lunedì 13 aprile 2015

Le beatitudini dei formatori



Concluso il congresso internazionale dei consacrati.

«Siate formatori beati, contenti di poter prestare questo servizio». La consegna è contenuta nel primo dei dodici punti elencati nel messaggio conclusivo — a firma del cardinale João Braz de Aviz, e dell’arcivescovo José Rodríguez Carballo, rispettivamente, prefetto e segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica — del congresso internazionale sul tema «Formati alla vita consacrata nel cuore della Chiesa e del mondo», svoltosi dal 7 all’11 aprile a Roma.
Un messaggio, dal titolo «Beati formatori e formatrici», che vuole essere un forte invito alla gioia per trasmetterla alle nuove generazioni. Nel testo viene data importanza alla «formazione del cuore», non solo dei comportamenti, ben ricordando che «cor ad cor loquitur». Non è passato inosservato quel riferimento a mettersi alla scuola di Gesù per imparare «ogni giorno l’arte del formare i cuori», perché è la passione per Cristo che «rende formatori». Il messaggio invita a curare la formazione continua, per apprendere dalla pedagogia di Gesù, ma anche dai giovani, dagli errori e dalla vita. Occorre poi considerare che si è formatori «a tempo pieno» e dando il meglio di se stessi. Un compito di grande responsabilità, perché è il Signore che «vi affida i giovani che accompagnate come realtà preziosa ai suoi occhi e che deve divenire tale anche ai vostri stessi occhi». Per questo, è necessario un cuore grande, «per accogliere quanti il Padre vi affida da ogni parte della terra», in particolare i giovani che siano «ricchi di misericordia per “i senza dignità”», per imparare a cercare Dio «nelle periferie dell’esistenza, liberi di lasciarsi formare dalla vita». Il messaggio avverte che occorre fare attenzione a non pretendere nulla dai giovani che «non sia già vissuto e messo in atto da voi. Senza imporre pesi impossibili e motivando sempre ogni richiesta con la legge della libertà dei figli di Dio, la legge dell’amore». È opportuno poi considerare la necessità della relazione interpersonale tra formatore e formando, quale «strumento per eccellenza dell’azione educativa». 
Il testo dà ampia importanza alla formazione dei formatori, quale «precisa e inderogabile responsabilità dei superiori». E si conclude con un incoraggiamento, perché «senza il vostro servizio la vita consacrata non potrebbe esistere, o avrebbe un futuro incerto». Allo stesso modo, «senza la vostra pazienza e il vostro discernimento il popolo di Dio rischierebbe di non veder più quella via luminosa capace di far brillare, in un mondo che passa, il mondo definitivo trasfigurato dalle beatitudini».
La formazione dei formatori è emersa come esigenza comune anche nel corso del forum interdicasteriale, che si è svolto sabato pomeriggio, 11 aprile. Il primo a intervenire è stato il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, il quale ha parlato di formazione dei formatori, che non è «una sorta di slogan del momento, ma una permanente e grave esigenza della vita della Chiesa, bisognosa di donare al popolo di Dio “buoni pastori”, o “buone guide”, che possano condurlo sulle vie del Signore». Infatti, siccome «nella buona riuscita dell’opera formativa si gioca una parte consistente del futuro di una diocesi o di un istituto», è «imprescindibile che vescovi e superiori affidino tale delicato e prezioso incarico a persone veramente idonee, considerandolo uno dei ministeri di maggior rilievo, come è ben chiaro al magistero anche meno recente dei Papi». D’altra parte, ha fatto notare il porporato, la formazione è «un’arte relazionale, che si fonda su un rapporto e uno scambio tra chi forma e chi è formato». Infatti, «non c’è un soggetto agente e un altro passivo, come se il formatore dovesse modellare la “materia inerte” di chi è formato». Al contrario, ci sono «due libertà, che si incontrano per concorrere all’unica azione formativa, avendo ovviamente in essa responsabilità e compiti differenti, in ragione di quanto compete a ciascuno». Il cardinale ha anche sottolineato l’importanza di un giusto discernimento vocazionale e di una formazione che favorisca la maturazione della persona, particolarmente «di una affettività, piena e realizzata, con una perfetta continenza nel celibato». 
Gli ha fatto eco l’arcivescovo Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica, il quale ha ricordato il grande numero di scuole cattoliche e di facoltà ecclesiastiche, sorte nel mondo grazie al contributo dei consacrati. Il presule ha parlato di sfide educative. Un primo fenomeno che caratterizza il nostro tempo e la cultura di oggi è «la crisi dei rapporti e della comunicazione tra le generazioni». Questo problema, ha aggiunto, pone «la questione dell’autorità e della libertà, così come sono vissute nei processi educativi, inclusa la trasmissione della fede». Una seconda sfida è «la nuova cultura digitale», che «offre opportunità che continuano a evolversi nelle loro applicazioni a tanti campi della vita umana e dischiude scenari impensati che suscitano talvolta disorientamento, paure e condanne». La terza sfida riguarda il tema interculturale. 
L’arcivescovo Rodríguez Carballo poi ha sottolineato alcune urgenze della formazione: il discernimento vocazionale, la necessità di un incontro personale con Gesù; camminare in profonda comunione con la Chiesa, ma anche la necessità di formarsi e formare a una vita fraterna in comunità che sia umana e umanizzante. È opportuno, ha sottolineato il presule, curare la “passione” per il Signore e la “passione” per l’umanità specialmente per i più poveri. I consacrati, essendo «chiamati a evangelizzare la cultura e ad andare alle “periferie del pensiero”», devono coltivare «un rinnovato amore per l’impegno culturale», per la «dedizione allo studio come mezzo per la formazione integrale e come percorso ascetico». Infatti, come l’“intellettualismo astratto” può portarli a «sentirsi prigionieri nelle reti di un “narcisismo soffocante”, non coltivare lo studio potrebbe generare nel consacrato “un senso di emarginazione e di inferiorità” e una pericolosa superficialità e leggerezza nelle iniziative pastorali e di evangelizzazione che le renderebbero inutili alla nobile causa del dialogo con la cultura attuale e della sua necessaria evangelizzazione».
L'Osservatore Romano