martedì 16 giugno 2015

Da San Francesco a Francesco

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Francesco e la genesi del Cantico di frate Sole. Quello spazio bianco senza note

(Felice Accrocca) Per l’attesa enciclica sull’ambiente Papa Francesco trae ispirazione dal Cantico di frate Sole, legando in tal modo il documento al santo da cui ha preso il nome. Per quei versi Francesco d’Assisi aveva composto anche la musica, sfortunatamente andata perduta: nel manoscritto assisano n. 338, al folio 33r, era stato infatti lasciato uno spazio iniziale dove si sarebbero dovute segnare le notazioni musicali che, purtroppo, è rimasto bianco.
Questo manoscritto costituisce anche la più antica testimonianza documentaria del Cantico, perché la parte del codice in cui è stato trascritto risale agli anni Quaranta del Duecento: una reliquia, dunque, di altissimo valore. La rubrica che ne introduce il testo recita: «Iniziano le Lodi delle creature che il beato Francesco compose a lode e onore di Dio quando era infermo presso San Damiano». Francesco perciò le redasse mentre era malato. Scorrendone i versi, si è quasi indotti a pensare a giardini pieni di fiori e di erba verde, a fontane zampillanti e a uccelli cinguettanti; quelle Laudes furono invece scritte in un momento particolarmente difficile.
In effetti, la dettagliata testimonianza dei compagni del santo ci consente di attestare che Francesco le compose in più momenti diversi, anche distanti nel tempo.
Nei primi mesi del 1225 si fermò a San Damiano oltre cinquanta giorni, in preda ad atroci sofferenze. Una notte non ce la fece più e invocò il soccorso del Signore, che in spirito gli rispose: «Fratello, rallegrati e gioisci di cuore nelle tue infermità» (Compilatio Assisiensis 83); il mattino seguente iniziò a comporre il Cantico di frate sole. Quella poesia che nei secoli ha dato pace e consolazione a milioni e milioni di uomini nacque dunque in un momento di dolore, eco di un animo pacificato nel profondo e pertanto capace d’invitare tutte le creature alla lode di Dio.
Il suo testo finì poi per completarsi e perfezionarsi nel tempo. Infatti, mentre Francesco era ancora malato a San Damiano, scoppiò una lite tra il vescovo e il podestà di Assisi: fece allora aggiungere al Cantico la strofa del perdono e inviò due dei compagni perché lo cantassero ai contendenti, i quali, dopo averlo ascoltato, si abbracciarono (ibidem 84). 
Il componimento venne infine ultimato al termine stesso della vita di Francesco. Con piena coscienza egli avvertì “il momento”. Dopo che, al suo capezzale, il medico gli ebbe rivelato le sue reali condizioni di salute, Francesco iniziò a lodare il Signore: «Ben venga sorella morte» (ibidem 100). Allo stesso modo, un compagno gli parlò con franchezza; anche in quel momento non mancò di lodare il Signore, quindi fece chiamare frate Leone e frate Angelo perché gli cantassero il Cantico di frate Sole e prima dell’ultima strofa inserì la lode di sorella morte (ibidem 7).
Certo, molti aspetti della personalità di Francesco d’Assisi sono stati spesso esagerati, altri resi avulsi dal loro contesto e privati della loro sorgente ispiratrice, se non interamente partoriti dalla fantasia.
In realtà, la radice di ogni suo comportamento si ritrova nel rapporto che seppe ricostruire con quel Dio al quale non aveva prestato attenzione per buona parte della propria vita. Quando giunse infine a scelte definitive con la decisione di uscire dal secolo, vale a dire con l’abbandono dei valori perseguiti dal mondo — e che fino all’età di ventiquattro anni erano stati anche i suoi — per riscoprire la bontà e la paternità di Dio, tutto acquistò un senso diverso: i poveri gli manifestarono il volto di Cristo, i nemici divennero persone da amare, gli animali i suoi fratelli più piccoli, il creato si rivelò ai suoi occhi come l’orma del Creatore.
Si mostrò allora convinto che alla lode di Dio non fossero chiamati solo gli uomini, ma tutta la creazione. È il creato nella sua interezza che deve celebrare la gloria del Creatore: uomini, animali, piante, vento, acqua e fuoco, astri celesti e ogni altra creatura inanimata. È solo in questo contesto che possiamo comprendere nella sua piena e vera luce il Cantico di frate sole.
Questo è il punto forte del discorso di Francesco: l’intera creazione è chiamata a lodare il Signore, ma vi è chiamato soprattutto l’uomo che ne è posto al vertice, poiché tutto gli è stato dato perché se ne serva e lo restituisca al Creatore. Torna, in altri termini, il concetto di restituzione: dal momento che Dio è datore di ogni bene, tutti i beni debbono essergli resi. A lui va ricondotta l’opera creata, perché tutta lo loda e ne parla. Far violenza alla creazione vuol dire, perciò, far violenza a Dio stesso.
Il dramma vero è che le creature servono il Signore assai meglio dell’uomo, poiché, mentre quelle obbediscono al Creatore, questi gli volta tranquillamente le spalle. Si tratta di concetti che Francesco esprime in modo efficace nella quinta delle sue Ammonizioni: «Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, poiché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine di lui secondo lo spirito. E tutte le creature, che sono sotto il cielo, per parte loro servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te».
Non si può dunque comprendere la disposizione dell’Assisiate nei riguardi del creato e degli animali al di fuori di un orizzonte teocentrico, prescindendo cioè da Dio e dall’obbedienza che gli è dovuta. Il rispetto dell’ambiente passa attraverso il rispetto e l’ossequio verso il Creatore: era infatti ben cosciente che Dio aveva creato l’universo come un giardino e voleva che l’uomo, riconquistato dal sangue di Cristo, tornasse a obbedirgli, così da riacquistare finalmente l’edenico stato iniziale. 
L’obbedienza, sorella della carità, virtù poco amata in ogni tempo, chiede all’uomo di adeguare i suoi progetti a quelli di Dio; un’obbedienza dovuta «non solo al Padre che è nei cieli, ma anche al progetto di vita che egli ha inscritto nell’intera famiglia delle sue creature».
Siamo, forse, di fronte al «messaggio più inatteso e inascoltato dell’intera cultura religiosa dell’Occidente cristiano» (Carlo Paolazzi).
L'Osservatore Romano

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(Vito Mancuso) Da San Francesco a Francesco. Già l’accoppiata di titolo e sottotitolo della nuova enciclica di Bergoglio è molto significativa: Laudato si’. Sulla cura della casa comune. Vi compaiono tre concetti decisivi della complessiva interpretazione bergogliana del cristianesimo come servizio e difesa dell’uomo:
1) la lode, ovvero la dimensione contemplativa, assolutamente essenziale per la spiritualità gesuita; 2) la cura, la prassi volta al bene e alla giustizia, tratto peculiare della teologia della liberazione sudamericana; 3) la casa comune, ovvero il bene comune e la dimensione comunitaria della vita umana, che è sempre vita di un singolo all’interno di un popolo. Precisamente per questa terza dimensione il papa scrive che con il suo scritto egli non si rivolge solo agli uomini di Chiesa e ai cattolici, com’è tradizione per il genere letterario dell’enciclica, ma a tutti gli esseri umani: «Mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune».
Francesco tiene a ricordare che la sua particolare attenzione all’ecologia non è una novità per il papato, in quanto tutti i suoi immediati predecessori l’avevano coltivata prima di lui. E in effetti leggendo il suo scritto è impossibile non riscontrare forti debiti intellettuali verso Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI, entrambi citatissimi (23 volte il primo, 21 il secondo). Si ha però anche una sensazione di autentica novità per almeno tre motivi: 1) per lo stile semplice e immediato che ricorda da vicino quell’acqua di cui il papa scrive che «ci vivifica e ci ristora»; 2) per l’attenzione prestata a contributi che solitamente non costituiscono le fonti del magistero papale, come per esempio le opere di altri leader religiosi tra cui il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, e le analisi di scienziati, di sociologi, di economisti; 3) per la forza sorprendentemente “laica” degli argomenti e dell’argomentazione. Nell’enciclica infatti ricorrono termini quali inquinamento, cambiamenti climatici, rifiuti, cultura dello scarto, questione dell’acqua (qui il papa spende parole fortissime contro ogni progetto di privatizzazione delle risorse idriche), perdita di biodiversità, deterioramento della qualità della vita, degradazione sociale, iniquità planetaria, ogm, per un dettato complessivo che soprattutto nella prima parte non ha proprio nulla di ciò che tradizionalmente si intende per religioso.
L’enciclica è molto lunga, quasi 200 pagine per 246 paragrafi, e una sua analisi adeguata richiede tempo e riflessione. Da quanto emerge però a una prima veloce lettura credo che il concetto decisivo sia quello di “ecologia integrale”, espressione che ricorre otto volte nel documento e costituisce il titolo del quarto capitolo. Integrale significa in grado di abbracciare tutte le componenti della vita umana, la quale va riscattata dalla progressiva sottomissione alla tecnologia che nel suo legame con la finanza «pretende di essere l’unica soluzione dei problemi», ma, scrive il papa, «di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri ».
Un grande insegnamento al proposito è l’interconnessione di tutte le cose su cui il papa ritorna più volte (“tutto è intimamente relazionato”), al fine di comprendere, per fare solo un esempio, che il surriscaldamento del pianeta provoca la migrazione di animali e di vegetali e quindi l’impoverimento di determinati territori e di coloro che li abitano, i quali a loro volta si trovano costretti a emigrare. Così l’ecologia, da mera preoccupazione per l’ambiente naturale, mostra di essere al contempo cura dell’umanità nel segno ancora una volta dell’ecologia integrale.
Rimangono però tre domande. 1) È sostenibile affermare che “la crescita demografica è veramente compatibile con uno sviluppo integrale e sociale”, come scrive il Papa citando un documento ecclesiastico precedente? Oggi siamo oltre 7 miliardi e già ora i nostri rifiuti sono superiori alle possibilità di smaltimento, senza contare che lo smaltimento diviene a sua volta causa di inquinamento. Che cosa avverrà quando nel 2050 la popolazione sarà di 9,6 miliardi?
2) Nel capitolo biblico-teologico il Papa scrive che “il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura… non le ha più attribuito un carattere divino”. Non sarebbe opportuno chiedersi se questo processo di demitizzazione e desacralizzazione, è all’origine di quello sfruttamento progressivo del pianeta denunciato dal papa?
3) Stupisce l’assenza totale di ogni riferimento alle grandi religioni orientali (induismo, buddhismo, jainismo, taoismo, shintoismo) da sempre molto attente alla questione ecologica e alla spiritualità della natura, molto prima del risveglio al riguardo del cristianesimo. Francesco scrive più volte che “tutto nel mondo è intimamente connesso” e sicuramente sa che si tratta di un insegnamento originario della sapienza orientale, in particolare del buddhismo e del taoismo: perché non dirlo e richiamarli? Non sarebbe stato in linea con il desiderio di “unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”, come egli scrive?
La Repubblica

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Anche di loro parlerà la nuova enciclica. Delle tribù indigene ancora isolate nella selva amazzonica, che già vengono decimate da malattie e deforestazione 
 Terre d'America 
(Alver Metalli) Anche di loro parlerà la nuova enciclica del Papa “Laudato sii” dedicata all’ambiente e al destino dell’umanità. Perché dell’ambiente sono parte fondamentale. Ma non si sa per quanto tempo ancora, se le cose continuano così. Purtroppo, attorno a loro l’ambiente si restringe come una trappola e si inquina irrimediabilmente costringendoli all’abbandono. (...)