giovedì 7 maggio 2015

Sotto attacco

Copti decapitati dall'Isis in Libia"Io, ex mujaheddin, vi spiego che dalla Libia sta partendo la guerra contro i cristiani"
di Stefano Magni

“Stanno lanciando una guerra contro i cristiani, ovunque nel mondo, in Libia così come contro il Vaticano e dobbiamo trovare un interesse comune nel combattere questi fanatici, ma farlo ora, prima che possano diventare troppo potenti”. A parlare così è Noman Benotman, libico, ex jihadista e attualmente presidente della Quilliam Foundation, un’associazione britannica che studia e contrasta i processi di radicalizzazione nel mondo islamico.
Lo abbiamo incontrato nella tavola rotonda “Libia e il futuro della sicurezza nel Mediterraneo”, tenutasi ieri a Roma e organizzata dal Comitato Atlantico Italiano (in collaborazione con Abhath e Mediterranean-Gulf Forum). La Libia è certamente l’argomento prioritario della politica estera italiana, specie quando sono aumentati a dismisura gli sbarchi di immigrati clandestini. Fra i rappresentanti del nostro mondo politico erano invitati a parlare, alla tavola rotonda di Roma, il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova e l’onorevole Cicchitto (commissione Esteri alla Camera), molti gli ospiti arabi fra cui l’ex mediatore per l’Onu in Libia, Abdul Ilah Khatib, Mohammed Dahlan, uno dei leader più famosi di Al Fatah, Mohammed el Orabi, diplomatico egiziano e già ministro degli Esteri. Noman Benotman, con il suo passato, ha dato un taglio particolarmente sentito e combattivo al suo intervento. E’ l’unico che abbia visto dall’interno come è nata e cresciuta la violenza dei nuovi totalitari.
Cinquantenne libico, oppositore di Gheddafi fin dalla tenera età ed esule politico, ha iniziato la sua “carriera” in Afghanistan, a combattere contro i sovietici. Dopo un lungo periodo nel Gruppo da Combattimento Islamico, movimento armato di opposizione al dittatore libico, ha cambiato vita in seguito all’11 settembre 2001. Anche nella conferenza del Comitato Atlantico sottolinea più volte la differenza fra la vecchia e la nuova generazione del terrorismo. La nuova generazione, prima di tutto, non ha territorio, non ha obiettivi politici e non conosce confini. “Un ordine parte dal Waziristan (Pakistan settentrionale) e una persona viene sgozzata a Parigi”, ci dice a mo’ di esempio. Ma soprattutto sono cambiati gli obiettivi: non c’è una strategia volta a ottenere risultati politici, ma quella di una guerra volta a uccidere cristiani e occidentali. Una guerra che va avanti, senza compromessi, fino allo sterminio. Quando si parla di guerra contro i cristiani, non dobbiamo pensare ad obiettivi singoli. “Il problema di questo nuovo conflitto è che qualunque cristiano e qualunque simbolo cristiano è un potenziale bersaglio. E’ una guerra di religione. Vale anche per gli arabi: basti vedere come sono stati crudelmente sgozzati i copti cristiani, o anche gli africani, come i cristiani etiopi. Il video, in entrambi i casi, si concludeva con il proposito ‘conquisteremo Roma’. E perché Roma? Per il Vaticano, per il cristianesimo, non per altri motivi”. 
In Italia si parla di Libia soprattutto quando si pensa all’immigrazione irregolare. C’è il rischio di infiltrazione terrorista nell’immigrazione clandestina? Alcuni dicono di sì, ma gli esperti di intelligence rispondono sempre che: no, se proprio devono venire, i terroristi non rischierebbero di fare naufragio nel Mediterraneo. Benotman invece si dice convinto che questa infiltrazione: “è già iniziata. Io credo, fortemente, sinceramente, che i vostri servizi di intelligence siano a conoscenza dei personaggi che gestiscono il traffico di immigrati clandestini dalla Libia. E’ molto facile che infiltrino terroristi fra gli immigrati, proprio perché la parte di Libia da cui prendono il largo i clandestini è controllata dalle milizie terroriste e per loro è una fonte di autofinanziamento”.
La primissima cosa da fare è “Smettere di riconoscere le milizie jihadiste, come quelle dei Fratelli Musulmani e dare pieno appoggio al governo legittimo ed eletto, senza alcun dubbio e senza ambiguità”. Una loro mossa futura potrebbe consistere nel blocco delle esportazioni di petrolio libico e nella distruzione dei campi petroliferi, come si può già vedere nelle immagini di propaganda dell’Isis. “Si stanno preparando a farlo – dice Benotman – adesso non sono ancora pronti e in aree come Derna (Libia orientale, ndr) incontrano ostacoli troppo forti, come le milizie di Al Qaeda, loro rivali. E anche la popolazione locale, nazionalisti locali e tribù locali, che non si piegano al loro volere”.
Dal punto di vista di Benotman, è impossibile distinguere realmente fra Fratelli Musulmani, jihadisti di Al Qaeda e Isis. “Hanno la stessa ideologia e gli stessi metodi. Guardate a quel che fa Hamas a Gaza, per esempio. Lasciate perdere per un momento il conflitto con Israele, che è tutta un’altra questione: se guardiamo a come Hamas (movimento cugino dei Fratelli Musulmani) controlla il territorio a Gaza e combatte i gruppi rivali, vediamo che getta le persone dai palazzi, uccide in pubblico, trascina i corpi per le strade, esattamente come l’Isis nei territori che controlla. Tutti mirano all’instaurazione dello Stato islamico con la violenza. Sarebbe un errore considerare ‘moderati’ i Fratelli Musulmani, perché sono i progenitori di tutti gli altri gruppi radicali, hanno una storia fatta di omicidi politici e di terrorismo e solo da poco sono stati abbastanza intelligenti da farsi da parte e optare per una strategia di conquista democratica del potere. Ma la loro violenza arriva dallo Stato, invece che da gruppi terroristici, ovunque prendano il potere”.
Ma che relazione c’è fra islam e islamismo, però? “L’islam è una religione come tante altre, con un miliardo e mezzo di fedeli. Io stesso sono musulmano. L’errore che troppo spesso fanno gli europei è di scambiare l’islamismo, l’ideologia dei fratelli musulmani, per tutto l’islam. E dunque di dare ascolto alle richieste degli islamisti, credendo di accontentare o rispettare la sensibilità dei musulmani. Ma l’ideologia è ideologia, è artificiale, ha un rapporto solo indiretto con la religione. L’Europa è composta da paesi molto liberali, ognuno ha i suoi diritti garantiti e il suo spazio, ma non si deve commettere l’errore di trattare con i Fratelli Musulmani e con i gruppi radicali islamici, credendo che rappresentino l’islam. Un esempio di resistenza potrebbe essere boicottaggio degli eventi a cui partecipano esponenti di questi gruppi totalitari. Nessuno vieta loro di credere in quello che vogliono, ma i rappresentanti ufficiali dell’Italia, per lo meno, in quanto rappresentanti ufficiali di un paese democratico, non possono permettersi di apparire al loro fianco, non li possono legittimare politicamente”. Ma come distinguere l’ideologia islamista dalla religione islamica? “L’ideologia islamista è un islam armato, che vuole imporre il suo Stato e cambiare il mondo. Si può paragonare, storicamente, alla variante leninista del marxismo. Qui abbiamo gruppi convinti di essere l’avanguardia dell’islam, di prendere gli ordini direttamente da Dio e di cambiare il mondo con le armi, così come i marxisti leninisti credevano di essere l’avanguardia del proletariato. Ma questo è un totalitarismo ancora peggiore, perché gli islamisti sono convinti di avere Dio al loro fianco. I marxisti leninisti, almeno, non credevano in Dio e non credevano in una vita dopo la morte. I nuovi totalitari sono disposti a suicidarsi pur di compiere una strage, perché sono convinti di andare in paradiso”.

*
"Rispettare i patti fatti con Gheddafi"
di Stefano Magni

“Dopo la caduta di Gheddafi, tutti si sono scordati della Libia. Cosa vuole il popolo libico? Ordine, istruzione, democrazia, come tutti i popoli del mondo. Vogliamo vivere. La Libia ha vissuto per 4 anni esperienze molto dure. Ho conosciuto molti terroristi. Non riesco nemmeno a chiamarli con questa parola, sono persone giovanissime, sperdute. Vogliono solo un po’ di istruzione in più, imparare le lingue, imparare un mestiere. Il caos che oggi c’è in Libia è dovuto al fatto che Gheddafi non ha fatto crescere alcuna società civile. Io stesso ho dovuto vivere in esilio, non sono potuto tornare in Libia nemmeno per seppellire mio padre. Cosa può fare l’Italia per stabilizzare la Libia, però?”.  Se lo chiede Mustafa Ali Rugibani, incaricato d’affari dell’ambasciata libica in Vaticano ospite della conferenza “Libia e il futuro della sicurezza nel Mediterraneo” organizzata dal Comitato Atlantico Italiano, che si è tenuta ieri a Roma.
La sua risposta è semplice, ma al tempo stesso suona difficile alle orecchie della sofisticata politica europea: “L’interesse dell’Italia è quello della Libia e viceversa. Deve appoggiare al 100% il governo legittimo, senza ipocrisie. Come? Appoggiando l’esercito regolare. Si dice spesso che non vi sia un esercito vero e proprio. E’ falso: c’è eccome un esercito regolare, che risponde agli ordini del vero governo. Nell’Est della Libia, il governo opera pienamente, in tutti i settori. Da dove partono gli emigranti clandestini? Tutti dalla parte occidentale della Libia, dove dominano le milizie islamiche. E come fare a fermarli? Basterebbe tornare agli accordi stipulati dall’Italia con Gheddafi (nel 2010, con il governo Berlusconi, ndr). Perché non vengono messi in atto? Noi siamo fedeli ai nostri impegni presi. E voi? Vi siete dimenticati di questi accordi?” 
La Nuova Bussola Quotidiana gli ha chiesto approfondimenti su quale politica debba seguire l’Italia per aiutare la Libia. Occorre riprendere la politica dei respingimenti? “Sì, noi accettiamo tutti gli accordi stipulati con Gheddafi – ci risponde – Quella deve essere la base, sulla quale si può costruire qualcosa di meglio”. Il governo attuale non ha più nulla a che vedere con il vecchio regime, ma “tutti i militari di Gheddafi lavorano con noi. Il vecchio dittatore ormai è morto. Questa storia è finita, ora dobbiamo pensare a una nuova Libia”.
Sulle responsabilità del vecchio regime, Rugibani non ha dubbi: “Il caos attuale è dovuto ai 40 anni di potere assoluto di Gheddafi. Non ha aiutato il popolo, non ha governato onestamente. Non ha nemmeno creato uno Stato, faceva solo gli interessi di se stesso e della sua famiglia e all’estero finanziava i gruppi terroristi in Africa. Ma dobbiamo iniziare da qualcosa. Questi accordi stipulati da Gheddafi con l’Italia sono un buon punto di partenza e si dovrebbe ripartire da quelli. E’ inutile ricominciare a discutere tutto dal principio, come coordinarsi con le forze dell’ordine italiane, sarebbe solo una perdita di tempo”. Sarebbe possibile costruire dei campi profughi in territorio libico? “Sì è possibile. Come è possibile pattugliare il mare, per impedire il traffico di armi. Poi si può controllare la costa. Si dovrebbe procedere gradualmente, passo dopo passo”. Su un possibile intervento militare italiano, o straniero in senso lato, invece, ritiene che sia “una cattiva idea e non necessaria. Quel che è necessario è, appunto, rafforzare le istituzioni legittime, la polizia regolare, l’esercito regolare della Libia”.
Quanto è grave la situazione dei cristiani nel paese? “E’ grave a Sirte, a Sabratha, a Tripoli e a Zuara. Queste città sono troppo pericolose per i cristiani. A Bengasi, invece, ora, l’ambiente è molto più sicuro. In Libia, comunque, non abbiamo mai avuto problemi con i cristiani. Ma i terroristi hanno preso i cristiani come capro espiatorio, per farsi propaganda e far proseliti, per farsi vedere più musulmani degli altri”.