domenica 17 maggio 2015

La persona prima di tutto



Il cardinale Parolin a Caritas internationalis. 

La persona prima di tutto. Ma senza per questo mai perdere di vista le grandi emergenze mondiali. E tenendo come punto fermo la verità che «Gesù è il Cristo». È stato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, nella messa di sabato mattina 16 maggio, celebrata nell’ambito dell’assemblea generale in corso a Roma, a tracciare le linee guida dell’attività che attende ora Caritas internationalis. Con un obiettivo: rendere «più ecclesiale» il volto della confederazione «e più caritativo il volto della Chiesa».
Nel commentare la parola di Dio, il porporato ha rilanciato anzitutto l’espressione «Gesù è il Cristo». Ai rappresentanti della Caritas il segretario di Stato ha ripetuto proprio «questa grande affermazione: Gesù è il Cristo, cuore della predicazione della Chiesa». Una verità, ha aggiunto, che «deve diventare carne della nostra carne, prima di tutto nella nostra vita personale».
«Essere cristiani, professare che Gesù è il Cristo — ha spiegato — è in primo luogo un atteggiamento personale, maturo, ponderato di chi ha responsabilità nelle Caritas ai diversi livelli. Un atteggiamento personale e non un’etichetta esterna. Ed è da questa intima convinzione che può sgorgare un servizio degno del nome che portiamo». E questo, ha puntualizzato il porporato, «non può mai essere un dato semplicemente scontato, una premessa ovvia, ma è una adesione personale che si rinnova quotidianamente». E così ha suggerito di «considerare questa dimensione di fede cristiana del servizio come l’elemento primario che fa essere di Caritas realmente una Caritas di Cristo». Del resto è «questa sorgente che dà senso alla nostra presenza nel mondo». E «diventa anche criterio di giudizio sulla realtà che ci circonda». Infatti «per le questioni economiche e sociali, per quelle ecologiche e antropologiche il cristiano dispone di un criterio di giudizio che legge e interpreta tali realtà con lo sguardo di Cristo». In quanto cristiani «queste realtà ci interpellano, chiedendoci una risposta: i grandi bisogni umani non ci possono lasciare indifferenti». 
In proposito il segretario di Stato ha indicato «le grandi emergenze, come in queste settimane nel Nepal, o le grandi crisi come nella Siria e in Iraq, per le quali la comunità internazionale non riesce a trovare strade per una soluzione equa e condivisa».
Ma «è lo stile della nostra risposta la vera sfida che ci viene dalla fede» ha proseguito. Dunque bisogna domandarci «come incide la nostra fede nella interpretazione dei bisogni umani e nella risposta a essi?». Una «domanda che deve precedere, accompagnare e completare ogni riflessione strategica o politica».
Secondo il cardinale Parolin «una delle caratteristiche principali di questo stile che segna un organismo cattolico di carità è l’incontro personale con chi soffre». Così «colpisce che anche il Papa parli non di povertà, ma di poveri» perché «dietro ogni fenomeno sociale ci sono delle persone». Il porporato ha invitato, di conseguenza, a non «perdere di vista la dimensione personale della miseria nelle sue diverse forme e la dimensione personale della nostra risposta». Anche perché «ciò non impedisce l’attività di intervento sulle strutture, i processi, le grandi decisioni». 
Un’altra dimensione su cui riflettere — ha affermato commentando le letture del giorno — è quella «della Chiesa che prolunga l’opera di Gesù». Come rivelano i nuovi statuti, «non esiste una Caritas senza una relazione vitale con la Chiesa». È un’affermazione che, secondo il cardinale Parolin, deve far sì che «Caritas trovi sviluppo e accoglienza dentro la Chiesa, dall'ambito parrocchiale fino a quello internazionale: questo aiuta a rendere più sensibile la Chiesa intera al servizio della carità». I rappresentanti della Caritas hanno perciò «un ruolo di testimonianza e di profezia, per rendere sempre più materno e accogliente il volto della Chiesa, perché la Chiesa viva in maniera sempre più piena la sua natura di carità». Inoltre, ha detto il segretario di Stato, «questa appartenenza ecclesiale implica che nessun organismo Caritas può vivere a lato della Chiesa, considerandola magari come partner ma non come soggetto della sua attività».
Da qui la conclusione: «la comunione con la Chiesa locale è una caratteristica intrinseca di Caritas — ha spiegato il porporato — e nessuna strategia o accordo con finanziatori può farci deviare da questa comunione profonda, perché ne va della nostra identità».
L'Osservatore Romano