giovedì 16 aprile 2015

Servo di Dio e degli uomini



È il titolo del volume che la Libreria Editrice Vaticana pubblica a dieci anni dall’elezione di Ratzinger. Sarà presentato lunedì in Vaticano

REDAZIONE Vatican InsiderROMA

Si svolgerà lunedì 20 aprile alle 18,30 presso il Campo Santo Teutonico (via della Sagrestia 17, Città del Vaticano) la presentazione del volume «Benedetto XVI Servo di Dio e degli uomini», pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana per il decimo anniversario dell’elezione a Pontefice di Joseph Ratzinger, avvenuta il 19 aprile 2005.

L’incontro avrà inizio con un saluto e la presentazione del progetto «Biblioteca Romana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI» da parte di monsignor Stefan Heid, direttore dell’Istituto romano di Görres-Gesellschaft. Seguiranno gli indirizzi di saluto di don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana e di Albrecht Weiland, direttore della casa editrice Schnell und Steiner di Ratisbona, che ha pubblicato il volume in tedesco. La presentazione dell’opera sarà affidata a Christian Schaller, vicedirettore dell’Institut Papst Benedikt XVI di Ratisbona, vincitore del Premio Ratzinger nel 2013.

Questo volume, a cui hanno contribuito numerosi autori – tra i quali figurano il presidente del Circolo degli ex allievi di Joseph Ratzinger padre Stephan Otto Horn, e i cardinali Cordes, Koch, Marx, Meisner, Müller – intende offrire uno spaccato dell’opera di Papa Ratzinger in parole e immagini. «Le persone volevano, sì, vedere Benedetto XVI, ma lo volevano soprattutto ascoltare» afferma nella prefazione l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare del Papa emerito.

Tra i temi trattati nei diversi capitoli del volume: la trilogia su Gesù di Nazaret, il rapporto tra fede e ragione, il legame con Giovanni Paolo II, le encicliche, il Concilio Vaticano II, i viaggi apostolici, l’ecumenismo, il sacerdozio e l’identità sacerdotale.

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Monsignor Georg: "Il mio Ratzinger segreto. Così provai a convincerlo a non lasciare il pontificato" 

(Paolo Rodari) Dalla messa all'alba tutti i giorni al tg delle 20. Georg Gänswein, storico segretario di Benedetto XVI, racconta la vita del Papa emerito che oggi compie 88 anni e di cui domenica ricorrono i dieci anni dall'elezione. "Impossibile dissuaderlo, ma fu una decisione serena".  -- "Quando rinunciò al pontificato era di una serenità sconvolgente. La sua anima ne è ancora oggi pervasa, mentre trascorre le sue giornate fra gli amati libri, collocati in un ordine che soltanto lui, da oltre mezzo secolo, sa riconoscere. Legge, studia, suona e anche canta". Canta? "Solo nella santa messa!".Monsignor Georg Gänswein, 58 anni, ci conduce nel Monastero Mater Ecclesiae dentro la vita privata di Benedetto XVI, il Papa emerito di cui egli è segretario, nei motivi della storica rinuncia, nell'amicizia col successore Francesco. Il tutto in giorni importanti per Joseph Ratzinger: oggi compie 88 anni, il 19 aprile festeggia i dieci anni dall'elezione al soglio di Pietro.
Partiamo dai libri. Quali legge?
"Ama i teologi, ma anche le biografie. A volte si concede letture su tematiche inerenti fede e ragione, ma anche Balthasar in relazione con Rahner, De Lubac, insomma i teologi che conobbe al tempo del Concilio. Ci sono anche libri di storia che gli piacciono. Nel Monastero ha la grande libreria che aveva prima nell'appartamento in piazza della Città Leonina e poi nel palazzo apostolico. I libri sono tutti nella medesima posizione di un tempo. All'inizio del papato, quando ancora non era stato fatto tutto il trasloco dei libri, ogni tanto dovetti accompagnarlo per qualche "fuga" nel suo vecchio appartamento per prendere qualche libro che gli mancava".
Come sono le sue giornate?
"Alle 7.45 c'è la messa nella cappella. Di solito io concelebro, se non posso chiamo un sacerdote amico. Ci sono sempre anche le Memores che abitano nel Monastero e ci aiutano nelle faccende di casa come già nel palazzo apostolico. La messa, come la preghiera successiva, si svolge lentamente. Papa Benedetto non ama la fretta. Ogni cosa deve essere fatta bene e con calma. È molto ordinato e metodico. Dopo il breviario fa colazione. Quindi si dedica alla corrispondenza privata che è addirittura cresciuta negli ultimi tempi, allo studio. Tre o quattro volte alla settimana, a fine mattinata, riceve ospiti. Alle 13.30 c'è il pranzo e dopo fa alcuni giri a piedi sul piccolo terrazzo del Monastero. Poi riposa e il pomeriggio alle 16.15, durante l'estate più tardi, la passeggiata col rosario. Poi ancora studia e legge. Alle 19.30 cena, quindi guarda il Tg1, e dopo si ritira in cappella per la compieta".

Sta scrivendo qualche libro?
"Non sta scrivendo nulla. Mi ha detto: "Il Gesù di Nazaret era il mio ultimo libro, la mia vita scientifica è conclusa. Non ho più la forza per scrivere". E poi: "Se avessi ancora la forza per scrivere, non avrei rinunciato al papato".
Perché ha scelto di rimanere ad abitare in Vaticano? 
«Glielo chiesi anch’io. Mi disse: “Riflettendo, ho capito che il Mater Ecclesiae sarebbe il posto  ideale perché è un po’ isolato, ma nello stesso tempo garantisce la libertà necessaria per vivere  tranquillo e nascosto”». 
Disse di rinunciare all’esercizio del ministero petrino perché le sue forze, per l’età avanzata,  non erano più adatte. I motivi furono soltanto questi? 
«Si, disse che il ministero petrino necessita di vigore sia del corpo, sia dell’animo, “vigor quidam  corporis et animae necessarius est”. Parlò, insomma, di forze fisiche e anche di spirito. Negli ultimi  mesi del suo pontificato si vedeva che per andare avanti doveva sforzarsi fortemente». 
Erano momenti difficili in Vaticano. Anche questi fattori esterni lo spinsero a lasciare? «I motivi sono quelli appena detti. Tutte le altre ipotesi restano tali. È ovvio che tutto ciò che è  successo nei due anni precedenti l’11 febbraio consumò le sue forze, ma non fu motivo per la  rinuncia. Non fu una fuga. Era convinto che il pastore non deve mai fuggire da nulla, neanche dai  lupi se li incontrasse. Questa è la chiave per la giusta comprensione della sua decisione. Non è  fuggito, ha semplicemente e umilmente ammesso di non avere più la forza per reggere la Chiesa di  Cristo». 
Vi fu chi scrisse che sarebbe stato insostenibile continuare a chiamare Ratzinger “papa”, sia  pure emerito, e che invece solo la qualifica di vescovo sarebbe stata appropriata. 
«Non riesco a capire perché l’emeritato per il vescovo di Roma, per il successore di Pietro, non sia  possibile. Benedetto XVI è Papa emerito e ritiene di esserlo legittimamente». 
Le parlò prima dell’11 febbraio 2013 della volontà di rinunciare? 
«Sì». 
Provò a dissuaderlo? 
«Sì. Appena me lo disse, parecchio tempo prima dell’11 febbraio. Ma immediatamente vidi e capii  che non era possibile convincerlo. Era una decisione presa con una tale chiarezza e serenità che  tutte le paure e preoccupazioni svanivano senza bisogno che lui dicesse nulla di più». 
Il 28 febbraio lei pianse lasciando con Ratzinger il Vaticano. Perché? 
«Perché ho sofferto internamente. Ero consapevole che era l’ultima volta che facevo certe azioni,  certi gesti. Piangevo, mentre lui invece era serenissimo. Aveva una forza interiore incredibile. Ed è  così ancora oggi». 
In forma privata a Castel Gandolfo le parlò del conclave, della sua successione? 
«Tutti i giorni dopo il 28 febbraio lasciavo Castel Gandolfo e venivo in Vaticano per lavorare in  Prefettura. Benedetto in quei giorni era stanco, molto stanco. Parlava pochissimo. Tornando il  pomeriggio dal Vaticano, gli raccontavo quello che facevo, che vedevo e sentivo. Ne prendeva atto,  ma non diceva né chiedeva nulla». 
La sera del 13 marzo Ratzinger ha visto dalla tv Bergoglio affacciarsi alla loggia centrale della basilica vaticana? 
«Sì, ma in quel momento ero in Vaticano. A Castello c’erano con lui monsignor Alfred Xuereb e le  Memores. Ricordo che appena eletto Papa, Bergoglio mi chiese se poteva chiamare Benedetto. A  Castello non si aspettavano questa telefonata tanto che quando chiamò nessuno rispose. Erano tutti  in sala tv ad aspettare di vedere chi si sarebbe affacciato e nessuno venne al telefono. Poi siamo  riusciti a trovarlo e si sono parlati. Il giorno dopo gli chiesi della telefonata con il nuovo Papa. Mi  disse soltanto: “Molto bello. Gli ho fatto gli auguri, gli ho promesso la preghiera”». 
Vi fu chi disse che, rinunciando, Ratzinger tradiva il papato e anche la Chiesa. 
«Lo ritengo ridicolo. Ratzinger, da fine teologo, era consapevole che la sede vacante poteva essere  data o dalla morte del Pontefice o dalla sua rinuncia, seppure questa seconda possibilità non si era  mai verificata nei tempi recenti». 
La Repubblica, 16 aprile 2015