martedì 16 giugno 2015

Andando per monasteri.



Pubblichiamo il primo capitolo del libro di Lucetta Scaraffia Andare per monasteri (Bologna, il Mulino, 2015, pagine 152, euro 12). Lungo la penisola, monasteri medievali, costruiti come fortezze, hanno difeso civiltà, accolto pellegrini. Oggi sono un richiamo forte; la loro atmosfera di raccoglimento è una promessa di elevazione interiore, anche per le persone che non si riconoscono nella fede.
(Lucetta Scaraffia) Ma che si può cercare nei monasteri? Le cose più diverse, a cominciare da una novità, da un’esperienza esotica, in un ambiente che più diverso rispetto alla nostra società non si può immaginare, fino ad arrivare a una vacanza a basso costo in ambienti quasi sempre piacevoli. Certo, si tratta sempre di un’ospitalità povera, ridotta all’essenziale. Anche se adesso quasi tutte le foresterie dei monasteri hanno camere con bagno, sono ambienti spartani, senza frigo né televisione, spesso con lampadine a basso voltaggio che la sera fanno poca luce, ma in cambio quasi tutte dotate di un piccolo tavolino con sedia per leggere e scrivere. 
In molti casi c’è una stanza comune con la televisione, ma il periodo del silenzio inizia presto, e al massimo si può combinare una partita a carte con altri ospiti: comunque, è sottinteso che si vada a letto non tardi, e ci si alzi presto per partecipare all'ufficio liturgico delle Lodi, spesso seguito dalla prima messa, nella chiesa del monastero.
Altrettanto spartano è il vitto nel refettorio, in tavolate comuni, dove la scelta è molto ristretta, quando c’è. Ma quasi sempre è eccellente la qualità degli alimenti, che provengono dalle terre del monastero o dai dintorni, e sono naturali e semplici. Insomma, povertà, buio, silenzio; anche gli ospiti, se pure solo parzialmente rispetto ai religiosi, sono coinvolti in una scelta ascetica che li induce a dare importanza ad altre cose, rispetto a quelle abituali: invece delle chiacchiere sul cibo, o sui programmi televisivi — in genere oggetto di conversazione fra sconosciuti durante le vacanze — emerge la bellezza dei canti liturgici, si scopre la gioia sorprendente di iniziare la giornata con una preghiera. E soprattutto si scopre il silenzio.
Quale che sia il motivo per cui si è andati in un monastero — anche se superficiale o profano, come il basso costo della pensione o la partecipazione a un seminario di filosofia —, lì si incontrerà il silenzio, e il silenzio, per l’uomo, apre la porta alla ricerca di Dio.
Il silenzio non è certo prerogativa esclusiva dei conventi e dei monasteri, ma in questi edifici, impregnati di preghiera e di silenzio durati magari secoli, è più facile raggiungere questo stato della mente e del cuore. Perché il silenzio non è solo assenza di parola e di rumori, ma è la possibilità infine di ascoltare. E di sperimentare la distinzione tra silenzio e solitudine fisica, che spesso ci porta a un’equazione sbagliata tra preghiera e solitudine.
Come scrive Catherine Doherty, fondatrice delle pustinie, le case del silenzio, «la preghiera, come il silenzio, è questione di viaggio in se stessi, come tutti i pellegrinaggi dello Spirito». Ma questo viaggio silenzioso può avvenire anche accanto ad altre persone, immerse a loro volta nello stesso silenzio.
Coloro che vivono nel monastero in modo permanente, almeno per una parte di sé, vivono fuori dal tempo, e chi vive fuori dal tempo vive nell’eternità. E questo, ovviamente, significa contatto con Dio. Se gli ospiti di un monastero riescono a cogliere anche solo un atomo di questa realtà diversa, se arrivano a capire che la chiarezza dell’anima non consiste solo nella chiarezza della mente, possono iniziare un viaggio interiore che li condurrà alla pace. Nel mondo, sono pochissime le situazioni che ci possono portare alla pace, ed è importante che qualcuno indichi questa direzione: monasteri e conventi lo fanno da molti secoli, forti di un’esperienza che sanno trasmettere anche solo dai muri, dalla conformazione degli spazi, dalla scansione della giornata che si svolge secondo ritmi millenari.
Nel costruire l’itinerario presentato in questo piccolo libro ho scelto monasteri particolarmente belli, sorti in luoghi suggestivi, che presentano una storia interessante, importanti perché mantengono vivo — o hanno saputo reinventare — lo spirito monastico; nelle scelte ci sono anche la mia storia personale, i miei gusti e le mie esperienze. Ma non solo. Cercando di individuare i luoghi più significativi da visitare per motivi storici, artistici e soprattutto spirituali — e possibilmente per tutti questi aspetti insieme — ho identificato un percorso che senza dubbio ha privilegiato l’Italia settentrionale e centrale rispetto al meridione, e in un certo senso anche il versante tirrenico rispetto a quello adriatico. È una decisione che va spiegata: ovviamente, ci sono monasteri, anche bellissimi e antichi, sia nelle regioni adriatiche sia nel sud della penisola — per non parlare poi delle isole —, ma nel lungo periodo il loro irradiamento culturale e spirituale è diminuito; nel susseguirsi delle destinazioni religiose e laiche anche il loro stato si è deteriorato, spesso irrimediabilmente, e oggi non rappresentano più un polo di attrazione né artistico né spirituale di grande vitalità. Nelle regioni, poi, che ho trascurato è quasi assente quel risveglio spirituale che ha dato nuova vita a monasteri come quello di Rosano vicino a Firenze, o alla fondazione di un nuovo monachesimo, quale quello di Bose, che attira, per motivi anche solo culturali, molte persone che non si riconoscono nella fede cattolica.
Disponiamoci quindi a questo viaggio: andando alla scoperta di questo mondo, il nostro obiettivo non sarà solo quello di ammirare bellezze artistiche o acquistare gli ottimi prodotti preparati dai monaci, ma anche quello, ben più ambizioso, di misurarsi con una dimensione diversa, più profonda e spirituale. Misurarsi cioè con il silenzio e con la scansione del tempo tipica di questi luoghi, che ci riportano a una dimensione della vita che in genere non abbiamo mai conosciuto, o abbiamo dimenticato, e potremmo anche scoprire il «nostro» monastero di riferimento, quello che per noi costituirà l’occasione di contatto con il divino.
L'Osservatore Romano