venerdì 22 maggio 2015

Verso la verità



Il volto del sofferente. 

Si svolge dal 22 maggio a Torino il Convegno dell’Ufficio Nazionale della Pastorale della Salute. Pubblichiamo stralci dall’intervento dell’arcivescovo di Chieti-Vasto.
(Bruno Forte) La potenza manifestatasi nella risurrezione di Gesù trasfigura il volto del sofferente e lo rende luce e speranza per tutti i sofferenti della terra e per quanti, credendo nel Figlio di Dio crocifisso e vittorioso, vogliano mettere con lui la propria vita al servizio del Padre e degli uomini. La vittoria di Pasqua chiama i discepoli del servo sofferente a render ragione della speranza che è in loro con dolcezza e rispetto per tutti, facendosi luogo dell’irruzione dell’altro, offertosi a noi come grazia e promessa nel triplice esodo del Figlio dell’Uomo. Al suo esodo deve corrispondere il nostro: sul piano personale ed ecclesiale ciò esige che siamo disponibili all’iniziativa dell’Eterno; servi per amore, pronti a vivere il discernimento di ciò che lui ci chiede.
I discepoli del risorto sono chiamati in primo luogo a porre l’iniziativa di Dio in Gesù Cristo al centro della loro vita e del loro annuncio. «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia — ha affermato il cardinale Joseph Ratzinger in un intervento di poco precedente la sua elezione alla cattedra di Pietro — sono uomini che attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta dell’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» (Subiaco, 1° aprile 2005).
I discepoli del servo sofferente risorto alla vita sono chiamati a seguirlo nell’esodo da sé senza ritorno, facendosi servi per amore sul suo modello, discernendo la via della pace nella giustizia e nella carità in ascolto del Vangelo. Se il volto del crocifisso risorto è al centro della nostra vita e della vita della Chiesa intera, se ci guarda come colui al quale dobbiamo restare avvinti nella fede, allora non possiamo chiamarci fuori dalla storia di sofferenza e di lacrime in cui è venuto e dove ha lasciato che venisse conficcata la Croce per estendervi la potenza della vittoria pasquale. 
I discepoli del Signore sofferente e vittorioso sono dove è il loro maestro, al servizio del prossimo. La libertà da sé che egli ha vissuto fino all’abbandono supremo sulla Croce è quella che dona e chiede ai suoi discepoli per entrare nel dono della vita divina e per portarlo al mondo: la Chiesa deve profilarsi perciò anzitutto come una comunità libera da interessi mondani, decisa a non servirsi degli uomini, ma a servirli per la causa di Dio e del Vangelo, una comunità pronta a lasciarsi riconoscere nel dono di sé senza ritorno, anche se in termini umani questo dovesse risultare improduttivo o alienante.
Non si realizza il compito affidatoci attraverso la fuga dalla fatica del discernimento: il mondo uscito dal naufragio dei totalitarismi ideologici ha come mai bisogno di amore concreto, discreto e solidale, che sa farsi compagnia della vita e costruisce la via della pace in comunione con tutti. Si tratta di giocare la nostra vita per il Signore senza risparmio, se necessario portando la croce, cercando sempre la via in comunione. 
Infine, essendo discepoli di colui che ha vissuto l’esodo supremo verso il Padre nella vittoria sulla morte, i credenti sono chiamati a essere i testimoni del senso più grande della vita e della storia, trasformati sempre di nuovo dalla fede in colui che ci ha aperto le porte del regno. Il volto del sofferente vincitore della morte chiede ai discepoli di amare la verità ultima da lui rivelata al di sopra di tutto, pronti a pagare il prezzo per essa nella quotidiana fatica che li relaziona a ciò che è penultimo: solo così si potrà essere suoi testimoni per gli altri. Occorre nutrire la passione per la verità dell’amore, rivelato e donato da Cristo, in cui si fonda nella maniera più vera la dimensione missionaria e peregrinante della vita ecclesiale. 
Amare la verità significa avere lo sguardo rivolto al compimento delle promesse di Dio. La credibilità del testimone si misura sulla capacità di pagare un prezzo in nome di una speranza più grande. Testimoniare l’orizzonte più grande, dischiuso dalla promessa liberante di Dio: questo è irradiare il volto del crocifisso risorto, di cui l’inquietudine senza senso del nichilismo postmoderno ha più che mai bisogno. 
Senza quest’orizzonte di speranza, fondato sulla fede nell’impossibile possibilità di Dio, nessun annuncio e impegno di carità e di giustizia potrà essere portato avanti fino in fondo: la pace è opera di giustizia che giunge sempre e solo sulle ali della speranza più forte di ogni calcolo umano.
L'Osservatore Romano