le visioni di Anna Katharina Emmerick relative al periodo finale della vita di Maria a Efeso.

Vita di Maria a Efeso secondo Anna Katharina Emmerick
La citazione delle visioni di Anna Katharina Emmerick è tratta dalla Vita della santa Vergine Maria, testo raccolto da Clemens Brentano; edizione italiana a cura di P. Giovetti, Edizioni San Paolo, 2008, pp. 199-226. Per l'occasione, la traduzione italiana delle pagine che riportiamo è stata nuovamente confrontata con il testo originale tedesco e in qualche punto precisata e integrata.
Segnaliamo anche un'altra traduzione, sintetica e scorrevole, delle narrazioni Emmerick-Brentano: La passione del Signore nelle visioni di Anna Katharina Emmerick, edizione italiana a cura di V. Noja, Edizioni San Paolo, 2007.
a. Maria si trasferisce con Giovanni a Efeso
Maria, dopo l'ascensione al cielo di Cristo, visse tre anni a Sion, tre anni a Betania e nove anni a Efeso, dove la portò Giovanni... Maria non abitava propriamente a Efeso, ma nella zona dove si erano già stabilite diverse donne che ella conosceva bene e che le erano legate.
Provenendo da Gerusalemme, l'abitazione di Maria si trovava a circa tre ore e mezzo di cammino da Efeso su un monte a sinistra della città che scende in maniera piuttosto ripida verso Efeso... È una zona solitaria con molte piacevoli colline fertili e grotte nella roccia tra piccole radure sabbiose, selvagge ma non sterili, con molti alberi dal tronco liscio e la chioma ampia a forma di piramide.
Quando Giovanni portò qui la santa Vergine, per la quale in precedenza aveva fatto costruire una casa, già parecchie famiglie cristiane e sante donne vivevano in questa zona... Tutte queste persone si erano rifugiate qui a causa delle frequenti persecuzioni. Poiché utilizzavano le grotte e le varie zone così come la natura le offriva, le loro abitazioni erano solitarie e per lo più distavano circa un quarto d'ora l'una dall'altra e tutto l'insediamento assomigliava a una zona rurale con abitazioni sparse.
La casa di Maria era l'unica di pietra. Subito dietro a questa casa un sentiero conduceva alla vetta rocciosa del monte e di lì, al di sopra delle colline e degli alberi, si aveva una vista completa su Efeso e il mare con le sue tante isole... Nelle vicinanze vi è un castello in cui abita un re detronizzato. Giovanni lo visitava spesso e l'aveva convertito.

b. La casa di Maria presso Efeso
La casa di Maria era di pietra, quadrangolare e nella parte posteriore il muro era arrotondato; le finestre erano alte, il tetto piatto. Era divisa in due parti da un focolare collocato al centro. Il fuoco veniva acceso per terra di fronte alla porta d'ingresso...; dal focolare fino al soffitto era stata creata una via di uscita per il fumo. Sull'apertura praticata nel tetto ho visto un tubo di rame inclinato svettare sulla casa.
La parte anteriore della casa era separata dall' ambiente che si trovava dietro al focolare stesso da leggere pareti di giunco intrecciato, poste a entrambi i lati del focolare. In questo ambiente anteriore, le cui pareti erano abbastanza grezze e anche un po' annerite dal fumo, ho visto su ambedue i lati piccole stanze create da leggere pareti mobili. Se questa parte della casa doveva servire come sala grande, queste pareti, che non arrivavano fino al soffitto, venivano tolte. In questo ambiente ho visto dormire la serva di Maria e altre donne che andavano a farle visita.
A sinistra e a destra del focolare, attraverso porte leggere, si passava nell'ambiente più interno e intimo della casa, che aveva forma semicircolare o ad angolo. Tale ambiente era assai gradevole e ben curato. Tutte le pareti erano rivestite di legno e anche il soffitto era ornato di legno scolpito, così che l'insieme suscitava un'impressione semplice ma molto piacevole.
La parte tondeggiante della casa, chiusa da una tenda, ospitava l'oratorio di Maria. Al centro del muro c'era una nicchia nella quale era collocato un contenitore simile a un tabernacolo, che si poteva aprire e chiudere facilmente. Esso conteneva una croce con le braccia a forma di Y: è sempre così che ho visto la croce di Gesù... Sulla croce stessa era incisa la figura del Signore, molto semplicemente e senza ornamenti, e le incisioni erano evidenziate da un colore scuro affinché la figura fosse ben evidente... Ai lati della croce c'erano due vasi sempre pieni di fiori freschi... A destra di questo oratorio, sistemato in una nicchia del muro, c'era la cella per il giaciglio della santa Vergine, e di fronte a questo, a sinistra dell' oratorio, una piccola stanza per custodire gli abiti e vari oggetti...
La piccola casa di Maria sorgeva tra alberi dal tronco liscio e dalla chioma a forma di piramide nelle vicinanze di un bosco. Era un luogo molto silenzioso e solitario. Le abitazioni delle altre famiglie si trovavano tutte a una certa distanza, anch' esse piuttosto isolate, come un insediamento rurale.

c. Vita di Maria a Efeso
La santa Vergine abitava qui da sola con una persona più giovane, la sua serva, che procurava quel poco che occorreva per il nutrimento di entrambe. Vivevano in silenzio e profonda pace. In casa non c'era nessun uomo, qualche volta veniva a farle visita uno degli apostoli o dei discepoli durante i loro viaggi. Con molta frequenza ho visto entrare e uscire dalla sua casa un uomo che ho sempre ritenuto essere Giovanni, ma che né a Gerusalemme né qui viveva stabilmente accanto alla Vergine. Viaggiava molto...
Una volta ho visto Giovanni entrare in casa, anche lui sembrava molto più vecchio. Era molto magro e indossava un abito bianco lungo e ampio annodato alla vita con una cintura. Entrando sciolse la veste, se la tolse e rimase con un altro abito che portava sotto... La santa Vergine, tutta vestita di bianco, gli andò incontro appoggiata al braccio della sua serva. Il suo viso era bianco come la neve e come trasparente. Sembrava vibrare di nostalgia. Da quando suo Figlio era salito al cielo, tutto il suo essere esprimeva una nostalgia crescente.
Giovanni e lei si recarono nell'oratorio, lei aprì il tabernacolo e apparve la croce che vi era custodita. Dopo che entrambi ebbero pregato in ginocchio, Giovanni si alzò, prese una scatola di metallo che portava in seno, l'aprì da un lato e ne tolse un piccolo involtino di fine stoffa di lana; da questo uscì un piccolo telo di stoffa bianca, che conteneva il santo Sacramento sotto forma di un boccone bianco di forma quadrata; poi con grande solennità pronunciò alcune parole e porse alla santa Vergine il Sacramento. Quindi le offrì un calice.
Dietro alla casa, a qualche distanza in direzione del monte, la santa Vergine aveva predisposto per sé una specie di «Via Crucis». Dopo la morte del Signore, quando ancora viveva a Gerusalemme, non aveva mai mancato di ripercorrere quotidianamente tra le lacrime la sua via dolorosa. Aveva misurato in passi la distanza fra di loro di tutti i punti del cammino dove Gesù aveva sofferto...
Subito dopo il suo arrivo in questa regione l'ho vista percorrere ogni giorno un tratto di strada dietro alla sua casa in direzione del monte. Da principio andava da sola e, in base al numero dei passi che tante volte aveva contato, contrassegnava i punti in cui il Signore aveva tanto sofferto. In ognuno di questi punti aveva posto una pietra oppure, se c'era un albero, aveva tenuto conto di quello. La via conduceva in un bosco dove aveva scelto una collina come monte Calvario; una piccola grotta di un'altra collina era divenuta il sepolcro di Cristo.
Quando ebbe suddiviso questa sua via della croce in dodici stazioni segnalate da pietre, cominciò a percorrerla in silenziosa contemplazione insieme alla sua serva... In seguito la santa Vergine segnalò i punti ancora meglio: l'ho vista infatti corredare ognuno di essi di una scritta che indicava il significato del luogo, il numero dei passi e altre informazioni... La santa Vergine non ornò di immagini o croci questo luogo, ma semplicemente di pietre commemorative con iscrizioni; tuttavia attraverso il continuo percorrere la via e metterla in ordine, ho visto questo luogo diventare sempre più bello e significativo. Anche dopo la morte della santa Vergine ho visto i cristiani percorrere questa via della croce, gettarsi a terra e baciare il suolo.

d. Viaggio di Maria a Gerusalemme e suo ritorno.
    Come nacque la credenza della sua morte in questa città.

Dopo il terzo anno trascorso ad Efeso, Maria avvertì una grande nostalgia di Gerusalemme. Giovanni e Pietro ve la accompagnarono. Ho visto lì riuniti parecchi apostoli tra cui Tommaso; credo che ci fosse un concilio e Maria li confortava con il suo consiglio.
Al suo arrivo, verso il tramonto, prima ancora di entrare in città, l'ho vista visitare il monte degli Ulivi, il monte Calvario, il santo sepolcro e tutti i luoghi santi intorno a Gerusalemme. La Madre di Dio era così triste e pervasa di commozione che a stento riusciva a reggersi in piedi e Pietro e Giovanni la sostenevano reggendola sotto le braccia.
Un anno e mezzo prima della sua morte Maria tornò ancora da Efeso a Gerusalemme; l'ho vista, velata, visitare di notte con gli apostoli i luoghi santi. Era indicibilmente triste e mormorava tra i singhiozzi: «Oh, figlio mio, figlio mio!».
Quando giunse alla porta posteriore di quel palazzo dove aveva incontrato Gesù caduto sotto il peso della croce, schiacciata da quei dolorosi ricordi cadde a terra svenuta e i suoi compagni credettero che fosse vicina alla morte.
Fu portata a Sion, al cenacolo, nei cui edifici anteriori abitava. Qui la santa Vergine fu per parecchi giorni così debole e ammalata ed ebbe tanti svenimenti che più volte si temette che morisse; di conseguenza ci si preoccupò di predisporle una tomba. Lei stessa scelse una grotta sul monte degli Ulivi e gli apostoli diedero incarico a uno scalpellino cristiano di predisporre per lei una bella tomba.
Nel frattempo fu più volte ancora così vicina alla morte che la voce della sua dipartita e della preparazione della sua tomba si diffuse per Gerusalemme e in altre località. Quando però la tomba fu pronta, lei si sentì meglio e recuperò le forze abbastanza da poter raggiungere di nuovo la sua casa a Efeso, dove dopo un anno e mezzo effettivamente morì.
La tomba preparata per lei sul monte degli Ulivi fu sempre tenuta in grande onore e in seguito vi fu anche costruita sopra una chiesa, e Giovanni Damasceno (ho sentito questo nome in spirito... chi era mai costui?) scrisse per sentito dire che la santa Vergine era morta a Gerusalemme e qui era stata sepolta.
I particolari sulla sua morte, sul suo sepolcro, sulla sua assunzione al cielo, Dio ha lasciato che divenissero oggetto di una tradizione vaga e indeterminata, per non offrire appigli alla sensibilità ancora un po' pagana, nel cristianesimo di allora, che avrebbe facilmente indotto ad adorarla come una dea.

e. Morte e sepoltura di Maria
La santa Vergine riposava in silenzio nella sua cella. Era tutta avvolta in una lunga camicia da notte, soltanto le mani erano nude. Negli ultimi tempi non l'ho mai vista prendere nulla se non di quando in quando un cucchiaino di un succo che la serva spremeva da un frutto dai chicchi gialli simile all'uva nella coppa posta accanto al suo letto... Verso sera, quando si rese conto che la sua ora si avvicinava, la santa Vergine, secondo la volontà di Gesù, volle prendere congedo dagli apostoli, dai discepoli e dalle donne presenti...
Gli uomini ritornarono poi nella parte anteriore della casa e si prepararono per il servizio divino... Dopo aver comunicato tutti i presenti, Pietro portò alla santa Vergine la santa particola e l'estrema unzione... Pietro le si avvicinò e le diede l'estrema unzione circa allo stesso modo in cui viene data oggi: con il santo olio che Giovanni aveva portato nei vasi le unse il volto, le mani, i piedi e il fianco, dove la veste aveva un' apertura. Intanto gli apostoli pregavano in coro...
Il volto di Maria era in fiore e sorridente come quando era giovane. Aveva gli occhi rivolti al cielo e risplendenti di santa gioia... Ed ecco che la sua anima uscì dal corpo come una piccola purissima figura di luce con le braccia tese verso l'alto e salì verso il cielo condotta dal raggio di luce. Credo che la morte della santa Vergine sia avvenuta poco dopo l'ora nona, l'ora stessa della morte di Gesù.
Matteo e Andrea percorsero la «Via Crucis» della santa Vergine fino all'ultima stazione, fino a quella grotta che rappresentava il sepolcro di Cristo. Avevano con sé attrezzi per adattare la tomba, perché qui doveva riposare il corpo della santa Vergine. La grotta non era spaziosa come la tomba del Signore ed era alta appena come un uomo. I due apostoli lavorarono per ampliarla e prepararono anche una porta con la quale chiudere il sepolcro. Davanti alla grotta c'era un piccolo giardino recintato. Non lontano di qui, su una collinetta, c'era la stazione del monte Calvario; sopra non era stata eretta alcuna croce, ma soltanto una pietra; distava circa mezz' ora di cammino dalla casa di Maria.
Oggi ho visto alcune donne... venire per preparare il corpo per la sepoltura. Portavano teli e aromi per imbalsamarlo secondo l'uso ebraico... Dopo che ebbero finito di lavarlo, il corpo fu fasciato dalle caviglie fino al petto con bende e teli; testa, petto, mani e piedi rimasero liberi... Posero ramoscelli di mirra sotto le ascelle e nella zona del cuore del santo corpo e lo circondarono tutto intorno e sotto i piedi del medesimo aroma. Poi incrociarono le braccia sul petto e chiusero il santo corpo nel grande lenzuolo funebre...
Adesso gli apostoli, i discepoli e tutti i presenti entrarono per guardare ancora una volta il caro volto prima che venisse coperto...
Giovanni e Pietro la portarono sulle spalle fuori dalla casa. In seguito si scambiarono, infatti ho visto sei apostoli portare la bara, davanti Giacomo maggiore e Giacomo minore, al centro Bartolomeo e Andrea e dietro Taddeo e Matteo. Una parte degli apostoli e dei discepoli presenti precedeva la bara, gli altri e le donne la seguivano. Era già il tramonto e furono accese quattro lampade ai lati della bara.
Così il corteo percorse la «Via Crucis» della santa Vergine fino all'ultima stazione e giunse alla grotta del sepolcro. Qui la bara fu posta a terra e il sacro corpo fu portato all'interno della grotta, nel punto predisposto. Tutti i presenti entrarono singolarmente, deposero intorno al santo corpo aromi e fiori, si inginocchiarono e offrirono lacrime e preghiere... Scavarono poi una fossa davanti all'ingresso della grotta e vi piantarono diversi cespugli che recavano fiori o bacche; in questo modo l'ingresso della grotta fu reso invisibile. Convogliarono inoltre davanti ai cespugli anche una fonte che scorreva lì vicino...


Sulla questione della data effettiva della morte di Maria, Anna Katharina Emmerick non è di molto aiuto. O meglio, è anche di troppo aiuto, visto che propone ogni sorta di numeri: anni trascorsi ad Efeso, età della morte, anni di sopravvivenza di Maria rispetto a Gesù... Ma nessuno ha senso se paragonato con quello che noi sappiamo o possiamo dedurre ragionevolmente. Onestamente, neanche suor Emmerick sembra avere sempre fiducia nei suoi numeri astratti, sottolineando che nelle sue visioni essi erano comparsi in lettere romane senza alcuna indicazione chiara del loro significato.
In ogni caso, forse la data della morte di Maria perde di importanza quando la Emmerick ci dice che, dopo la deposizione di Maria nella tomba, san Giovanni condusse san Tommaso, che era arrivato tardi, a vedere la Vergine per l'ultima volta. Entrati dentro la grotta, essi si inginocchiarono e san Giovanni tolse il coperchio della bara. Il corpo di Maria non era più nel lenzuolo funebre, ma il lenzuolo era lì intatto. Essi coprirono con cura l'entrata della grotta e se ne andarono.


1. I primi esploratori
Non sarebbe affatto un'esagerazione dire che quando i fedeli resoconti di Clemens von Brentano circa le "rivelazioni" di suor Anna Katharina Emmerick furono pubblicati, non sollevarono alcun interesse concreto, e così si continuò per molti anni. Fu solo nel 1880 che una copia della vita della santa Vergine Maria di Emmerick-Brentano venne tra le mani di un sacerdote francese, Julien Gouyet. Impressionato dall'affermazione della monaca di aver contemplato nelle sue visioni la casa di Maria vicino a Efeso, don Gouyet decise di partire e andare a rendersi conto di persona.
L'anno successivo partì per Smirne - città a circa settanta chilometri a nord di Efeso - dove fu accolto calorosamente dall' arcivescovo monsignor André Timoni, che lo incoraggiò nella sua ricerca e gli mise a disposizione un giovane aiutante perché lo accompagnasse. Sapendo della pericolosa reputazione che avevano le montagne attorno a Efeso, gli consegnò anche una nota scritta in greco che diceva: «Per favore, risparmiate questo povero viaggiatore, innocuo e senza risorse». Per fortuna la nota fu inutile. E ancor più fortunatamente, don Gouyet trovò le rovine di un' antica casa che corrispondevano esattamente alle descrizioni della Emmerick. Al suo ritorno a Parigi non frappose tempo e subito informò tanto i suoi superiori diocesani quanto il Vaticano di questa importante scoperta. Tutti, però, s'ingegnarono a scoraggiare quanto più possibile don Gouyet dal raccontare al mondo la sua "scoperta", priva di fondamento e potenzialmente imbarazzante, su una lontana zona montagnosa. Così il tutto rimase nell' ombra per un altro decennio, per riapparire poi nelle circostanze più impensabili.
Un giorno di metà novembre 1890, suor Marie de Mandat Grancey, superiora delle Suore della Carità, che gestivano l'Ospedale Francese di Smirne, domandò a un sacerdote in visita presso di loro se desiderava, dopo cena, leggere qualche libro di suo gradimento. Il sacerdote, padre Poulin, accettò di buon grado e passò in biblioteca a prendere qualcosa. Ritornato in camera, con disappunto si rese conto che, inspiegabilmente, tra i libri che aveva preso c'era La vita e la dolorosa passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo le visioni di Anna Katharina Emmerick. Per comprendere la sua reazione, va detto che Eugène Poulin, padre lazzarista, oltre che direttore del Collegio Francese del Sacro Cuore a Smirne, era anche un appassionato studioso dei classici, profondamente contrario a ogni forma di misticismo. Nondimeno diede una scorsa al libro della Emmerick, finché si accorse, con sua stessa sorpresa, di leggerlo con un interesse sempre crescente. Decise quindi di procedere e, in seguito, anche di parlarne con i suoi confratelli presso l'ospedale per vedere la loro reazione. Ne sorse un vivace dibattito, dove ognuno espresse il suo scetticismo più o meno grande sul valore di quelle visioni. Le letture e le discussioni continuarono oltre un mese. Poi una sera, alla fine di dicembre, padre Poulin fu avvicinato da uno dei preti più anziani dell' ospedale, padre Dubulle, che gli chiese se aveva mai letto
 la Vita della santa Vérgine Maria della Emmerick. Rispose di no, e anzi di non essere neppure al corrente della sua esistenza. Padre Dubulle gliene porse una copia.
La lettura di questo libro, con le descrizioni della casa di Maria, della sua vita, morte e sepoltura a Efeso, suscitò una controversia ancor più grande del libro precedente. Anche questa volta gli scettici erano in maggioranza. Di questi, il più deciso nella denuncia delle visioni di Katharina Emmerick fu il cappellano dell' ospedale, padre Jung, illustre studioso di ebraico e anche professore di scienze al Collegio del Sacro Cuore. Avversario accanito di mistici e visionari, egli mise in ridicolo le visioni definendole «sogni a occhi aperti, tipici delle ragazze». Alla fine, per risolvere la questione, si suggerì che un gruppo di loro andasse a Efeso durante le vacanze estive per cercare di stabilire la verità. Tutti furono d'accordo e in un momento di ispirata allegria fu anche deciso che padre Jung avrebbe diretto la spedizione.
Il gruppo partì da Smirne un lunedì mattina, il 27 luglio 1891, e prese il treno per Ayasoluk (ora Selçuk), la fermata più vicina a Efeso. Del gruppo facevano parte l'ancora poco entusiasta capo della spedizione, ossia padre Jung; padre Benjamin Vervault, un lazzarista dell'isola di Santorini di passaggio a Smirne, che sulle "visioni" mistiche era quasi altrettanto freddo quanto padre Jung; un greco di nome Pelecas, amico di padre Jung, che un tempo era stato capostazione di Ayasoluk e quindi conosceva bene la zona di Efeso; e Thomaso, un persiano che aveva lavorato al Collegio del Sacro Cuore e il cui compito era di occuparsi del bagaglio. Ad Ayasoluk si unì ad essi un quinto membro della squadra, un turco musulmano nero di nome Mustafà, che fu assunto come guida di montagna e insieme come guardia del corpo.

2. Una falsa pista
Dopo aver trascorso tutta la mattinata del lunedì a ispezionare le rovine di Efeso, essi ritornarono ad Ayasoluk per mangiare e programmare le mosse per il giorno successivo. Il programma veniva complicato dal fatto che in precedenza, a febbraio, nel corso di una visita alla vicina Aydin, padre Poulin aveva incontrato un certo padre Philippe Pasel, che aveva pure lui intrapreso una ricerca della casa di Maria, e sosteneva di averla trovata a Dermen-Dérési, vicino ad Azizé (ora Çamlik), più lontano a sud. E così decisero di prendere il treno per Azizé l'indomani mattina presto e continuare poi a piedi. Si può solo pensare che abbiano preso quella decisione senza tener conto né del racconto di suor Emmerick né degli orari ferroviari: se la suora parlava di un viottolo stretto presso Efeso, l'orario ferroviario avrebbe annunciato un' ora di viaggio da Efeso prima di poter vedere, eventualmente, anche uno solo di simili viottoli!
L'indomani mattina, alle 4.30, erano tutti in piedi e pronti a partire. Dopo una leggera colazione, pulirono le armi - avevano con sé un piccolo arsenale, comprendente quattro fucili e cinque pistole, per proteggersi contro i banditi che notoriamente si aggiravano sulle montagne intorno - e quindi si avviarono alla stazione. Alle sei salirono su un treno merci diretto a sud; alle sette erano ad Azizé. Dopo aver trovato un viottolo stretto che andava nella direzione che a loro parve quella giusta, essi lo presero e lo percorsero per due ore e mezzo, prima di entrare in un villaggio che sembrava stranamente abbandonato. Mentre Mustafà andava avanti a cercare qualcuno che sapesse come giungere a Dermen-Dérési, gli altri sostarono all'ombra di un albero.
Mentre stavano discutendo sulla possibilità di trovare Dermen-Dérési, le porte nel villaggio si spalancarono e comparvero delle donne, poi uscirono alcuni bambini a
 giocare. Mustafà ritornò con un uomo grosso dalla rossa barba, che li guardava tutti con sospetto, finché non fu sollevata e risolta la questione del compenso, e a quel punto fu più felice che mai di accompagnarli a Dermen-Dérési, nonché di aiutare Thomaso a portare i bagagli. Dopo altre due ore di cammino e aver oltrepassato altri due villaggi, raggiunsero Dermen-Dérési. Lungi dall' essere quella cima di montagna descritta dalla Emmerick, era una gola profonda, dove l'unica casa in vista non erano rovine antiche di una modesta abitazione ma un grande monastero greco-ortodosso sulla riva di un fiume.
Essi furono accolti cordialmente dai monaci, che li invitarono a fermarsi per il pranzo, che si rivelò - come scrisse più tardi padre Vervault - «una festa luculliana», comprendente una zuppa di riso, un piatto di cipolle, una portata di pesce fresco, vari formaggi, il tutto innaffiato da generoso vino. Dopo il pranzo padre Jung constatò con soddisfazione che non c'era ragione di fare ulteriori ricerche nella zona e propose di andare direttamente verso Scala-Nova (ora Kusadasi), dove avrebbero potuto prendere una carrozza con cavalli per tornare ad Ayasoluk. Partirono alle tre, dopo aver mandato avanti Thomaso con un asino che trasportava i bagagli, e cominciarono la lunga camminata pomeridiana verso Scala-Nova nella cocente calura di mezza estate. A un certo punto del cammino Pelecas ebbe un collasso, e questo li rallentò nella discesa, ma alla fine, benché esausti, giunsero a Scala- Nova prima delle sei. Dopo essersi rimessi in sesto in un caffè in riva al mare, trovarono carrozza e cavalli per rientrare ad Ayasoluk, un viaggio di oltre due ore a causa dei cavalli e della carrozza - vecchi gli uni, vecchia anche l'altra - che di tanto in tanto dovevano fermarsi. Era molto tardi e al ritorno alla loro locanda di Ayasoluk erano assai provati.

3. La scoperta seguendo le indicazioni della Emmerick
L'indomani mattina, mercoledì 29 luglio, nessuno si alzò di buonora, e ugualmente nessuno mosse obiezioni quando fu proposto che, questa volta, avrebbero seguito da vicino le indicazioni della Emmerick. Dopo che padre Jung ebbe trasmesso a Mustafà indicazioni per l'acquisto di rifornimenti, e dopo averli inviati avanti fino a un piccolo caffè ai piedi della Collina degli Usignoli, si mossero tutti, con gli arti indolenziti, seguendo verso sud la vecchia strada per Gerusalemme finché girava attorno al confine orientale di Efeso, dove lasciarono la strada e cercarono un viottolo che si inerpicasse su per la montagna. Passò più di un' ora prima di riuscire a trovarne uno praticabile, e a quel punto il sole era già alto nel cielo. Graffiati dai rovi che soffocavano l'angusto sentiero e inzuppati di sudore che incollava i vestiti alla pelle, salirono su per la montagna lentamente, sostando abbastanza spesso per tirare il fiato e bere acqua dalle borracce. Quando l'acqua fu esaurita, Pelecas si lasciò cadere a terra e dichiarò che sarebbe morto piuttosto che andare avanti ancora. Solo con notevole difficoltà gli altri della comitiva riuscirono a convincerlo ad alzarsi e a continuare.
Giunsero presto in un pianoro dove alcune donne stavano lavorando in un campo di tabacco. Pelecas immediatamente cominciò a gridare: «Nerò» ("acqua", in greco). Le donne dissero di non avere acqua, ma che c'era una sorgente proprio sulla cima della montagna, «presso il monastero». In meno di quindici minuti padre Jung e la sua banda assetata trovarono la sorgente e «il monastero», che non era molto più di un ammasso di macerie circondato da rozze capanne di varie forme e misure. Stranamente, quelle traballanti strutture sembravano disabitate. Ma dopo che i nuovi arrivati si furono rinfrescati
 alla sorgente, cominciarono a comparire alcune persone, che diedero un timido benvenuto.
In prima fila tra loro c'erano Andreas e Yorgy, che si dimostrarono molto cordiali, una volta appurato che i nuovi arrivati non erano funzionari governativi. Andreas si offrì immediatamente di andare a prendere qualcosa da mangiare, mentre Yorgy chiacchierava amabilmente con Pelecaso Mustafà si fèce prestare un cavallo per andare a prendere i rifornimenti che al mattino aveva lasciato in basso. Intanto padre Jung cominciò a curiosare tra le modeste rovine che si trovavano al centro del luogo. Dopo aver frugato tra le pietre, improvvisamente si rese conto che la configurazione delle rovine corrispondeva quasi esattamente alla descrizione di Anna Katharina Emmerick a proposito della casa di Maria. Forse, senza rendersene conto, si erano imbattuti nell' oggetto della loro ricerca? Padre Jung chiese a Yorgy se un po' più su fosse possibile vedere sia Efeso che il mare. Yorgy rispose di sì, che Bülbül Dagi era l'unico posto dal quale si potevano vedere entrambi, e si offrì di mostrarglieli. Padre Vervault e Thomaso, rendendosi conto del significato di tutto questo, ben volentieri si unirono a padre Jung e a Yorgy nella breve salita. Quando raggiunsero la cima, lì, al di sotto di loro, a nord si stendeva la piana di Efeso e ad ovest s'innalzava la montagnosa isola di Samo, esattamente come suor Emmerick aveva detto.
Sulla via del ritorno, padre Jung chiese a Yorgy se nelle vicinanze ci fossero delle tombe. «Certo, - rispose Yorgy - tombe molto antiche». Padre Jung gli chiese se per caso sapesse dove si trovava la tomba della Vergine Maria. Yorgy rispose di no, ma che avrebbe potuto fargli vedere la tomba di Maria Maddalena, visto che tutti sapevano dove si trovava. Si può immaginare che all'udire queste cose l'austero padre Jung si permettesse quantomeno un accenno di sorriso...
Poco dopo il loro ritorno alla base, dove Pelecas si stava ancora riposando dalle sue fatiche mattutine, comparve Andreas con una grossa coscia di cinghiale, che fu immediatamente posta sul fuoco. Poi Mustafà arrivò con i rifornimenti, e così il picnic si trasformò in banchetto. Mentre erano seduti a terra sotto un platano, Andreas spiegò che aveva costruito lui tutte le baracche di legno che vedevano attorno. Una era abitata da lui e dalla sua famiglia solo durante la stagione della coltivazione del tabacco: egli non lontano aveva un campo di tabacco che aveva preso in affitto. Un' altra capanna era per Yorgy, il suo aiutante. Le altre baracche più grandi servivano a immagazzinare i raccolti, a custodirvi gli attrezzi agricoli, le scorte e, in inverno, ad alloggiarvi gli animali. La sua casa vera e propria si trovava a Kirinca, a circa cinque ore di cammino sulle montagne, dove i suoi antenati cristiani si erano rifugiati al momento dell'invasione dei Turchi Selgiùchidi, molti secoli prima.
Dopo il pranzo, Andreas tirò fuori alcuni materassi di paglia e li collocò sotto gli alberi in modo che tutti potessero fare la siesta, al riparo dalla calura pomeridiana. Alle 5.30 padre Jung annunciò che per il suo gruppo era giunta l'ora di partire. Andreas offrì i servigi personali come guida e quelli del suo asino come bestia da soma per qualsiasi ulteriore esplorazione essi potessero prevedete: un' offerta che fu accolta con gratitudine. Egli poi mostrò loro un viottolo migliore per scendere dalla montagna, che seguiva le mura di Lisimaco fino ad Ayasoluk.
Non c'è modo di sapere quale genere di pensieri passassero per la testa esigente, da "scienzato vero", di padre Jung quel pomeriggio, mentre scendevano per la prima volta lungo la Collina degli Usignoli, ma un indizio illuminante lo si può trovare nel diario tenuto da Benjamin Vervault. Questi ricorda che, a un certo punto della loro discesa, videro un lupo su uno spuntone di roccia prestare grande attenzione a un gregge di capre più sotto. Improvvisamente e imprevedibilmente, padre Jung imbracciò il fucile e sparò al lupo. Poi entrambi, sia lui che il lupo, continuarono a fare quello che facevano prima, come se nulla fosse successo.

4. Altre scoperte: una «Via Crucis»
Quando, quella sera, il piccolo gruppo degli esploratori raggiunse la locanda ad Ayasoluk, padre Vervault sintetizzò gli eventi di quella giornata nel suo diario con l'eloquenza diretta che nasce dal trionfo e dalla fatica: «Abbiamo cercato... e l'abbiamo trovata!».
Purtroppo per i posteri, padre Vervault dovette partire verso Smirne l'indomani per poter essere di ritorno a Santorini la settimana successiva, mentre padre Jung partì in direzione opposta, per Azizé e Dermen-Dérési, per informare i monaci su quello che avevano trovato. E fu solo nel pomeriggio del giorno successivo, venerdì 31 luglio, che padre Jung e i suoi compagni tornarono sul luogo della loro scoperta. Questa volta cercarono di prendere un altro sentiero, ma si dimostrò una cattiva idea: era ancora più impegnativo di quello preso la volta precedente, tanto che lo stesso padre Jung si sentì male a poche centinaia di metri dalla casa. Thomaso andò a prendere un po' di acqua fresca e, dopo pochi minuti, cercò di rianimarlo. Erano le due pomeridiane quando raggiunsero la casa.
Padre Jung trascorse la maggior parte del pomeriggio a studiare le rovine, e poi l'insieme del sito borbottando di tanto in tanto fra sé. Contemplò gli otto stupendi platani che circondavano la casa, collegati l'uno all'altro, al di sopra dei ruderi scoperchiati, da viti imponenti e venerande per l'età. Davanti alla casa, un po' più in basso, su un' area
 a terrazza, scoprì i resti di una cisterna rotonda, collegata mediante un canaletto artificiale all'angolo della casa dove affiorava la sorgente. Cosa più importante: sopra, dietro la casa, egli ritrovò alcune rocce con iscrizioni in ebraico. Katharina Emmerick aveva detto che alcuni coloni ebrei vivevano nella zona montagnosa prima dell' arrivo di Maria, e che Maria stessa aveva usato pietre con iscrizioni in ebraico per crearsi la sua «Via Crucis». Se c'era bisogno di testimonianze chiare, non ce n'era una più evidente di questa.
Una testimonianza meno tangibile, ma non meno importante, si manifestò quella sera. Padre Jung e i suoi uomini avevano previsto di trascorrere la notte sulla montagna, e la cena con Andreas e la famiglia fu un' ottima occasione per sondare la tradizione orale sulla casa. Venne a sapere, tra l'altro, che Andreas veniva lì da trent' anni e che prima di lui era venuto suo padre, e la gente del suo villaggio era sempre venuta lì a pregare in memoria della santa Vergine. Padre Jung volle sapere se il luogo fosse conosciuto localmente con qualche nome particolare. Sì, disse Andreas, era conosciuto dalla gente del suo villaggio come Panaghia-Capouli, la «Porta della Tutta Santa». Aggiunse ancora che essi erano le uniche persone che si arrischiavano a venire lì. Tutti gli altri si tenevano alla larga per paura dei pericolosi briganti che infestavano le montagne.
Alla fine di un' altra giornata pesante ma piena di soddisfazioni, tutti dormirono bene sotto il grande baldacchino dei platani, ad eccezione di Thomaso, che sedette tutta la notte con il fucile in grembo, facendo la guardia e prestando attenzione al più piccolo rumore.
Trascorsero il sabato mattina sulla montagna, così che padre Jung poté fare un ulteriore giro d'ispezione, poi scesero a valle e quindi salirono sul treno per Smirne nel tardo pomeriggio. Il giorno successivo padre Jung andò a trovare padre Poulin per riferirgli del loro viaggio. Il suo
 rapporto si concluse con l'opinione di aver trovato davvero la casa dove era morta la Vergine Maria. Padre Poulin non fece nulla per mascherare il suo stupore nell'udire questo. Padre Jung - per tutti la «voce della ragione», l'intransigente sostenitore del metodo scientifico, l'avversario dei mistici - stava effettivamente dando ragione a quei «sogni ad occhi aperti, tipici delle ragazze», che un tempo aveva denunciato con tanto accanimento?
In tal caso, annunciò padre Poulin, non restava che andare a vedere di persona questa casa che stava provocando tanto scompiglio. Preferibilmente presto, piuttosto che tardi.
Padre Jung prese la palla al balzo: mercoledì sera 12 agosto 1891, i due preti-studiosi s'incontrarono all'Ospedale Francese e cenarono per tempo, poi si ritirarono a dormire qualche ora prima di prendere il treno merci che partiva da Smirne poco dopo la mezzanotte. Su insistenza di suor Grancey essi presero con loro il giardiniere dell' ospedale, Constantin Grollot, che aveva fama d'essere un buon tiratore e quindi poteva imbracciare il fucile in loro difesa. Fu un viaggio penoso. Non c'erano sedili né panche nel vagone; la notte, senza luna, era fresca ed essi erano costantemente sballottati di qua e di là ad ogni fermata del treno, che sostava anche nelle più piccole stazioni del tragitto. Quando finalmente arrivarono a destinazione, giunse quasi come una liberazione l'arrampicata mattutina su per la montagna.
Erano appena arrivati presso la casa che padre Poulin cominciò a esaminare il sito e a cercare tutto il possibile per confrontarlo con i particolari riferiti dalla Emmerick: la dimensione e la forma della casa, la sistemazione delle stanze, il piccolo ruscello, le formazioni della roccia sulla collina dietro la casa, la vista del mare e anche di Efeso dalla cima. Un po' alla volta, particolare dopo particolare, i suoi dubbi cominciarono a sciogliersi come neve al sole. Ma continuava a porsi degli interrogativi. Ad esempio:
 dove si trovava il focolare che divideva la stanza principale? Padre Jung lo fece mettere dove suor Emmerick aveva indicato, poi lessero i passaggi di rilievo che trattavano di altri aspetti della casa in rapporto ad esso: tutto quadrava! Ma cosa era avvenuto della seconda stanzetta, dall'altra parte rispetto alla camera da letto di Maria? Certo, non c'era più, ma rimanevano i segni di un passaggio ad arco che doveva essere stato l'entrata a qualcosa. E infine, il piccolo vestibolo all'entrata della casa: perché suor Emmerick non ne aveva parlato? Impossibile dare una risposta, ma, nel contesto tanto della casa quanto delle visioni, si trattava di qualcosa sicuramente marginale.
Quella sera, di ritorno alla locanda di Ayasoluk, dove trascorsero la notte prima di ritornare a Smirne, padre Poulin non era ancora disposto ad ammettere di aver sciolto tutti i suoi dubbi sulla Collina degli Usignoli, ma ne aveva risolti quel tanto che bastava per sapere che ora avevano la sacrosanta responsabilità di occuparsi di quello che avevano scoperto, di qualunque cosa si trattasse.

5. Acquisto del terreno su cui sorge la casa di Maria
Di conseguenza, padre Jung organizzò immediatamente una terza spedizione sulla montagna. Diversamente dalle precedenti, ne avrebbero fatto parte solo dei laici, a eccezione di padre Jung stesso, e avrebbero trascorso una settimana intera accampati sulla montagna con l'obiettivo, questa volta, di non lasciare una sola pietra inesplorata e, quindi, non documentata, non disegnata, non misurata o non fotografata. Per quanto dipendeva da padre Jung, la spedizione sarebbe stata decisiva nel determinare se da allora in poi quelle pietre sarebbero diventate note come rovine di un «monastero», come indicato dalle donne che lavoravano nei campi di tabacco; o come parte della «Porta della Tutta Santa», come erano conosciute da Andreas e dai cristiani che abitavano il villaggio di Kirinca; oppure fossero quello che, in modo sconcertante, aveva detto Anna Katharina Emmerick: la casa dove aveva trascorso gli ultimi anni e infine era morta la Vergine Maria.
La loro settimana di ricerche produsse, oltre a una documentazione molto abbondante e precisa, due successi principali. Il primo fu la scoperta, a circa milleduecento metri dalla casa, delle rovine di un castello..., e suor Emmerick aveva detto che nelle vicinanze c'era un castello. Il secondo successo fu la conseguenza di un'ispezione ravvicinata delle presunte stazioni della «Via Crucis», ciascuna delle quali si dimostrò più accuratamente segnata e simmetricamente delimitata di quanto non fosse stato osservato in precedenza. In particolare, la stazione più elevata era disposta in una successione tale e collocata in un luogo così particolare, che padre Jung si sentì di battezzarla come stazione del Calvario. L'unico disappunto fu quello di non riuscire a trovare la tomba di Maria.
Domenica 23 agosto 1891 presso la casa venne celebrata la prima messa in latino. Fu una cosa molto semplice: Andreas aveva improvvisato un altare mettendo insieme pezzi di legno. Poi, assistito da Andreas con moglie e figlie, e anche dai compagni laici, padre Jung celebrò la messa. Questo toccò talmente i greci presenti che implorarono padre Jung di rimanere fino al 27 agosto onde celebrare la messa per la loro festa dell'Assunta. Sfortunatamente doveva essere di ritorno a Smirne il giorno 26 per l'inizio del ritiro annuale dei Lazzaristi.
Era trascorso appena un mese da quella prima scettica esplorazione, organizzata in modo piuttosto riluttante, alla ricerca del... santo tesoro, che già l'interesse si spostava dall'identificazione della casa - sulla questione si stava
 rapidamente formando un consenso - a come trovare un modo per proteggere un bene che ormai era considerato unico al mondo.
Il modo più sicuro era quello di acquistarlo. Ma si frapponevano grossi ostacoli a questa soluzione: trovare il proprietario del terreno, poi trovare il denaro per comprarlo e infine convincere il proprietario a vendere. Il primo problema fu superato con facilità sorprendente e con un colpo di fortuna. Il 27 gennaio 1892 i padri Poulin e Jung, assieme a un amico pratico di affari, monsieur Binson della Compagnia Imperiale Ottomana del Tabacco, stavano viaggiando in treno verso Ayasoluk per fare indagini discrete sulla proprietà del terreno attorno a Efeso, quando nel loro compartimento entrò un giovane greco. Per una felice coincidenza Binson conosceva il datore di lavoro del giovane, e per una coincidenza ancora più felice il giovane sapeva che il terreno in questione era di proprietà congiunta del Bey di Arvaia, un nobile turco assai noto, e del suo dissoluto nipote Ibrahim. Ma non solo, egli era anche al corrente che proprio in quel periodo entrambi avevano bisogno di soldi.
Senza perdere tempo, appena giunti ad Ayasoluk, i due religiosi e Binson presero appuntamento con il Bey, che li ricevette quel pomeriggio. Dopo un elaborato scambio di cortesie e una chiacchierata rituale durata ore, Binson, l'unico dei tre ospiti in grado di parlare turco, sollevò la questione dell' acquisto della proprietà del Bey presso Efeso. Il Bey disse che ci avrebbe pensato.
Dopo aver felicemente risolto con un solo viaggio uno e mezzo dei tre problemi, i visitatori ritornarono a Smirne con le buone notizie. Lì furono accolti con notizie ancora migliori. Suor Marie de Mandat Grancey, che aveva creduto nella casa di Maria fin dall' inizio, era disposta a mettere mano al suo patrimonio privato per acquistare la
 proprietà. Perciò il 27 febbraio essa depositò 45.000 franchi nella sede di Smirne del Crédit Lyonnais, su un conto speciale aperto proprio per l'acquisto. Ormai non rimaneva che aspettare le decisioni del Bey.
E fu necessario aspettare... Per mesi l'astuto e anziano signore turco non fece che tessere la sua ragnatela, ricorrendo a ogni tattica dilatoria immaginabile, provando da una parte a rilanciare sul prezzo e dall'altra cercando finanziamenti alternativi. Diverse volte l'accordo sembrò sul punto di essere siglato, con il Bey che si ritirava all'ultimo momento. Finalmente il 15 novembre 1892 l'attesa si concluse. Era la festa di padre Poulin e quella mattina, mentre usciva da messa alle 8.30, gli fu consegnato un telegramma, che diceva semplicemente: Bonne fête. Affaire terminée. Binson (Buona festa. Affare concluso. Binson).

Binson era riuscito a chiudere l'affare il pomeriggio precedente. Il prezzo finale ammontava a 31.000 franchi. La proprietà, che comprendeva un totale di centotrentanove ettari, era lunga due chilometri e aveva una larghezza media di un chilometro. Essa fu registrata sotto il nome di suor Marie de Mandat Grancey.
Due settimane più tardi, padre Poulin decise che fosse giunto il momento di fare qualcosa che aveva sempre rimandato da sedici mesi. Andò a Smirne, dall'arcivescovo Timoni e gli parlò della scoperta sulla Collina degli Usignoli. Anziché mostrarsi perplesso a queste notizie inattese, come padre Poulin si aspettava, l'arcivescovo si mostrò affascinato. Disse di aver sempre pensato che Maria fosse morta a Efeso. Di fatto, fu così entusiasta per le notizie che annunciò immediatamente la sua intenzione di guidare al sito una delegazione ufficiale. E già l'indomani creò una commissione d'inchiesta comprendente dodici
 dignitari (sette uomini di Chiesa, tra cui i padri Poulin e Jung, e cinque laici) che lo accompagnasse a Efeso. A padre Poulin, sorpreso da questa decisione davvero inattesa, toccò il compito di fare tutti i preparativi necessari.
Il giovedì mattina, 1° dicembre 1892, la delegazione guidata dall'arcivescovo Timoni, più Pelecas e Constanti n Grollot, arrivò alla stazione di Ayasoluk, dove fu accolta da Binson, che aveva procurato dei cavalli per tutti. Anche Andreas e Mustafà erano nella compagnia. Il gruppo lasciò la stazione e si diresse verso la nuova proprietà di suor Grancey, che venne raggiunta verso le undici. Dopo diverse ore trascorse a esaminare i ruderi della casa di Maria e i dintorni e a confrontarli con la descrizione di Anna Katharina Emmerick, e dopo aver conferito a lungo tra di loro, l'anziano prelato e i suoi compagni fecero ritorno a Smirne. Lì l'arcivescovo Timoni redasse un lungo documento che descriveva in dettaglio le loro scoperte e mostrava che esse corrispondevano esattamente alle descrizioni della Vita della santa Vérgine Maria di Anna Katharina Emmerick. Il documento, che fu sottoscritto da tutti i membri della commissione, concludeva che «le rovine di Panaghia-Capouli sono veramente i resti della casa abitata dalla Vergine Maria».
Finalmente la Chiesa aveva parlato.

V
Scavando più a fondo nel passato
La casa era ormai in mani sicure e, a quel punto, la priorità assoluta era renderla più accessibile con la costruzione di una strada, ancorché primitiva. Fu deciso che la strada salisse più o meno direttamente da Ayasoluk, tagliando in mezzo la piana di Efeso. Dai villaggi vicini furono reclutati più di sessanta lavoratori, e l'opera cominciò quasi immediatamente sotto la direzione di Constantin Grollot.
l. Lavori in corso sulla Collina degli Usignoli
La priorità successiva fu di sistemare la casa stessa senza manometterla. A questo scopo rimpiazzarono la fatiscente porta d'accesso con una nuova e solida; installarono un piccolo cancello di metallo sull' accesso esterno della camera da letto, per tener fuori cani e altri animali; rimossero i detriti e lo strato di terra che ricoprivano il pavimento; applicarono convenienti mani di cemento ai muri per prevenire ogni ulteriore deterioramento; sovrapposero un tetto provvisorio all'intera struttura per proteggere dalle intemperie la struttura stessa e gli operai; e cominciarono a piantare gli ulivi che ancora costeggiano il percorso pedonale che conduce alla casa.
All'inizio dell' estate 1894 questi lavori preliminari erano ormai in buona parte completati. Poi, dopo una lunga e frustrante serie di rifiuti e di dilazioni, le autorità turche finalmente diedero il permesso di costruire altri edifici sul sito per assicurare una sistemazione stabile per Andreas (che, con la sua famiglia, avrebbe continuato a vivere lì per badare ai suoi lavori e fare il custode), e per notabili religiosi e pellegrini in visita. Subito il versante della montagna brulicò di attività, con gli uomini che conducevano asini su da Efeso carichi di mattoni e da altri punti della montagna trasportando piccoli blocchi di calcare per i forni; mentre i muratori e i manovali lavoravano alacremente a erigere le nuove case, intanto che altri si affaticavano a completare la strada e a posare le pietre pavimentali per la terrazza. Il tutto sotto l'occhio vigile di Constantin Grollot, che pattugliava il luogo con un piccone in una mano e un fucile nell' altra. A metà settembre il lavoro era finito.
Come risultato di questo febbrile lavoro, gli uomini di Grollot non solo diedero un aspetto completamente nuovo al sito, ma in corso d'opera scoprirono anche alcuni affascinanti scorci dell' aspetto che aveva secoli prima. Un momento di grande agitazione si ebbe quando i picconi degli operai, che stavano livellando una parte del terreno più lontano sulla collina, colpirono ripetutamente una pietra di grandi dimensioni un po' sotto la superficie. Dissero a Grollot che pensavano di aver trovato una tomba. Grollot immediatamente convocò padre Jung che esaminò la pietra e stabilì che, molto probabilmente, era stata posta in foco a mano. Chiese agli operai di andare a scavare per un po' altrove, quindi con l'aiuto di Grollot delicatamente spostò la pietra. Al di sotto c'era la parte superiore di un muro sotterraneo. Gli operai furono richiamati e fu detto loro di riprendere a scavare, con attenzione, lungo la sagoma del muro. Essi si trovarono sopra altri due muri, ad angolo retto e nel mezzo una grossa giara di terracotta che doveva esser servita in qualche modo da bacile. Qualunque cosa fosse quello che avevano scoperto, forse un atrio, sicuramente non era una tomba.

2. La casa di Maria luogo di culto per secoli
A compensare questa delusione, negli anni immediatamente successivi una serie di scoperte provarono in maniera definitiva che per molti secoli la casa di Maria era stata un luogo singolare di culto e di venerazione. Tanto per cominciare, ci si accorse che la casa era stata restaurata diverse volte, anche se non era mai stata ingrandita o "migliorata". Ogni restauro era avvenuto seguendo rigorosamente il disegno originale e sopra le fondamenta originali: una chiara indicazione che l'edificio stesso era considerato venerando. A conferma di ciò venne la scoperta, nelle vicinanze della casa, di due sarcofagi di terracotta, ognuno dei quali conteneva uno scheletro completo con il capo in direzione della casa in un gesto di rispetto postumo. Tra le ossa di uno scheletro c'era una moneta risalente al regno di Costante II (641-648 d.C); mentre insieme all' altro fu trovata una moneta del regno di Giustiniano II (685-695 d.C).
Ma è interessante il fatto che queste non sono certamente le monete più antiche trovate nel luogo. Sulla più antica di quelle rinvenute è raffigurata la testa di Anastasio I, che regnò dal 491 al 518 d.C: in altre parole, da sessant'anni dopo che il III Concilio Ecumenico aveva proclamato Maria Madre di Dio, fino a quarant'anni prima del completamento della grande basilica dedicata a san
 Giovanni. E così la casa di Maria, mentre sembrava sfuggire all'attenzione dei prìncipi tanto della Chiesa quanto dell'Impero, continuava a essere importante nella vita di cristiani ordinari e meno ordinari intorno a Efeso.
Chi erano queste persone che per secoli si erano prese la briga di preservare la casa come luogo santo? Evidentemente, i discendenti dei primi cristiani vissuti sulle falde della montagna avevano sentito come loro dovere proteggere la casa come meglio potevano. Ma i ritrovamenti venuti alla luce tra il 1894 e l'inverno 1898-1899 suggerivano anche la presenza di una comunità religiosa più formale. Partendo dalle volte ad arco, colonne, mosaici, urne funerarie (una conteneva le ossa di un neonato), canaletti della sorgente, oggetti di vetro e di ceramica, vasi, monete di bronzo, lampade funerarie e altri manufatti, si arrivò alla conclusione che in quel sito doveva essere stato presente un monastero. Questa conclusione risultò notevolmente rafforzata quando si venne a sapere che negli antichi registri catastali ottomani la casa di Maria era segnata come il «Monastero a tre porte della Tutta Santa». Questo poteva spiegare perché le donne del campo di tabacco, incontrate dai primi "esploratori", ne avessero parlato come del «monastero», e perché gli abitanti del villaggio di Kirinca chiamassero la località Panaghfa-Capouli, la «Porta della Tutta Santa».

Questi sviluppi non passarono inosservati in Vaticano. Nel 1895 papa Leone XIII inviò a Efeso padre Eschbach, direttore del Pontificio Seminario Francese di Roma, per incontrarsi con padre Jung e ispezionare il sito. Padre Jung, dopo aver accompagnato l'ospite sul luogo, gli diede alcune foto che aveva scattato di persona proprio il giorno della scoperta della casa nel luglio 1891. Padre Eschbach le prese con sé per mostrarle al papa, il quale fu così commosso da trattenerle. L'aprile successivo Leone XIII dichiarò la casa di Maria luogo di pellegrinaggio. Nel giro di un mese al sito arrivarono più di mille pellegrini, mentre la stampa francese, anche se tardivamente, riferiva con emozione le scoperte avvenute sulla Collina degli Usignoli.
Ma la scoperta più sorprendente doveva ancora arrivare.
Giovedì 24 agosto 1898, alle 3.30 del pomeriggio, gli 
operai che toglievano la terra dalla stanza principale della casa di Maria, improvvisamente si imbatterono in alcuni frammenti di marmo anneriti a mezzo metro sotto la superficie. Scavando ulteriormente vennero alla luce altre pietre annerite. Siccome era il posto esatto dove suor Katharina Emmerick aveva localizzato il focolare, i lavori furono sospesi fino a quando un esperto potesse esaminare le pietre. Il giorno successivo arrivò da Smirne un archeologo, il professor Weber, il quale fece un esame accurato del materiale che era stato scoperto. Egli annunciò che l'annerimento era stato causato sicuramente dalla fuliggine e, siccome era così concentrato, l'unica conclusione possibile era che lì un tempo ci fosse stato un focolare.
Per quelli che da anni lavoravano a salvare la casa di Maria dall'oblìo, era come se il fuoco nel cuore di quella casa non si fosse mai spento.

La casa oggi
Visti gli eventi memorabili e bene auguranti che avevano caratterizzato il decennio conclusivo del XIX secolo sulla Collina degli Usignoli, si sarebbe pensato che la casa di Maria entrasse nel XX secolo con la prospettiva di passare rapidamente da ignota rovina a santuario famoso. Tanto più che essa aveva ricevuto un'inattesa spinta in questo senso quando, nel 1902, fu testimoniata la prima apparizione della Madonna presso la casa, seguita dai primi rapporti sulle guarigioni di malati che avevano bevuto l'acqua della sorgente. Nemmeno la morte nel 1903 di papa Leone XIII, che aveva creduto fortemente nel carattere singolarmente sacro della casa di Maria, sembrò danneggiare le sue possibilità di un riconoscimento mondiale, visto che il successore di Leone, papa Pio X, si affrettò a inviare le sue congratulazioni e la sua apostolica benedizione ai padri Lazzaristi, incoraggiandoli a continuare la loro esplorazione. Addirittura, nel 1914, egli accordò ai pellegrini al santuario l'indulgenza plenaria per la remissione di tutti i peccati.
1. La «casa» tra due guerre e una rivoluzione
Fin dagli inizi, nel giro di pochi mesi, la casa divenne una delle prime vittime della Grande Guerra (1914-1918). Il terreno che era stato acquistato da suor Grancey fu immediatamente confiscato dal governo turco, non solo per la collocazione strategica della proprietà che dominava l'Egeo, ma anche perché la Turchia era entrata in guerra dalla pane della Germania, e di conseguenza contro la Francia. La sconfitta delle Potenze Centrali nel 1918 non portò alcun cambiamento nella situazione della casa. Addirittura, ebbe a soffrire ancor più dalla "pace" che seguì, quando i Greci invasero la regione di Smirne e Mustafà Kemal (successivamente chiamato Atatürk) lanciò la sua rivoluzione contro il sultanato ottomano di Istanbul. Nei quattro anni successivi tutta la Turchia si trovò in uno stato di violenta agitazione. E questo durò sino alla fine del 1922, quando la rivoluzione trionfò, il sultanato fu abolito e le truppe di Mustafà Kemal sconfissero le forze di occupazione italiane e francesi e gettarono - letteralmente! - in mare i Greci. Poi, nel corso degli anni '20, i Turchi furono impegnati nella costruzione di una repubblica moderna, secolare, kemalista. Quindi non sorprende che la conservazione di un piccolo santuario cristiano sulla costa occidentale del paese non entrasse nell' agenda di nessuno, a parte quella dei padri Lazzaristi, i quali lavorarono pazientemente perché il governo riconoscesse il loro diritto legale di proprietà (siccome suor Grancey aveva ceduto la proprietà a padre Poulin nel 1910, e padre Poulin era morto nel 1928, alla fine i Lazzaristi fecero appello al tribunale a nome proprio). La questione era ancora irrisolta nell'estate del 1931 quando mons. Angelo Giuseppe Roncalli, più tardi papa Giovanni XXIII, guidò a Efeso una delegazione per ricordare il quindicesimo centenario del III Concilio Ecumenico nella chiesa della Vergine Maria. Purtroppo, la strada che saliva sulla montagna era diventata praticamente intransitabile nei quarant'anni successivi alla sua costruzione, e così la delegazione non poté recarsi in visita alla casa.
Finalmente, il 24 settembre 1931, festa della Madonna delle Grazie, il tribunale riconobbe che la proprietà apparteneva davvero ai Lazzaristi.
Ma se la Grande Guerra aveva di fatto vanificato il decreto del papa del 1914, a quel punto fu la "grande depressione" a condannare la casa di Maria a un' ulteriore incuria con conseguente deterioramento. E quando la grande depressione passò, il mondo si trovò di nuovo in guerra (1939-1945), anche se questa volta senza coinvolgimento turco. Questo significò che la piccola casa continuò a languire nell'isolamento tra i boschi sopra Efeso, dimenticata dal resto del mondo. Nemmeno la fine della guerra segnalò qualche cambiamento della sua melanconica situazione, perché nel Mediterraneo orientale tutto fu rapidamente sconvolto dal problema palestinese venutosi a creare nel frattempo.
Il momento della svolta per la casa arrivò finalmente il 1° novembre 1950, quando papa Pio XII pubblicò la sua enciclica Munificentissimus Deus che proclamava il dogma dell'assunzione di Maria in cielo in anima e corpo dopo il termine della sua vita terrena. Anche se questa proclamazione non faceva che definire una credenza presente da lunghissima data nella Chiesa, i suoi effetti furono immediati e impressionanti. Subito i cristiani cominciarono a interrogarsi, molti per la prima volta, da dove Maria era salita al cielo. Dopo alcuni mesi il papa dichiarò la casa di Maria, presso Efeso, santuario ufficiale per i pellegrinaggi e confermò l'indulgenza plenaria per tutti coloro che vi si recavano. Decretò inoltre che i sacerdoti in visita al santuario potevano celebrare la messa votiva dell'Assunzione. Finalmente la Collina degli Usignoli era entrata nella carta geografica religiosa!
Poco dopo l'arcivescovo di Smirne, monsignor Joseph Descuffi, costituì un'Associazione non-profit locale per
 occuparsi della proprietà e cominciare il restauro radicale della casa. A quel punto la proprietà e anche la custodia del sito furono trasferite all'Associazione. Nel frattempo il governo turco cominciò a costruire una nuova strada lastricata e fece arrivare la corrente elettrica nel luogo. Furono costruiti nuovi edifici per alloggiare i custodi e gli ecclesiastici residenti, e a valle, lungo la strada principale, vennero installati segnali per indicare la direzione verso la casa di Meryem Ana (Madre Maria). Da quel momento cominciarono ad affluire folti gruppi di pellegrini.
Tale era il rinnovato interesse per la casa di Maria che una grossa scoperta del 1952 venne considerata quasi come un'ulteriore postilla delle importanti scoperte degli anni '90 dell'Ottocento. Vicino all'entrata di una grotta nei sobborghi di Efeso, conosciuta come Grotta dei Sette Dormienti - così chiamata a causa di un'antica leggenda cristiana collegata con essa -, fu scoperto un grande sarcofago. Il sarcofago fu identificato dal professor Louis Massignon del Collège de France come la tomba di Maria Maddalena. Le ossa furono raccolte e ora si trovano nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Parigi.

2. I papi e la casa di Maria
L'interesse nei confronti della casa e i pellegrinaggi verso questo luogo continuarono a crescere nel corso degli anni '50 e furono ulteriormente stimolati quando nel 1960 papa Giovanni XXIII inviò alla casa di Maria una candela speciale per la festa della Purificazione della Beata Vergine, conosciuta anche con il nome di Candelora. Queste candele speciali vengono inviate solo ai più importanti santuari mariani del mondo. Per sottolineare il fatto, poi, il papa confermò l'indulgenza plenaria per i pellegrini che visitavano la casa.
La successiva data significativa nella storia moderna della casa è il 26 luglio 1967, giorno in cui il Paolo VI fece la prima visita "papale" alla casa. Il papa arrivò a metà pomeriggio, con aria fragile e spossata nella calura estiva, e camminò in mezzo alla folla sino alla casa, dove entrò insieme a diversi ecclesiastici. Lì si inginocchiò a pregare, e le sue preghiere, a cominciare dall'Angelus, furono trasmesse dagli altoparlanti alla gente che stava all'esterno. Poi il papa offrì una lampada di bronzo a padre Filibert de la Chaise, il cappuccino custode della casa. «Questo è un omaggio per la beata Vergine», disse.
La successiva visita papale - questa volta da parte di Giovanni Paolo II - avvenne il 30 novembre 1979 e fu un' occasione molto più pubblica. Come il suo predecessore, il papa andò direttamente alla casa e trascorse un po' di tempo in preghiera personale. Poi celebrò la messa all'aperto, su un altare sistemato sopra un terrapieno rialzato accanto alla casa, mentre oltre duemila persone accalcate, si alzavano sulle punte dei piedi per vedere meglio il Santo Padre. In quella messa distribuì personalmente la comunione ai fedeli e poi si rivolse ai pellegrini in francese, italiano, inglese e polacco. Alla fine al papa furono presentati dei doni, tra cui una magnifica copia del Corano offerta dal sindaco di Selçuk, il quale disse che intendeva in questo modo sottolineare il fatto che anche i musulmani mostrano riverenza nei confronti di Maria.
L'ultima visita papale in ordine di tempo è quella effettuata da Benedetto XVI il 29 novembre 2006, nel corso della sua visita ufficiale in Turchia. Il papa celebrò la messa su un piccolo altare di legno, accanto alla casa di Maria, in mezzo ai boschi che portavano ancora i segni
 impressionanti dell'incendio, scoppiato ad agosto, che aveva distrutto tutta la vegetazione intorno, rischiando di bruciare anche la casa, e che si fermò prodigiosamente solo davanti alla porta. Di fronte ai pellegrini arrivati da Smirne, Mersin, Iskenderun e Antiochia, e altri venuti da diverse parti del mondo, il papa ha ricollegato la propria visita a quelle dei suoi predecessori e ha pregato per la pace. «In questa celebrazione eucaristica vogliamo rendere lode al Signore per la divina maternità di Maria, mistero che qui a Efeso, nel Concilio Ecumenico del 431, venne solennemente confessato e proclamato. In questo luogo, uno dei più cari alla Comunità cristiana, sono venuti in pellegrinaggio i miei venerati predecessori, i Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, il quale sostò in questo Santuario il 30 novembre 1979, a poco più di un anno dall'inizio del suo pontificato. Ma c'è un altro mio Predecessore che in questo Paese non è stato da Papa, bensì come Rappresentante pontificio dal gennaio 1935 al dicembre del '44, e il cui ricordo suscita ancora tanta devozione e simpatia: il beato Giovanni XXIII, Angelo Roncalli».
Sono state queste visite che di fatto hanno portato all'attenzione del mondo il piccolo santuario, che è diventato meta di pellegrini provenienti da ogni angolo geografico e dottrinale della cristianità: cattolici, ortodossi, protestanti... Si calcola che oltre un milione di persone all'anno salgano fino alla casa di Maria. Alcune vengono per i presunti poteri curativi dell' acqua:- una reputazione che non dovrebbe essere senza fondamento, visto il numero di stampelle e altri supporti degli arti che lì sono raccolti, e pure altri oggetti lasciati come ringraziamento. Altri, tanto cristiani quanto musulmani, vengono semplicemente per pregare in un luogo santo. Altri ancora vengono solo per curiosità, per vedere un luogo dove si crede che la Vergine Maria abbia trascorso gli ultimi anni della vita sulla terra. Quale che sia la ragione per visitare la casa, tutti i visitatori sono concordi nell' ammettere che esso, nonostante le masse che affollano il sito in estate, rimane un luogo di serenità e di santità non comuni.
A prima vista, tuttavia, esso non sembra diverso da una qualunque altra attrazione turistica popolare. L'accesso al sito è affiancato dai soliti negozietti e bancarelle che vendono souvenir di dubbio gusto insieme a oggetti religiosi spesso di banale volgarità. Ma una volta all'interno del sito, l'atmosfera cambia completamente. La santità palpabile dei luoghi induce a un comportamento che non ho trovato in nessun altro luogo di pellegrinaggio che ho visitato.

3. Tutta l'area appare ora come un «santuario»
All' arrivo sul luogo, una statua di bronzo della Vergine accoglie i visitatori con le braccia allargate. Risalente al 1867, la statua apparteneva a una comunità religiosa di Smirne, che la offrì in dono a padre François Saulais, il cappellano di Meryem Ana, che a sua volta la collocò lì su un basamento. Dietro la statua, alla fine del vialetto costeggiato dagli ulivi piantati dagli uomini di padre Jung negli anni '90 dell'Ottocento, si trova la casa. Dietro di essa, in alto e a sinistra, è il terrazzamento sul quale si tengono i servizi religiosi dei gruppi in visita.
L'entrata alla casa, ombreggiata da un grande albero, conduce a un piccolo vestibolo. Sui muri laterali due targhe di marmo - una in turco e l'altra in francese - rendono omaggio a suor Grancey, ai padri Jung e Poulin e agli arcivescovi Timoni e Descuffi. Dopo essere entrati nella stanza principale attraverso un passaggio ad arco, si
 giunge a uno spazio di spoglia semplicità, con due finestre aperte in alto, una per ogni lato, e solitamente una fila di candele tremolanti addossate ai muri. La stanza è divisa da un altro passaggio ad arco, al di sotto del quale, inserita nel pavimento, si trova una grande lastra di marmo nero che segna il luogo dove fu trovato il focolare. Dietro si trova l'altare con, nell' abside, una statua della Vergine. Questa statua venne trovata tra le rovine della casa, ma scomparve due volte nel corso degli anni allorché la casa divenne di fatto "prigioniera di guerra'; e da ultimo fu rinvenuta solo dopo che la casa fu restituita ai Lazzaristi nel 1931. A entrambi i lati dell'altare si trova una nicchia, e quella di destra contiene la lampada di bronzo offerta da Paolo VI nel corso della sua visita del 1967.
Al di là del passaggio ad arco sulla destra si trova la camera da letto di Maria, con tenui raggi di luce che scendono dalle finestre poste in alto. Sul muro di fondo si trova una raffigurazione del volto di Maria dipinto direttamente sulla superficie di pietra dal pittore francese Ratislas Loukine nel corso di una visita alla casa nel 1978. Sugli altri muri sono incorniciati versetti del Corano riferiti a Maria. A causa della condizione speciale che l'islam attribuisce a Maria, spesso si vedono anche musulmani fare namaz (la preghiera) in questa stanza.
Di nuovo all' esterno, gli scalini di fronte alla casa conducono in basso al livello dove la amasya (acqua santa) esce da spine o cannelle sotto gli archi costruiti sul fianco della montagna.
Più oltre, lungo il muro, si trovano alcune griglie di metallo a cui i pellegrini musulmani attaccano pezzettini di tessuto rappresentanti i desideri che sperano saranno esauditi, le preghiere che attendono risposta.
Ma queste preghiere sono sempre esaudite? Lo sa Dio!
Tuttavia è incontestabile il fatto che nel corso degli anni c'è stato un impressionante accumulo di stampelle e altri supporti fisici presso la casa di Maria, e anche una raccolta parallela di offerte votive in riconoscenza per le guarigioni operate, il che lascerebbe intendere che parecchie persone sono partite di qui convinte di avere ottenuto quello che cercavano.

Il 3 ottobre 2004, papa Giovanni Paolo II ha proclamato beata suor Anna Katharina Emmerick. Senza i racconti delle sue visioni, messe per iscritto e ordinate da Clemens von Brentano, quasi sicuramente la casa sulla Collina degli Usignoli non sarebbe mai stata ritrovata. In attesa della canonizzazione dell'umile suora, possiamo comunque stare certi che ella gode ormai in cielo la dolce compagnia della Vergine Maria Assunta e del suo Figlio divino.
Infine, bisogna dire che se qui c'è qualcosa di indubbiamente e stupendamente miracoloso, è che la «casa di Maria» abbia continuato a esistere fino ad oggi. Ripetutamente maltrattata nel corso del tempo e quasi seppellita da secoli di oblìo, essa resta ancora ai nostri giorni, per la nostra gioia ed edificazione: come santuario della Signora, ormai gloriosa, vissuta lì duemila anni or sono, e come memoriale di tutti coloro che in vario modo hanno contribuito a non lasciarla scomparire da questa terra.

La "casa" stessa è il miracolo.