giovedì 7 maggio 2015

Lo Stato non è la società!



Riflessione del cardinale Ricard sulla laicità in Francia. 

(Giovanni Zavatta) Perché una processione religiosa non dovrebbe essere considerata l’espressione di un diritto legittimo, come accade per un corteo sindacale o un raduno di omosessuali? Perché nello spazio pubblico dovrebbe essere ammesso il “diritto al blasfemo” e non la lecita manifestazione dei differenti culti? Perché quando, a febbraio, ventuno copti sono stati decapitati in Libia, responsabili pubblici francesi hanno taciuto volontariamente sull’appartenenza cristiana delle vittime parlando solo di «cittadini egiziani»? E perché vietare, da parte dell’Ente autonomo dei trasporti parigini, la menzione «Per i cristiani d’Oriente» su dei manifesti che annunciavano uno spettacolo in loro favore? Mais de quelle laïcité parle-t-on? “Ma di quale laicità parliamo?”. 
A chiederselo è il cardinale arcivescovo di Bordeaux, Jean-Pierre Ricard, in un editoriale pubblicato sul sito in rete della diocesi. Un argomento non nuovo, certo, ma sempre attuale in Francia, Paese dove la laicità rappresenta il quarto pilastro della Repubblica dopo la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza. E che si nutre quasi quotidianamente di discussioni e polemiche, per una donna velata all’Opéra di Parigi, per una kippah tenuta in testa dal rabbino capo di Tolosa durante le procedure di voto in un seggio elettorale, o una gonna “troppo lunga”, come è successo a una studentessa musulmana di Charleville-Mézières, nelle Ardenne, bandita da scuola perché quell’indumento sarebbe stato sinonimo di ostentazione religiosa. La stessa “ostentazione” che probabilmente costringerà il monumento a Giovanni Paolo II in una piazza di Ploërmel, in Bretagna, a traslocare in un posto meno pubblico.
Laicità positiva — per usare l’espressione utilizzata dall’allora presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy in un celebre discorso pronunciato il 20 dicembre 2007 nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma — o laicismo aggressivo e intollerante? Quella che intravede il cardinale Ricard è una laicità della paura e della sfiducia: «Riattivando un vecchio laicismo di lotta espresso durante la Terza Repubblica contro la Chiesa cattolica, un certo numero di partigiani di questa laicità militante chiede l’esclusione delle religioni e delle espressioni religiose dai luoghi pubblici. Per loro, le religioni sono spesso sinonimo di fanatismo, di volontà di potenza e di violenza. Non potendo farle sparire, vogliono limitarle nello spazio chiuso delle convinzioni personali e dei luoghi di culto. I luoghi pubblici devono essere resi asettici, esenti da ogni riferimento religioso. La minima manifestazione religiosa sarà tacciata di proselitismo. La Repubblica conoscerà solo cittadini dei quali non si vuole prendere in considerazione l’eventuale appartenenza religiosa. E a volte si militerà per aiutare questo cittadino a prendere le distanze di fronte alla propria appartenenza comunitaria». Il porporato ricorda che di tali argomentazioni era fra l’altro intrisa la «Carta della laicità» elaborata dal ministero dell’Istruzione e fatta esporre nelle scuole pubbliche francesi nel settembre 2013.
La Francia — recita l’articolo 1 della Costituzione — «è una Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. Essa assicura l’eguaglianza dinanzi alla legge a tutti i cittadini senza distinzione di origine, di razza o di religione. Essa rispetta tutte le convinzioni». La laicità della Repubblica designa la neutralità e l’indipendenza dello Stato nei confronti delle fedi religiose e delle convinzioni filosofiche (principi inderogabili, a esempio, per un funzionario pubblico). Ma il fatto che lo Stato non si assoggetti ad alcuna religione non esclude che possa avere relazioni con esse. È una laicità del rispetto, per la quale nessun cittadino deve essere discriminato a causa del suo credo o della sua fede. Non a caso la legge del 9 dicembre 1905, sulla separazione fra le Chiese e lo Stato, sottolinea che «la Repubblica assicura la libertà di coscienza» e «garantisce il libero esercizio dei culti con le sole restrizioni nell’interesse dell’ordine pubblico», oltre a non riconoscere, finanziare e sovvenzionare alcun culto. Se le religioni in Francia non sono più di diritto pubblico, commenta quindi l’arcivescovo di Bordeaux, non viene meno la missione della Repubblica di assicurare la libertà di coscienza, la libertà religiosa e di garantire alle confessioni la loro espressione pubblica. La legge in effetti parla di “culti” e non semplicemente di convinzioni personali. E la sola restrizione alla manifestazione esterna delle religioni è legata al rischio di turbare l’ordine pubblico.
Alla laicità della paura e della sfiducia Ricard oppone quella del dialogo e dell’incontro: «Se lo Stato è laico, la società francese non lo è. Essa è diversa, pluralista, attraversata da molteplici correnti di pensiero. Non è escludendo le differenze e limitando nello spazio privato le coscienze che le nostre società democratiche e pluraliste edificheranno la fratellanza. È invece facilitando l’incontro, la scoperta reciproca e il dialogo che vi contribuiranno». E richiama la «legittima, sana laicità dello Stato» di cui parlò Pio XII (e poi Giovanni Paolo II), una laicità che distingue gli ambiti ma che — osserva il cardinale Ricard — «chiama ciascuno a essere attore di fratellanza, non a dispetto della sua religione, ma al centro stesso della sua fede». Una sfida alla quale deve partecipare pienamente la comunità islamica, contro la quale gran parte del laicismo contemporaneo si rivolge. La costruzione della società, conclude il porporato, è «una bella avventura», in cui ognuno è chiamato a portare la sua pietra e dalla quale nessuno è escluso. I musulmani ne sono consapevoli. Essi — si legge all’articolo 1 della Convenzione cittadina per il vivere insieme pubblicata nel giugno 2014 dal Consiglio francese del culto musulmano — «hanno bisogno di aprirsi alla società nella quale vivono, così come a tutte le sue componenti religiose, culturali, sindacali, politiche. Una tale apertura all’altro, rigettando ogni forma di arcaismo, non può che avere ricadute positive sulla società».
L'Osservatore Romano