lunedì 13 aprile 2015

La Porta e il Volto




di Stefania Falasca
Una Porta della misericordia, «dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza». Papa Francesco ha chiesto di aprire una porta affinché nessuno sia escluso dall’entrarvi. Una porta non simbolica ma reale attraverso la quale possano passare gli uomini di questo tempo ferito, corrotto e violento. 

La Bolla per l’indizione dell’Anno giubilare Misericordiae vultus consegnata ieri a rappresentanti delle Chiese dei cinque continenti non sigla solo un tratto personale, un pontificato e un percorso ecclesiale, ma spalanca l’orizzonte su un nuovo paradigma, sulla necessità universale di una civiltà fondata sulla cultura della misericordia. La Bolla emanata è un documento denso, una sintesi che assume quasi il carattere di una seconda esortazione per un aspetto, un "architrave" quasi dimenticato, ma che costituisce «un sentiero da seguire» in linea diretta con lo spirito del Concilio nel quale Francesco intende proseguire affidando «la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo». 

Perché «effonda la sua misericordia per una storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro», perché «gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà di Dio», perché «a tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia». Un strada, dunque, all’insegna della cultura dell’incontro, per una «Sposa di Cristo che preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore» e sappia condurre una "ostpolitik" della misericordia per la costruzione di quella "civiltà dell’amore" a cui guardava il beato Paolo VI.

Del resto, come è stato osservato, se il messaggio della misericordia di Dio è tutt’altro che una teoria utopica, lontana dal mondo e dalla prassi, e non si limita a evocare solo sentimenti di compassione, comporta delle conseguenze per la vita di ogni cristiano, per la prassi pastorale della Chiesa e per il contributo che i credenti possono dare a una strutturazione umanamente degna, giusta e misericordiosa dell’ordine sociale. 

Papa Francesco si affida totalmente a Cristo che dice: «Ama il prossimo tuo come te stesso», «siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso», e ciò ha ampie conseguenze per l’etica cristiana, specialmente per l’etica sociale, per la formazione della vita cristiana attraverso opere di misericordia corporale e spirituale, alle quali nella Bolla si fa ampio e diretto riferimento citando san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore». 

È determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio – spiega papa Bergoglio – che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia. Il discorso sulla misericordia di Dio non è perciò un parlare retorico: mette in moto le mani e i cuori. Misericordia significa avere cuore per i poveri, gli emarginati, i sofferenti. Così come anche il richiamo continuo al perdono, e al perdono reciproco: «perdonatevi a vicenda» ha conseguenze non secondarie. L’amore dei nemici è forse la richiesta umana più difficile avanzata da Gesù, e tuttavia è nello stesso tempo uno dei comandamenti cristiani più centrali, affonda le sue radici nell’essenza più intima del mistero cristiano e rappresenta perciò la specificità del comportamento cristiano. 

Per i Padri della Chiesa era il distintivo della novità cristiana nei confronti sia dell’Antico Testamento sia della filosofia pagana. Non solo i singoli cristiani, ma la stessa Chiesa ha diverse volte fallito nel comandamento dell’amore verso i nemici. Ma alla domanda "dove andiamo a finire se rinunciamo all’uso della forza e perdoniamo?" se ne può contrapporre un’altra: dove andiamo a finire se non c’è più posto per la riconciliazione, se vogliamo ricambiare qualsiasi ingiustizia con una nuova ingiustizia in base al principio dello ius talionis, occhio per occhio dente per dente?

Il problema dell’amore e del perdono è quanto mai attuale ed esige un cambiamento di mentalità, anche se il perdono dei nemici, nonostante sia un atto quasi sovrumano, è tuttavia anche atto quanto mai razionale.

Con un gesto di riconciliazione si possono porre le basi di un nuovo inizio possibile, un futuro comune, una collaborazione in favore della giustizia e della pace. Anche l’amore dei nemici quindi non è un «credo quia absurdum», come diceva Freud, ma un «credo quia rationabile est». 

Significativo in questo senso è infine il riferimento della Bolla giubilare di Francesco alla valenza della misericordia nella fede ebraica e musulmana: entrambe infatti «la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio». Israele «per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità». 

Anche l’islam «tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli musulmani», anch’essi «credono che nessuno può limitare la misericordia divina». L’Anno della misericordia, è dunque in questa prospettiva anche uno strumento per «favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose» nel segno dell’apertura conciliare al dialogo, eliminando «ogni forma di chiusura e di disprezzo, ogni forma di violenza e di discriminazione». Davvero un coraggioso «segno dei tempi».
Avvenire

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“Un grande programma nel segno di Roncalli”. Intervista a Loris Capovilla 

(Paolo Rodari) «La Chiesa della misericordia è la stessa che voleva Giovanni XXIII, una Chiesa che condanna il  peccato ma non il peccatore. Anzi, non chiude le porte in faccia a nessuno. “Chi sono io per  giudicare un gay?”, si chiese Francesco. “La bestemmia è un peccato orribile ma chi bestemmia  resta mio fratello”, disse a sua volta Papa Roncalli ». Loris Capovilla, 100 anni il prossimo ottobre e membro più anziano del collegio cardinalizio, ricorda gli anni in cui, seguendo come segretario  particolare il pontificato di Roncalli, fu testimone «della volontà della Chiesa di apertura verso  tutti». 
Una Chiesa che da societas inaequalis diveniva popolo di Dio? 
«Esattamente. Una Chiesa che Giovanni XXIII riteneva dovesse portare al mondo la “medicina  della misericordia”. La società a suo avviso era malata. E la Chiesa doveva curarla non con una  riproposizione sterile della dottrina di sempre, ma con l’amore di Gesù che si piega sui sofferenti e  sui peccatori». 
E dopo più di cinquant’anni siamo ancora allo stesso punto? 
«Se Francesco ha convocato un Giubileo della misericordia evidentemente ritiene che di essa vi sia  bisogno. Ieri, fra l’altro era l’anniversario della “Pacem in terris”, l’enciclica che spiegò come non  si possa avere pace fuori dalla verità, dalla giustizia, dall’amore e dalla libertà. Sono i caposaldi a  cui ancora oggi occorre tornare, per portare la Chiesa e il mondo oltre le piccolezze, le chiacchiere,  il pettegolezzo...». 
La misericordia è per la Chiesa sostanza oppure corollario? 
«È un grande programma. Quando Papa Giovanni ha citato la misericordia l’ha fatto aprendo il  Concilio e ricordando che certamente esso avrebbe dovuto lavorare non dimentico dei venti Concili  precedenti, ma anche andando oltre, perché il cuore di Dio è “miserum cor”, straziato, e si rompe a  vedere un mondo che non riconosce di essere da lui amato. Se uno pensa diversamente da me, io  non divengo il suo giudice. La bontà è l’unica strada percorribile».
La Repubblica

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Giubileo: ecco i peccati che può assolvere solo la Santa Sede

Misericordia e Giubileo


Il Papa invierà i «Missionari della Misericordia» con la facoltà di togliere alcune scomuniche

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO


Nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, Papa Francesco ha annunciato per la prossima Quaresima l’intenzione di inviare nelle diocesi i «Missionari della Misericordia». Si tratta di sacerdoti, ha spiegato, «a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla  Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato».

A che cosa si riferivano quelle parole della Bolla? La definizione «peccati riservati alla Sede Apostolica», spiega il vescovo Giuseppe Sciacca, segretario aggiunto della Segnatura «in realtà è un'espressione che si trovava nel vecchio Codice di Diritto Canonico del 1917 e che sta a indicare alcune censure che possono essere tolte soltanto dalla Santa Sede. Si tratta di casi molto gravi, per i quali scatta la scomunica latae sententiae, cioè automatica, e la cui assoluzione è riservata alla Sede Apostolica».

Il primo di questi casi è contemplato nel canone 1367 del nuovo Codice di Diritto Canonico e riguarda «Chi profana le specie consacrate, oppure le asporta o le conserva a scopo sacrilego», e così «incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica».

Il secondo caso lo si ritrova poco più avanti, al paragrafo 1 del canone 1370, e riguarda «Chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice». C'è poi la scomunica riservata alla Sede Apostolica per il sacerdote che assolve il «complice nel peccato contro il sesto comandamento», cioè che assolve in confessione la persona con la quale ha avuto rapporti sessuali (canoni 977 e 1378, paragrafo 1).

Un altro caso grave riguarda il vescovo che «senza mandato pontificio» consacra un altro vescovo: entrambi, consacrante e consacrato «incorrono nella scomunica late sententiae riservata alla Sede Apostolica» (canone 1382).

Ancora, ricade in questa categoria il sacerdote che viola il «sigillo sacramentale», cioè il segreto confessionale (canone 1388, paragrafo 1). A questo elenco si è aggiunto, grazie a un decreto della Congregazione per la dottrina della fede del 2007, il vescovo che tenta di ordinare una donna sacerdote.

Se questi sono casi limite gravissimi, la cui remissione è affidata solo alla Santa Sede, c'è un altro che i preti normalmente non possono assolvere e per il quale è necessario ricorrere al vescovo o un penitenziere maggiore o a sacerdoti ai quali il vescovo ha dato questa facoltà. Come si legge nel Codice canonico, è l'aborto: un peccato che prevede la scomunica latae sententiae sia per la madre, sia per il medico, per l'infermiere e per coloro che hanno eventualmente convinto la donna ad abortire. La scomunica, ha scritto Giovanni Paolo II nell'enciclica «Evangelium vitae» colpisce «tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato: con tale reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un’adeguata conversione e penitenza».

I «Missionari della Misericordia» avranno dunque autorità su tutte queste materie, «perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato».