martedì 2 dicembre 2014

Antonio Conte: "Do tutto perchè Dio mi ha dato tanto!"

Antonio Conte, ct dell'Italia

Fede, famiglia, voglia di fare sempre meglio: per la prima volta il Ct della Nazionale di calcio spiega in esclusiva a Credere da dove nasce la sua determinazione.

«Si parla tanto di rilanciare il movimento e poi non si fa nulla. È ora che si cominci a lavorare per davvero, non sono venuto qui a perdere tempo». Antonio Conte, commissario tecnico della Nazionale, non vuole sprecare tempo né talenti. L’ha detto dopo l’amichevole Italia-Albania e il giro di boa dei 100 giorni alla guida della Nazionale, ma il dare il massimo, sempre e comunque, è il suo stile di vita, in campo e fuori, come allenatore e come uomo.
Abbiamo incontrato il mister a Roma, nella sede della Federazione italiana gioco calcio che dal 19 agosto, quando è diventato Ct e coordinatore delle squadre giovanili, è la sua seconda casa. Lasciando da parte temi su cui l’ex allenatore della Juventus si è già espresso più volte (su tutti, l’ingaggio di 4,1 milioni di euro a stagione: «Rientra nei parametri, alle polemiche rispondo con fatti», e l’accusa di omessa denuncia nel processo Calcioscommesse, vicenda chiusa nel 2012 con il patteggiamento, rispetto alla quale si è sempre detto «innocente»), abbiamo affrontato temi su cui Conte non si era mai espresso, a partire dalla fede.
Mister, lei si dichiara cattolico. Cosa significa per lei essere credente?
«La fede aiuta a distinguere il bene e il male, a scegliere la via giusta nei momenti di difficoltà. Sono cresciuto a Lecce, l’oratorio Sant’Antonio a Fulgenzio è stato un punto di riferimento, un rifugio dalle tentazioni della strada. Fin da bambino i miei genitori mi hanno trasmesso un’educazione cattolica, ora sto facendo la stessa cosa con mia figlia Vittoria».
A proposito dei genitori, cosa le hanno detto quando ha annunciato loro l’avventura in Nazionale?
«Erano orgogliosi, perchè da Ct rappresenti un’intera nazione: il loro appoggio mi ha convinto ad accettare l’incarico. E pensare che da ragazzo mio papà non voleva nemmeno mandarmi a giocare al Lecce! Per i miei genitori il calcio era nulla in confronto allo studio, ho dovuto promettere che avrei continuato a studiare. Così mi sono anche laureato. Ai miei genitori devo molto: non mi hanno mai seguito in maniera assillante, conto sulle dita le volte che sono venuti a vedermi giocare dalle giovanili alla prima squadra, ma l’avermi lasciato libero mi ha fatto crescere nell’autonomia».
Da Sacchi a Van Basten, diversi allenatori sono stati messi a dura prova dall’ansia. Lei come trova grinta e serenità prima delle partite?
«Ascolto tutta la mia famiglia: papà, mamma, fratelli, moglie e figlia. Poi mi isolo e dedico alcuni minuti alla preghiera. Comunque capisco chi cede allo stress: l’allenatore sente tutta la pressione addosso, considerate che deve gestire calciatori, staff tecnico, tifosi... Dopo aver accumulato successo e soldi a volte viene da chiedersi perché si accettino responsabilità simili... Poi però, se la squadra ti segue, il campo ripaga di tutte le notti insonni».
Le è più facile ringraziare Dio per quel che ha o invocarlo nel bisogno?
«Non invoco mai il Signore, lo ringrazio sempre, ogni sera, prima di andare a dormire. Prego la Madonna e tutti i santi, anche prima dei pasti faccio il segno della croce per ringraziare di quel che ho. Mi auguro di fare qualcosa che giustifichi tutto il bene che ho ricevuto».
Sente di avere tanto, rinuncia mai a qualcosa?
«In Quaresima faccio fioretti, piccole privazioni di dolci, caffè e del bicchiere di vino. Può sembrare una stupidaggine ma rinunciarvi non è facile».
Maradona ha regalato al Papa la sua maglia, lei cosa regalerebbe al Pontefice?
«A dire la verità il regalo me lo ha già fatto lui! Poco prima del matrimonio sono andato con la mia famiglia in udienza e Francesco ci ha regalato una pergamena di benedizione. Mi ha colpito, io ero andato da “peccatore”, con una figlia... Il Papa ci ha accolto in maniera semplice, mancavano delle sedie e si è alzato lui per prenderle. Sta trasmettendo valori molto importanti, come la semplicità».
Dovesse allenare la “squadra della Chiesa”, dove farebbe giocare Francesco?
«Davanti alla difesa, dove sta il cuore della squadra. È il ruolo di chi si deve sacrificare per la squadra».
Se non fosse stato un uomo di calcio, chi sarebbe diventato Antonio Conte?
«Un professore di educazione fisica. Vengo da una famiglia di sportivi e mi piace educare. Ricordo ancora il mio professore, che mi ha indirizzato a fare sport».
Ci racconti di quando faceva il chierichetto.
«Quando servivamo Messa e il parroco doveva decidere chi avrebbe portato la candela grossa, ricordo che volevo essere scelto. Quando accadeva ero felice, mi cambiava la giornata! Mi piaceva fare il saluto al prete e orchestrare i movimenti degli altri chierichetti».
Quali sono i valori su cui, con sua moglie, state costruendo la vostra famiglia?
«Dico la semplicità, vogliamo vivere una vita semplice, con la gente. Mia figlia frequenta una scuola statale, abbiamo amici che vanno dall’imprenditore al fruttivendolo. Vittoria deve capire cosa è la vita, deve sapersi rapportare con tutti senza distinzione di ceto sociale. Non dimentico che vengo da una famiglia umile, ma con tanti valori».
Come si riportano le famiglie allo stadio?
«Puntando sull’educazione. Spesso i facinorosi hanno avuto infanzie difficili, senza educazione... Mio papà dice sempre “aggiusta l’alberello fino a quando è tenerello”. Noi genitori abbiamo un ruolo molto importante nella crescita dei figli. Quando vedo genitori che guardano le partite dei ragazzini e intanto sbraitano e insultano mi chiedo cosa possano imparare i bambini».
Famiglie in ritiro sì o no?
«Meglio di no, la famiglia è importante ma la squadra quando è in ritiro deve concentrarsi e cogliere l’importanza della partita».
Come vive la domenica la famiglia Conte?
«Andiamo a Messa insieme, a mezzogiorno o alle 18: mia moglie, che pure ha fatto la catechista, si è avvicinata molto alla fede grazie a me. Se sono in ritiro con la squadra cerco di vivere la Messa anche con i giocatori: la fede è praticata e vissuta da molti».
Cosa apprezza in un sacerdote?
«La capacità di toccare temi quotidiani durante la predica, altrimenti poi seguire quel che dice diventa difficile».
Qual è l’episodio della Bibbia che le piace di più?
«Il racconto del figliol prodigo. Mi piace perché insegna a perdonare».
Lei è capace di perdonare?
«Sì, il perdono fa parte del compito dell’allenatore, altrimenti su 25 calciatori ne salveresti 10. Prima di perdonare però penso che si debba far capire gli errori: ci deve essere redenzione da parte di chi ha sbagliato».
Natale è alle porte, come festeggerà?
«Per me Natale vuol dire stare in famiglia. Mi piace andare a Messa a mezzanotte. Verranno i miei da Lecce o li raggiungeremo noi, di sicuro staremo assieme».
 Credere
Testo di Laura Bellomi

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Antonio Conte si confida come non lo si è mai visto: "La fede aiuta a distinguere bene e male, l'oratorio è un rifugio dalle tentazioni di strada".
Abituati a vederlo sempre su un prato verde con l'adrenalina a mille, l'Antonio Conte che parla di religione e valori risulta del tutto inconsueto. Il ct della Nazionale si confida a cuore aperto, riavvolgendo il nastro all'infanzia e ponendo l'accento su ciò in cui crede.
Ecco le sue parole a 'Credere', dove svela: "Do tutto perchè Dio mi ha dato tanto. La fede aiuta a distinguere il bene e il male, a scegliere la via giusta nei momenti di difficoltà. Sono cresciuto a Lecce, l'oratorio Sant'Antonio a Fulgenzio è stato un punto di riferimento, un rifugio dalle tentazioni della strada".
La famiglia è un caposaldo nella vita di Conte: "I miei genitori mi hanno trasmesso un'educazione cattolica, ora sto facendo la stessa cosa con mia figlia Vittoria. Per i miei il calcio era nulla in confronto allo studio, ho dovuto promettere che avrei continuato a studiare. Così mi sono anche laureato".
Pian piano, però, anche i cari hanno accettato la scelta dell'allenatore salentino: "Ai miei genitori devo molto: non mi hanno mai seguito in maniera assillante, conto sulle dita le volte che sono venuti a vedermi giocare dalle giovanili alla prima squadra, ma l'avermi lasciato libero mi ha fatto crescere nell'autonomia".
Fino all'approdo in Nazionale, riguardo al quale "erano orgogliosi, perchè da ct rappresenti un'intera nazione: il loro appoggio mi ha convinto ad accettare l'incarico - confida Conte - E pensare che da ragazzo mio papà non voleva nemmeno mandarmi a giocare nel Lecce".
http://www.goal.com/

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Conte, entrenador de la selección italiana, de vuelta a la fe y la misa: «¡Dios me ha dado tanto!»


Tue, 02 Dec 2014 16:02:00


Nadie se lo esperaba, pero en julio de este año 2014 Antonio Conte de la Juventus, dejaba su cargo. A las pocas semanas, iniciando el mes de agosto, asumía el liderazgo de la selección nacional de fútbol de Italia.

“Se habla demasiado de reactivar el espíritu y luego no se hace nada. Es hora de que empecemos a trabajar con la verdad; no he venido aquí para perder el tiempo".

Es Antonio Conte, el entrenador de la selección italiana de fútbol, quien así indicaba a sus pupilos que no perdería tiempo ni talentos.

Lo dijo ante los medios de comunicación, después del reciente partido amistoso de Italia con Albania, precisando que el esforzarse por dar lo mejor, siempre, es su forma de vida, dentro y fuera de la cancha, como entrenador y como hombre. Pero no es de estrategias, desafíos de campeonatos o sus lícitos anhelos para el mundial en Rusia, que habla en esta entrevista a la revista Credere de la Azzurra, sino de lo fundamental en la vida: su fe.

Partió Conte recordando su natal Lecce, donde el oratorio de la parroquia San Antonio de Fulgenzio fue determinante en su proceso y un refugio, dice, para las tentaciones de la calle.

“La fe ayuda a distinguir entre el bien y el mal, a elegir el camino correcto en momentos de dificultad. Como de pequeño mis padres me dieron una educación católica, ahora estoy haciendo lo mismo con mi hija Victoria”, puntualiza.

- Desde Sacchi a Van Basten, muchos entrenadores deben pasar la dura prueba de la ansiedad. ¿Cómo logra usted encontrar claridad y serenidad antes de los partidos?
- Escucho a toda mi familia: papá, mamá, hermanos, esposa e hija. Luego me voy solo a algún sitio y me paso un par de minutos en oración. Pero entiendo a quienes los atrapa la tensión: el entrenador siente toda la presión sobre él. Tenga en cuenta que debe gestionar con jugadores, cuerpo técnico, aficionados... Después de acumular éxito y dinero a veces te preguntas por qué he aceptado tal responsabilidad... Pero sucede que si un equipo te sigue, el campo compensa todas las noches de insomnio.

- ¿Lo normal para usted es agradecer a Dios por lo que tiene o le invoca en la necesidad?
-No suelo invocar así al Señor, sino que le doy las gracias siempre, todas las noches, antes de ir a dormir. Rezo a la Virgen y a todos los santos. También antes de las comidas hago la señal de la cruz para dar las gracias por lo que tengo. Espero poder hacer algo que justifique todo lo bueno que he recibido. ¡Darlo todo, porque Dios me ha dado tanto!

- ¿Sintiendo que tiene mucho, renuncia usted a algo?
- En Cuaresma practico algunas florecillas, pequeñas privaciones de dulces, café y la copa de vino. Puede parecer una tontería, pero para mí renunciar a ello no es fácil.

- Maradona le regaló al Papa su camiseta, ¿Qué le regaló usted al Papa?
- ¡A decir verdad el regalo me lo hizo él! Poco antes de la boda (n.d.e.: recibió el sacramento del matrimonio en junio de 2013) me fui con mi familia a la audiencia y el Papa Francisco nos dio una bendición en un pergamino. Me impactó, pues yo había ido de "pecador", con una hija... y el Papa nos dio la bienvenida de forma sencilla… Está transmitiendo valores muy importantes.

- Si tuviese que alinear un "equipo de la Iglesia", ¿dónde haría jugar a Papa Francisco?
- Adelante de la defensa, donde está el corazón del equipo. Es el rol de quienes tienen que sacrificarse por el equipo.

- ¿Si no fuera un hombre de fútbol, en que se convertiría Antonio Conte?
- Un profesor de educación física. Yo vengo de una familia de deportes y me gusta educar. Todavía me acuerdo de mi profesor, que me llevó a hacer deporte.

- ¿Recuerda cuando hacía de monaguillo?
- Cuando servíamos en la Misa y el párroco debía decidir quién tomaría la vela grande, recuerdo que yo quería ser elegido. Cuando esto sucedía yo estaba feliz, ¡me cambiaba el día! Me gustaba hacer el saludo al sacerdote y orquestar los movimientos de los otros monaguillos.

- ¿Cuáles son los valores con que construyen su familia?
- Yo hablo de sencillez, queremos vivir una vida sencilla, con la gente. Mi hija va a una escuela pública, tenemos amigos que van de su empresa a comprar en la verdulería. Vittoria (su hija) debe comprender lo que es la vida, ser capaz de relacionarse con todo el mundo sin distinción de clase social. No olvides que yo vengo de una familia humilde, pero con muchos valores.

- ¿Familias en retirada, sí o no?
- Mejor digamos un no. La familia es importante y cuando el equipo está en retirada debe enfocarse y comprender la importancia del juego.

- ¿Cómo vive los domingos la familia Conte?
-Vamos a misa juntos, al mediodía o las 18 horas: mi esposa, quien también ha hecho de catequista, se ha acercado mucha a la fe por mí. Si estoy concentrado con el equipo trato de participar en la misa con los jugadores: la fe se practica y experimenta en comunidad.

- ¿Qué aprecia de un sacerdote?
- La capacidad de tocar temas cotidianos durante el sermón, de lo contrario se me hace difícil seguir lo que dice.

- ¿Cuál es el episodio de la Biblia que más le gusta?
- La historia del hijo pródigo. Me gusta porque nos enseña a perdonar.

- ¿Usted es capaz de perdonar?
- Sí, el perdón es parte de la tarea del entrenador, de lo contrario de 25 futbolistas no quedarían ni 10. Pero antes de perdonar creo que se debe hacer entender los errores: quien hizo mal debe redimirse.