sabato 9 maggio 2015

Aleppo deve vivere!



Il  tweet di Papa Francesco: "Impariamo a vivere la benevolenza, a volere bene a tutti, anche a quelli che non ci vogliono bene." (9 maggio 2015)

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Aleppo senza cristiani in un mese!

di Luca Geronico
«Siamo ogni giorno sotto le bombe. Credo che tanti cristiani fuggiranno da Aleppo e cercheranno riparo nell’area costiera, ma lo faranno solo quando saranno chiuse le scuole e le università, dopo gli esami » afferma il vescovo caldeo di Aleppo, Antoine Audo. 

«È paradossale – racconta a Fides l’anziano gesuita – ma nel disastro in cui viviamo, anche quest’anno nei quartieri centrali di Aleppo le scuole e l’università sono rimaste aperte. E chi poteva non ha rinunciato ad andare a lezione e a fare gli esami, mostrando di credere ancora che lo studio è importante per il futuro. E tutto questo, mentre si vive in una città che non sembra avere futuro». 

Nelle ultime ore, secondo notizie rilanciate dalle agenzie internazionali, nella regione di Aleppo le milizie jihadiste avrebbero consolidato le loro posizioni, intimando la resa anche a duemila soldati dell’esercito governativo rimasti intrappolati nell’area dell’aeroporto militare. «In realtà – riferisce il vescovo Antoine Audo – da più di tre anni per uscire da Aleppo non usiamo gli aeroporti, che si trovano tutti in aree conte- 
se. L’impressione è che sia in atto una forte propaganda e guerra psicologica contro il governo, orchestrata anche a livello internazionale con l’uso pilotato dell’informazione. Parlano di un attacco prossimo su Aleppo, dicono che Aleppo è finita. Forse stanno preparando qualcosa». 

Anche le notizie riguardanti i cristiani, secondo il vescovo Audo, vengono spesso utilizzate in chiave strumentale: «Fin dall’inizio, hanno fatto di tutto per presentare questo conflitto come uno scontro religioso tra cristiani e musulmani, o tra sciiti e sunniti. Certo, i cristiani sono il gruppo più inerme, non hanno armi, hanno paura ». Questo perché «c’è chi vuole dividere tutta l’area in piccole entità settarie, come hanno provato a fare anche in Iraq, per mettere gli uni contro gli altri e continuare a dominare tutto». 

Intanto il movimento sciita libanese ha bollato come «false e infondate» le notizie secondo cui oltre 40 miliziani del gruppo sarebbero stati uccisi nella battaglia nella regione di Qalamun, a ridosso del confine tra Libano e Siria, e conferma la morte di «soli tre combattenti». In un comunicato Hezbollah ha affermato che «alcuni media libanesi e arabi continuano a diffondere notizie false sul numero dei combattenti di Hezbollah uccisi negli ultimi giorni nella regione di Qalamun sostenendo che il bilancio è di 40 morti». Giovedì Hezbollah e le forze del regime siriano avrebbero preso il controllo di diverse aree nella regione di Qalamun dopo violenti combattimenti e raid aerei, come riferito in un comunicato dell’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Avvenire

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Il patriarca maronita sulla presenza dei profughi siriani in Libano. Bisogna fermare la guerra

«Devono capire che è necessario fermare la crisi in Siria. La comunità internazionale deve smettere di alimentare la guerra e abbandonare il commercio delle armi. I leader politici devono mettere da parte l’orgoglio e sedersi attorno a un tavolo per trovare finalmente una soluzione»: è quanto chiede — attraverso una conversazione con la fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre — il patriarca di Antiochia dei Maroniti, cardinale Béchara Boutros Raï, il quale sollecita associazioni e mezzi di informazione a favorire una maggiore conoscenza del dramma dei cristiani mediorientali, soprattutto tra i politici occidentali.«Cosa rimarrà del Libano e della nostra cultura?», si domanda ancora il porporato descrivendo le difficoltà e i pericoli legati alla presenza di oltre un milione e mezzo di siriani nel Paese dei cedri. Una percentuale altissima rispetto agli appena quattro milioni e mezzo di abitanti. Tale presenza non implica soltanto uno straordinario sforzo umanitario ma potrebbe avere importanti ripercussioni sui rapporti interreligiosi: «La maggioranza dei profughi è costituita da sunniti — spiega il patriarca — che potrebbero essere facilmente sfruttati dai loro correligionari libanesi». Il prelato ricorda l’esperienza vissuta dal Libano nel 1970, quando la presenza dei rifugiati palestinesi innescò la guerra civile. Già allora i profughi palestinesi furono sostenuti dai sunniti locali. Nello scenario attuale le dinamiche diventano ancora più complesse: «Quando lo scorso anno — spiega il patriarca — vi è stato un primo scontro tra l’esercito libanese e lo Stato islamico, i militari sono stati attaccati dai sunniti libanesi. La presenza dei rifugiati è una bomba a orologeria pronta a esplodere. La guerra in Siria deve assolutamente finire, così che i profughi possano tornare nel proprio Paese».
La presenza di queste persone in fuga dalla guerra ha pesanti ripercussioni anche in campo economico. «I profughi siriani hanno ovviamente bisogno di mangiare — afferma Raï — e così lavorano per un salario nettamente inferiore a quello dei libanesi. Analogamente i loro negozi hanno dimezzato i prezzi dei prodotti. Dinamiche, queste, che hanno indotto molti libanesi a emigrare». Anche la locale comunità cristiana soffre gravemente: «Molti fedeli stanno vendendo le loro proprietà per poi trasferirsi all’estero. Vi è il pericolo che il Medio oriente si svuoti totalmente di cristiani. E l’Occidente deve comprendere la gravità della situazione».
Il patriarca osserva inoltre come dietro allo stallo politico si celino interessi economici, specie quelli legati al petrolio, e sottolinea la responsabilità delle nazioni arabe e occidentali nella creazione di gruppi jihadisti quali Al Qaeda, Al Nusra e Isis.
L'Osservatore Romano