giovedì 18 giugno 2015

Laudato sì: istruzioni per la lettura.

Presentata l'Enciclica Laudato si'Ecco l’enciclica Laudato Si’ di papa Francesco La lode per il creato e l'appello alla responsabilità
di Giampaolo Crepaldi*

Presentata in vaticano l’enciclica di Papa Franceso Laudato sì. Un'ora prima c'è stata la guida alla lettura alla presenza del metropolita di Pergamo Joannis Zizioulas, considerato il più grande teologo vivente dell'ortodossia, in rappresentanza del patriarca Bartolomeo. E' il primo caso nella storia di un'enciclica del papa di Roma presentata da un alto rappresentante di un'altra Chiesa cristiana. Francesco ha sempre riconosciuto infatti di essere stato ispirato per questa enciclica dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, autore di precedenti testi sulla cura del creato. Alla conferenza c’erano anche il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, e due specialisti della materia di fama mondiale: i professori John Schellnhuber, fondatore e direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, e Carolyn Woo, presidente del Catholic Relief Services e già decano del Mendoza College of Business, University of Notre Dame, Usa. 

L’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco è la prima enciclica interamente dedicata alla cura del Creato secondo la visione cristiana. Dobbiamo essere grati al Santo Padre per averci dato questo insegnamento di grande ampiezza e sistematicità. Questa enciclica rappresenta una organica sistemazione della sapienza accumulata dal magistero pontificio più recente, sulla scorta naturalmente dell’insegnamento biblico ed evangelico e alla luce delle verità della fede cattolica. Non può non essere notato, in particolare, che l’enciclica Laudato si’ si collega espressamente in più punti alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, che viene ripetutamente citata. Ed infatti era stata questa enciclica ad affrontare per la prima volta in modo ampio e culturalmente approfondito due tematiche che ora Papa Francesco ulteriormente sviluppa. 
La prima di queste due tematiche è quella della tecnica. La Caritas in veritate vi aveva dedicato unintero capitolo e la Laudato si’ la affronta con completezza, parlandone in modo diffuso. Lo sviluppo della tecnica ha portato i suoi frutti, ma anche ha rivelato le debolezze dello spirito di tecnicità, che ora Papa Francesco chiama il paradigma tecnocratico. É un paradigma di possesso e di autoesaltazione individualistica che dà agli uomini il senso del potere senza però quello della responsabilità. Papa Francesco utilizza molto, qui, il pensiero di Romano Guardini, pensatore molto caro anche a Benedetto XVI. Il secondo tema della Caritas in veritate che transita nella Laudato si’ per esservi sviluppato è quello del rapporto con la natura. Comunemente viene detto il problema ambientale o ecologico. La prospettiva della Laudato si’, però, è più ampia, come dirò meglio più avanti, come più ampia era la prospettiva della Caritas in veritate. Non esiste un problema solamente ecologico, o della natura intesa unicamente in senso ambientale. Il problema ecologico è prima di tutto un problema antropologico e, infine, un problema teologico, ossia del rapporto della creatura col Creatore. C’è, quindi, una chiara linea di sviluppo tra le due encicliche.
Papa Francesco dice che la sua prima enciclica va ad arricchire l’insegnamento sociale della Chiesa. Il motivo non è dato solo dal fatto che oggi la questione ecologica è percepita da molti come un problema sociale emergente. Certo, anche questo ha la sua importanza. Dipende però soprattutto dal fatto che la tutela del creato, nella sua capacità di riconciliare, se bene intesa, l’uomo con la natura, compresa la propria natura, e con il Creatore, può essere una “chiave” dell’intera questione sociale. Dalla natura, afferma Papa Francesco, l’umanità trae le condizioni di vita, ma trae anche i motivi di vita, se è capace di vederla secondo l’insegnamento di Dio. Il creato ci parla e la cura per esso è anche cura dell’uomo secondo il progetto di Dio. Ed invero, nella Laudato si’, Papa Francesco tocca tanti temi che, a prima vista, non verrebbero ascritti alla questione del creato: parla della famiglia e della vita, del lavoro e dell’impresa, dello sviluppo e della povertà. Come se il rapporto con il creato e il Creatore fosse un punto di vista integrale sulla vita sociale.
Non manca, il Papa, di toccare in più punti il rapporto tra la tutela della vita umana e della famiglia e la cura per il creato. Benedetto XVI aveva approfondito questo legame, che veniva da lui proposto nellaCaritas in veritate come un segno fortemente distintivo della visione cattolica dell’ecologia, vale a dire la sua relazione con l’ecologia umana, già ampiamente proposto da Giovanni Paolo II. Papa Francesco parla di aborto e di diritti dell’embrione umano, contrasta l’idea di una pianificazione familiare imposta politicamente e sfida il modello neomalthusiano secondo cui la salvezza dell’ecosistema dipenderebbe dalla riduzione pianificata delle nascite. Secondo lui questa è una ideologia che rientra nel paradigma tecnocratico proprio della ragione strumentale che la Laudato si’ denuncia. Papa Francesco fa anche notare la contraddizione di tanti movimenti ecologisti che difendono l’ambiente naturale ma non l’ambiente umano. La natura, se intesa come il creato, non può essere assunta a pezzi, ma in modo integrale. È un disegno unico ed unitario.
É questo il senso dell’espressione “ecologia integrale” che il Papa adopera spesso. L’aggettivointegrale non sta qui a significare il radicalismo di un’ideologia. Papa Francesco sa bene che anche i movimenti ecologisti sono spesso vittime di un’ideologia semplificatoria e riduttiva. Integralità significa piuttosto: attenzione a tutte le interconnessioni, orizzontali ma soprattutto verticali, e potrebbe essere intesa anche come globalità, secondo l’ottica del tutto. È molto attento Papa Francesco a mettere in evidenza le relazioni, i collegamenti vitali, le forme della collaborazione comunitaria come risposta alla globalità interconnessa dei problemi. Questo deriva dal fatto che il creato è un “tutto”, non una somma di particolari, ma un senso unitario e coordinato, un unico discorso sull’uomo. Di questa ecologia “integrale”, Papa Francesco mostra tutti gli aspetti, da quello sociale a quello culturale, da quello proprio della vita quotidiana su su fino a quello sacramentale ed eucaristico. Tutto si tiene, ma ciò che tiene il tutto è sempre la vita cristiana, la vite del tralcio innestato in Cristo. Papa Francesco spinge il discorso molto in alto, fino a parlare della Santissima Trinità. I dogmi della fede cattolica non sono privi di significato per la nostra vita su questa terra e per lo stesso modo di trattare la Terra. Farà forse discutere l’espressione “conversione ecologica” e non è escluso che questo punto possa venire strumentalizzato, assieme ad altri, da parte dei movimenti ecologisti troppo condiscendenti con lo spirito del mondo. 
Il Papa fa molti esempi concreti e quotidiani, piccoli, se vogliamo, ma questo non significa cheall’impegno ecologico egli non dia un significato molto alto e completamente cristiano, ossia collegato con l’intera dottrina della fede. Anche la “conversione ecologica” va intesa in questo senso alto. Conversione non a risparmiare acqua o a non sprecare energia, ma conversione al Creatore di cui il creato esprime la magnificenza e la bontà. In questa luce, anche i piccoli atti quotidiani di rispetto delle cose, degli animali, dell’ecosistema e dei nostri fratelli più poveri possono assumere il significato di essere segni visibili di una conversione più profonda. É presente nella Laudato si’ una attenzione particolare per il tema della povertà e dei poveri. Non stupisce in Papa Francesco. La povertà non si spiega mai solo in termini economici e la lotta alla povertà non si fa mai solo con interventi economici. A pagare la noncuranza per il creato sono soprattutto i poveri. Ma spesso le ideologie che hanno millantato di difendere i poveri sono state le principali distruttrici dell’equilibrio naturale. Il nesso tra degrado ambientale e povertà c’è, ma la soluzione sta nella capacità di vedere il problema dal punto di vista dell’intero: dell’ecologia integrale. Lì anche i poveri trovano il loro posto, perché se cambiano i cuori e si rappacificano con il creato e il Creatore, anche le relazioni umane si arricchiranno. 
Il Papa chiama “consumismo” un atteggiamento della mente e del cuore: adoperare le relazioni e lepersone come strumenti. Il pericolo che di questa espressione dell’enciclica si impossessino ideologie sociali ed economiche di retroguardia c’è. Il Papa parla di “mercato” o di “logica di mercato” intendendo la mentalità del possesso tecnocratico applicata all’economia, senza le precise distinzioni fatte per esempio da Giovanni Paolo II nella Centesimus annus. Ed anche qui il pericolo suddetto può riconfermarsi. Ma al fondo del suo discorso afferma che la povertà non è solo un problema economico o sociologico. Essa dipende da come gli uomini si rapportano a Dio e al suo progetto di salvezza su di loro che ha avuto inizio con la creazione.
L’enciclica scende anche sul terreno delle teorie scientifiche e sulle prospettive pratiche di gestioneambientale. Utilizza concetti presi dalla sociologia contemporanea, come quello di “decrescita” o di “sostenibilità”, ancora oggetto di dibattito. Si muove, insomma anche sul terreno del possibile e di quanto potrebbe anche essere altrimenti. Affronta anche temi spinosi e contrastati come quello dell’uso degli Ogm in agricoltura. Talvolta lo fa per raccogliere dati come base per una proposta etica e religiosa, altre volte presenta il problema controverso ed auspica un ulteriore approfondimento, come nel caso degli Ogm, ma senza prendere posizione. In altri casi ancora usa espressioni oggi molto adoperate, ma cercando di collocarle in un contesto più ricco di significato, per emanciparle da prospettive riduttive.

*vescovo di Trieste

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«Laudato si'»: è la proposta della conversione ecologica contro la tecnocrazia
di Massimo Introvigne

Formalmente datata 24 maggio 2015 la seconda enciclica di Papa Francesco, «Laudato si’», a oggi la più lunga enciclica pubblicata da un Pontefice, propone in sei capitoli un vasto affresco della crisi del mondo contemporaneo, di cui la crisi ecologica è insieme segno ed effetto. L’enciclica rivendica la sua appartenenza al «Magistero sociale della Chiesa» (n. 15), ma precisa opportunamente la diversa natura dei due elementi che contiene: un «percorso etico e spirituale» di natura dottrinale e una breve rassegna preliminare di quelli che il Papa e gli esperti che lo hanno assistito considerano «i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile» (ibid.). A proposito di questo secondo elemento, il Papa tiene a precisare che «ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. Ancora una volta ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito ad un dibattito onesto e trasparente» (n. 188).
L’enciclica si apre con un’introduzione, in cui Francesco ribadisce che la preoccupazione della Chiesa per la crisi ecologica non inizia con il suo pontificato. Elenca gli interventi di san Giovanni XXIII, del beato Paolo VI, di san Giovanni Paolo II – cui si deve l’espressione «conversione ecologica» – e di Benedetto XVI, la cui enciclica del 2009 «Caritas in Veritate» è un punto di riferimento costante della «Laudato si’», e di cui si ricorda fin dall’inizio l’affermazione secondo cui «il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana» (n. 6). In chiave ecumenica, Francesco ricorda anche gli appassionati interventi sul tema del Patriarca Ecumenico ortodosso Bartolomeo. E rende omaggio all’«ecologia integrale» di san Francesco d’Assisi, che «non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale» e «richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte e della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano» (n. 11).
1. Il primo capitolo è una rassegna di conclusioni scientifiche sulla crisi ecologica, alcune largamente condivise e altre controverse. Il Papa parte da una nozione molto diffusa oggi tra i sociologi, quella della «rapidizzazione» o accelerazione, cioè «l’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro» (n. 18) che ci trasmettono la sensazione costante di non avere abbastanza tempo. Caduta la «fiducia irrazionale nel progresso» (n. 19) tipica di secoli passati, oggi molti avvertono che l’accelerazione sociale si manifesta anche come degrado dell’ambiente. Francesco ne elenca cinque aspetti. Il primo è l’inquinamento e la cattiva gestione di quantità sempre più immani di rifiuti, che trasformano la Terra in un «immenso deposito di immondizia» (n. 21) e si legano a una più generale «cultura dello scarto» che colpisce anche gli esseri umani. L’inquinamento, secondo l’enciclica, determina anche «un preoccupante riscaldamento del sistema climatico» (n. 23) che potrebbe portare a «cambiamenti climatici inauditi e a una distruzione senza precedenti degli ecosistemi» (n. 24). Il testo adotta la teoria secondo cui il fenomeno è reale e deriva in gran parte dalla «grande concentrazione di gas serra (…) dovuta all’attività umana», anche se precisa che allo stato attuale della ricerca non è possibile «attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno» (n. 23).  
Il secondo aspetto è la crisi dell’acqua, condizionata da numerosi fattori politici ed economici – che rischiano sempre di più di provocare guerre – ma dovuta anche all’«abitudine di sprecare e buttare via [che] raggiunge livelli inauditi» (n. 27). Il terzo è la perdita di biodiversità e l’estinzione di specie animali e vegetali, le quali non solo «contengono geni che possono essere risorse-chiave» (n. 32) per l’umanità ma, per causa nostra, «non daranno gloria a Dio con la loro esistenza» (n. 33). La tutela della biodiversità è un dovere e un buon investimento per il futuro: ma bisogna diffidare di proposte, come quella della «internazionalizzazione dell’Amazzonia», che sembrano ragionevoli e nobili ma nascondono ideologie o «interessi economici» inconfessati (n. 38). Il quarto aspetto è il deterioramento della qualità della vita umana, anzitutto con la «smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili» (n. 44). Ma Francesco cita anche i media e Internet «onnipresenti», che «non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza» (n. 47). Il «rumore dispersivo dell’informazione» è «una specie di inquinamento mentale» e l’uso maniacale di Internet «genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali, che hanno a che vedere più con dispositivi e schemi che con le persone e la natura», causando «una profonda e malinconica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali» (ibid.). 
Infine, il quinto aspetto della crisi ecologica è la presenza planetaria di «esclusi» globali che di fatto costituiscono «la maggior parte del pianeta, miliardi di persone» (n. 49). Per far fronte alla loro presenza, «invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso» alcuni propongono «la riduzione della natalità» (n. 50). «Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”», dimenticando in nome dell’ideologia che «la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale» (ibid.). A patto, beninteso, che la solidarietà sostituisca una logica fondata esclusivamente su «una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto» (n. 56). Se non si supera questa logica, saranno inevitabili «nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni» (n. 57) e anche con «un’ecologia superficiale e apparente, che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità» (n. 59) e talora degenera in un ecologismo ideologico per cui «la specie umana […] può essere solo una minaccia e compromettere l’ecosistema mondiale, per cui conviene ridurre la sua presenza sul pianeta» (n. 60). Concludendo il capitolo, il Papa ripete ancora una volta che «su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto tra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione» (n. 61).
2. Il secondo capitolo, pure inserito in un’enciclica esplicitamente non rivolta soltanto ai cristiani,mostra il fondamento biblico dell’ecologia integrale. Il Papa afferma che scienza e religione devono mantenere un «dialogo intenso e produttivo per entrambe» e che non è accettabile la posizione di chi considera la religione «una sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata» (n. 62). Francesco ripercorre dunque il cammino della sapienza biblica sull’armonia originaria fra l’uomo e il creato, la sua rottura che «è il peccato» (n. 66) e la «riconciliazione universale» (ibid.) che Dio propone prima attraverso i profeti, poi con la rivelazione definitiva di Gesù Cristo. Certamente, afferma il Pontefice, l’invito di Dio nel libro della Genesi a «soggiogare la terra» non va inteso come incitamento alla distruzione o allo «sfruttamento selvaggio» della natura, perché lo stesso libro sacro invita a «“coltivare e custodire” il giardino del mondo» (n. 67), dunque a prendersene cura con amore e rispetto. 
L’insegnamento biblico ammonisce, contro ogni tentazione panteista, che «non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo al posto del Signore» (n. 75). Così «il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura» e «non le ha più attribuito un carattere divino» (n. 78). Ha anche messo in luce il ruolo unico dell’uomo, il quale, «benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti» (n. 81). Tutte le creature sono «lettere» – secondo l’espressione di san Giovanni Paolo II – del libro di Dio (n. 85), e le altre creature «avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune che è Dio» (n. 83). Mai, nel valorizzare le altre creature, si dovranno «equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità» o adottare prospettive di «divinizzazione della terra». «Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità fra gli esseri umani» (n. 90), con un grado notevole di «incoerenza» (n. 91). 
Parlare della Terra come «eredità comune» implica pure ricordare che il diritto alla proprietà privata non è mai stato riconosciuto dalla tradizione cristiana «come assoluto o intoccabile»: è un diritto, ma soprattutto san Giovanni Paolo II, in tre diverse encicliche, ne ha sottolineato la «funzione sociale» (n. 92). Tutto questo assume il suo pieno significato nella consapevolezza che «il destino dell’intera creazione passa attraverso il mistero di Cristo, che è presente fin dall’origine» (n. 99). La regalità di Cristo è «signoria universale» su tutto il creato, «misteriosamente» collegato al Signore e «gli stessi fiori del campo e gli uccelli, che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa» (n. 100).
3. Il terzo capitolo presenta la radice umana della crisi ecologica, le cui cause fanno riferimento al relativismo e alla tecnocrazia. Il dominio tecnocratico era un grande tema dell’enciclica di Benedetto XVI «Caritas in veritate», che qui è ripetutamente citata. La Chiesa non condivide la diffidenza acritica di un certo ecologismo verso la tecnologia che, «ben orientata, è in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano»: «è anche capace di produrre il bello», come mostrano le migliori creazioni del design e anche «preziose opere pittoriche e musicali ottenute mediante il ricorso ai nuovi strumenti tecnici» (n. 103). E in ogni forma di bellezza «si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana» (ibid.). 
Ma la tecnologia ha anche «un tremendo potere», come mostra il suo grande spiegamento «ostentato dal nazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari al servizio dello sterminio di milioni di persone» (n. 104). Oggi il paradigma tecnocratico si sta globalizzando e considera il mondo intero come «realtà informe totalmente disponibile alla sua manipolazione» (n. 106) e al suo «potere globalizzante e massificante» (n. 108). «Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica»: nella prima, «la finanza soffoca l’economia reale»; nella seconda, pochi poteri forti cercano di emarginare ogni resistenza (n. 109). Francesco torna sul tema dell’accelerazione, indicandola come strumento del dominio tecnocratico. «L’accumularsi di continue novità consacra una fugacità che ci trascina in superficie in un’unica direzione. Diventa difficile fermarci per recuperare la profondità della vita. Se l’architettura riflette lo spirito di un’epoca, le megastrutture e le case in serie esprimono lo spirito della tecnica globalizzata, in cui la permanente novità dei prodotti si unisce a una pesante noia» (n. 113). 
Alla radice di tutto questo c’è un «antropocentrismo deviato» (n. 118), che non è la vera signoria dell’uomo sulle altre creature insegnata dalla Bibbia, ma un «eccesso», un «sogno prometeico di dominio sul mondo» che ha anche «provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli» (n. 116). Occorre peraltro vigilare perché la critica di questo errato antropocentrismo non generi per reazione un «biocentrismo» ugualmente sbagliato. «Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia» e il biocentrismo ecologista «non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri» (n. 118). Un indizio sicuro che il biocentrismo è all’opera è la «giustificazione dell’aborto»: non è credibile proporre «l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano, benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà» (n. 120). E dietro l’«antropocentrismo deviato» c’è, come Benedetto XVI già aveva denunciato, la «cultura del relativismo» (n. 123). Recuperando «qualcosa dalla lunga tradizione monastica», Francesco invita anche a vivere il lavoro come preghiera: «tale maniera di vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e di rispetto verso l’ambiente, impregna di sana sobrietà la nostra relazione con il mondo» (n. 126).
Al termine del capitolo, il Papa affronta alcune questioni particolari, rimandando al «Catechismo della Chiesa Cattolica». Questa, ribadisce, non condanna le sperimentazioni sugli animali, se «si mantengono in limiti ragionevoli e contribuiscono a curare e salvare vite umane» (n. 130). Né condanna gli organismi geneticamente modificati e il loro uso nell’agricoltura, pur studiandone i rischi, che però «non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione» (n. 133). Certo, nel caso specifico dei «cereali transgenici» alcuni riscontrano «difficoltà che non devono essere minimizzate», sia sanitarie sia economiche (n. 134). «D’altro canto, è preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi princìpi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre il grado del suo sviluppo» (n. 136). 
4. Il quarto capitolo propone i principi di un’ecologia integrale, che deve avere tre dimensioni: una ambientale – e insieme economica e sociale –, una culturale e una della vita quotidiana. L’ecologia ambientale considera tutte le creature che vivono in uno spazio determinato come un sistema, «buono e mirabile in se stesso per il fatto di essere una creatura di Dio» così come lo sono le singole creature sue componenti (n. 140). Il sistema però comprende anche i «contesti umani» (n. 141) e «lo stato di salute delle istituzioni», a partire dal «gruppo sociale primario, la famiglia» (n. 142). L’ecologia culturale insegna che, «insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugual¬mente minacciato» (n. 143) e che va protetto, che si tratti di opere d’arte o delle ricchezze tradizionali delle nazioni e dei popoli. «La visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità» (n. 144).  Infine, l’ecologia della vita quotidiana afferma che «gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire», per il meglio o per il peggio: e oggi in un ambiente «disordinato, caotico o saturo di inquina¬mento visivo e acustico, l’eccesso di stimoli mette alla prova i nostri tentativi di sviluppare un’iden¬tità integrata e felice» (n. 147), danneggiati anche dalla «sensazione di soffocamento prodotta dalle agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad alta densità abitativa» (n. 148). 
Ad architetti e urbanisti il Papa ricorda che «non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone» (n. 150).  Questa è legata anche ai trasporti: «molti specialisti concordano sulla necessità di dare priorità ai trasporti pubblici», per ridurre ingorghi e inquinamento, ma questa soluzione non è realistica «senza un miglioramento sostanziale di tali trasporti, che in molte città comporta un trattamento indegno delle persone a causa dell’affollamento, della scomodità o della scarsa frequenza dei servizi e dell’insicurezza» (n. 153). Infine – ma non è certo l’aspetto meno importante – l’ecologia umana implica anche «la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale iscritta nella sua propria natura» (n. 155), secondo un cruciale insegnamento di Benedetto XVI che Francesco richiama esplicitamente. Rispettare la natura umana significa pure «apprezzare il proprio corpo nella sua mascolinità e femminilità»: con un trasparente riferimento alla teoria del gender, il Papa afferma che «non è sano un atteggiamento che pretenda di cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa» (n. 155). Anche queste, come il disprezzo dei poveri e delle generazioni future, cui si lascia in eredità un ambiente poco vivibile, sono manifestazioni di una nozione assente o errata del bene comune.
5. Il quinto capitolo propone linee di orientamento e di azione, introdotte da un «proviamo» (n. 163) che ne mostra il carattere problematico nell’attuale contesto delle organizzazioni internazionali, di cui il testo passa in rassegna documenti, sottolineandone aspetti positivi pur notando come per altro verso essi «non hanno risposto alle aspettative» (n. 166) a causa di vari condizionamenti ideologici e politici. «Non si può pensare a ricette uniformi, perché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione. È vero anche che il realismo politico può richiedere misure e tecnologie di transizione» (n. 180): e tuttavia qualcosa si può fare in diversi settori, prendendo decisioni condivise e trasparenti. Non si tratta per principio di «opporsi a qualsiasi innovazione tecnologica che consenta di migliorare la qualità di vita di una popolazione» ma di tenere fermo che «la redditività non può essere l’unico criterio» (n. 187) e che «la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia» (n. 189). Come aveva visto Benedetto XVI nella «Caritas in veritate», «la crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo» (ibid.). Rileggendo Benedetto XVI, dobbiamo porre attenzione al fatto che lo stesso «discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia» (n. 194). 
Lo aveva affermato Papa Ratzinger: quando alla ragione cognitiva, misurata dal vero, si sostituisce una «razionalità strumentale» misurata dall’utile (n. 195) la politica e l’economia, anziché collaborare secondo il principio di sussidiarietà, entrano in conflitto e «alcuni settori economici esercitano più potere dello Stato stesso» (n, 196). Un segno di questa tecnocrazia è il tentativo di emarginare e discriminare la religione, che si vorrebbe escludere dal «dibattiti pubblico» in nome di una nozione totalitaria della scienza (n. 199).
6. Di grande densità teologica e spirituale è il sesto capitolo, ampiamente ispirato a un teologo prediletto da Francesco come già da Benedetto XVI, Romano Guardini. Il teologo tedesco di origine italiana aveva già denunciato il rischio spirituale di una tecnocrazia dove l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che questo sia ragionevole e giusto» (n. 203). La tecnocrazia non si limita più al mero dominio: pretende il consenso, determinando confusione, «precarietà e insicurezza» (n. 204). Per ribellarsi a questa situazione è indispensabile cambiare il proprio stile di vita. «Educazione ecologica» non può essere uno slogan: parte dal «coltivare solide virtù» (n. 211) attraverso il sacrificio, la rinuncia, i piccoli sforzi che si apprendono in famiglia – a partire dalla buona educazione, che è pure educazione a non sprecare – e anche una «adeguata educazione estetica» (n. 215). Il riferimento all’estetica di fronte alla gravità dei problemi potrebbe sembrare incongruo. Ma «quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scru¬poli» (ibid.).
Francesco cita una frase dell’omelia di Benedetto XVI per l’inizio del suo pontificato: «i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi» (217). Qui c’è il senso profondo della conversione ecologica, che è quello di ogni vera conversione. «La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri» (n. 222). La sobrietà ha goduto di cattiva stampa negli ultimi secoli, nota Francesco: ma va rilanciata nell’ascetica individuale come anche nella vita civile e politica, dove può diventare principio di concordia e solidarietà civile. «L’amore pieno di piccoli gesti, di cura reciproca, è anche civile e politico» (n. 231). Ai politici Francesco ricorda ancora una volta che, per chi la riconosce e l’accoglie, la vocazione politica «fa parte della sua spiritualità, che è esercizio della carità, e che in tal modo matura e santifica» (n. 231). 
Naturalmente, per i politici come per tutti gli altri, rimane centrale la vita spirituale attraverso i sacramenti e in particolare l’Eucarestia. A proposito di quest’ultimo, il Papa ricorda pure la valenza insieme ecologica e spirituale del riposo della domenica. «Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana» (n. 237). In unione con la Trinità, con Maria Regina che è anche regina del creato, e in marcia insieme a tutto l’universo verso un compimento escatologico. Per questo, a conclusione dell’enciclica, Francesco innalza la lode a Dio cui chiede: «Riversa in noi la forza del tuo amore affinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza» (n. 246).

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Quanto contano le pressioni degli ecologisti
di Riccardo Cascioli
Qualsiasi sia il giudizio che se ne vuole dare è certo che l’enciclica “Laudato si’” ha fatto registrare un record assoluto – oltre a quello della lunghezza di un’enciclica -: il numero di commenti sul contenuto prima ancora che fosse pubblicata. Sono settimane infatti che da parte di collaboratori – presunti o reali – del Papa si leggono anticipazioni sui contenuti che poi scatenano decine, centinaia di reazioni in un dibattito senza fine. Secondo uno schema ormai ben collaudato con i rapporti internazionali sui cambiamenti climatici si prepara per settimane l’uscita di un documento che – si dice – sarà a seconda delle circostanze sconvolgente, eccezionale, senza precedenti, destinato a cambiare per sempre la prospettiva. E così via fino al gran finale con la presentazione ufficiale del documento che ormai tutto il mondo aspetta pur conoscendone le conclusioni.
Così è stato fatto con l’enciclica “ecologica”, con un crescendo di anticipazioni e interventi che doveva sfociare nella presentazione prevista per giovedì 18 giugno alle ore 11. Per rendere ancora più forte l’effetto stavolta era stato anche annunciato che il testo sarebbe stato consegnato ai giornalisti solo due ore prima, così da rendere praticamente impossibile rifletterci sopra e ridurre la conferenza stampa alle dichiarazioni di coloro chiamati a presentare l’enciclica.
Senonché la “bomba” è esplosa in anticipo quando L’Espresso ha messo online l’intero testo dell’enciclicarovinando l’effetto preparato. Padre Federico Lombardi ha poi dichiarato essere quella dell’Espresso soltanto una bozza non definitiva ma altre fonti indicano che se qualche correzione successiva c’è stata non inficia l’impianto e i concetti fondamentali del testo ormai pubblico. Peraltro lo “scherzetto” era stato preceduto da un piccolo “giallo” rivelato da “Il Giorno”: nei giorni scorsi papa Francesco aveva fatto bloccare le rotative della Libreria Editrice Vaticana che avevano già iniziato a stampare l’enciclica, per apportare alcune correzioni. Risultato: centinaia di copie distrutte (non proprio un bell’esempio ecologico) e nuova stampa. Da padre Lombardi nessuna conferma o smentita, ma l’episodio sarebbe solo l’ennesima conferma di quanto sia stato sofferto questo testo, sottoposto a innumerevoli revisioni, limature, aggiustamenti vari.
Sicuramente in questi mesi sono state forti le pressioni, soprattutto da parte di circoli ambientalisti e teorici del riscaldamento globale antropogenico (causato dall’uomo) che contano sul Papa e sulla Chiesa cattolica per dare una spinta decisiva agli accordi internazionali sul clima che sono al palo ormai da 18 anni. Si possono spiegare così alcune contraddizioni evidenti, incluso un cambiamento di accento del Papa. Ricordiamo infatti che nella conferenza stampa di ritorno dalla Corea (18 agosto 2014) a una domanda sull’enciclica in gestazione rispondeva: «Ma adesso è un problema non facile, perché sulla custodia del creato, l’ecologia, anche l’ecologia umana, si può parlare con una certa sicurezza fino ad un certo punto. Poi, vengono le ipotesi scientifiche, alcune abbastanza sicure, altre no. E un’Enciclica così, che dev’essere magisteriale, deve andare avanti soltanto sulle sicurezze, sulle cose che sono sicure. Perché, se il Papa dice che il centro dell’universo è la Terra e non il Sole, sbaglia, perché dice una cosa che dev’essere scientifica, e così non va. Così succede adesso. Dobbiamo fare adesso lo studio, numero per numero, e credo che diventerà più piccola. Ma, andare all’essenziale e a quello che si può affermare con sicurezza. Si può dire in nota, a piè di pagina, "su questo c’è questa ipotesi, questa, questa…", dirlo come informazione, ma non nel corpo di un’Enciclica, che è dottrinale e deve essere sicura».
Messaggio chiaro: non si sposano tesi scientifiche. E invece, malgrado nell’enciclica si dica da qualche parte che non spetta alla Chiesa dire l’ultima parola sulla scienza, tutta la prima parte è fondata su tesi scientifiche del tipo eco-catastrofista tutt’altro che sicure – si noterà anche che non ci sono note in cui si spiegano le diverse posizioni -, ponendo peraltro le basi di un ritorno al “caso Galileo” come già avevamo anticipato (clicca qui).
Ma appunto le pressioni sono state così forti che i circoli vaticani più ecologisti hanno in questi mesi proposto all’opinione pubblica personaggi-guida quantomeno discutibili. Così, mentre nell’enciclica il Papa condanna chiaramente quanti pensano di risolvere i problemi ambientali eliminando i poveri con il controllo delle nascite e con la diffusione dell’aborto, eccoti come relatore a tutti i principali convegni vaticani un personaggio come Jeffrey Sachs, fanatico teorico del controllo delle nascite. Ma non basta: alla conferenza stampa di presentazione dell’enciclica, giovedì 18, è previsto come relatore John Schellnhuber, fondatore e direttore del Postdam Institute for Climate Impact Research. Consigliere della cancelliera Angela Merkel, Schellnhuber ha tempo dichiarato, parlando di riscaldamento globale, che «è un trionfo per la scienza perché almeno abbia potuto definire qualcosa di importante, ovvero che l’equilibrio del pianeta richiede una popolazione di meno di un miliardo di persone» (clicca qui). Come questo si concili con quanto affermato nell’enciclica è tutto da spiegare.
In ogni caso nella Laudato si’ c’è un elemento di novità che si pone in chiara discontinuità con il Magistero precedente, ovvero l’introduzione del concetto di “sviluppo sostenibile”, che di fatto rimpiazza quello di “sviluppo umano integrale” che era ad esempio al cuore della Caritas in Veritate di Benedetto XVI. In realtà all’inizio dell’enciclica per due volte si parla di «sviluppo umano, sostenibile e integrale», ma poi nel prosieguo resta solo la sostenibilità. Un cambiamento non da poco, come abbiamo già scritto recentemente, una ridefinizione antropologica che pone maggiormente l’accento sugli ecosistemi e sull’equilibrio del pianeta in generale, piuttosto che sulla centralità della persona. 
C’è infine una curiosità da notare, ovvero la strana assenza di riferimenti al monachesimo benedettino quale modello di rapporto vero con la natura, capace di rendere più umano e a misura d’uomo l’ambiente nel quale si collocava. Solo un cenno di sfuggita per ricordare la rivoluzione della «introduzione del lavoro manuale intriso di senso spirituale». Eppure nella tradizione cristiana non c’è un esempio concreto più luminoso di custodia e coltivazione del Creato, di collaborazione all’opera creatrice di Dio, che nasceva non da un progetto sull’ambiente ma dal semplice “cercare Dio” in ogni istante della vita, come ricordò papa Benedetto XVI. Una posizione di cui si sente una certa mancanza oggi.

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San Francesco e l'enciclica: istruzioni per la lettura
di Lorenzo Bertocchi
Sui sentieri del bosco che incornicia il convento francescano della Verna è praticamente impossibile restare indifferenti. Capita anche al turista più svagato, lì la natura parla. Era l'estate del 1224 e frate Francesco si ritirò sul monte aretino per stare in silenzio e in preghiera con il Signore. Là «detergeva dall'anima ogni più piccolo grano di polvere», dice la Leggenda maggiore, e visse quella meraviglia per cui «il verace amore di Cristo» trasformò «l'amante nell'immagine stessa dell'amato». Preso dal desiderio di seguire fino in fondo il suo Signore, ricevette il dono delle stimmate. Francesco d'Assisi è stato quello che si dice un alter Christus, fin nella sua carne viva.
Il Papa che ha preso il nome dal santo di Assisi ce lo propone oggi come “modello” per «una sanarelazione col creato come una dimensione della conversione integrale della persona». Così si legge nell'enciclica Laudato sii. In effetti, quella di S. Francesco fu una vera e propria conversione integrale, dellCantico delle Creature, fino alle stimmate a La Verna, la sua è stata una sinfonia senza interruzione di continuità. «E proprio la sua inclinazione a vedere in Cristo il modello e il fine di ogni creazione», ha scritto il cardinale Giacomo Biffi, «lo porta a leggere il mondo come una serie di segni che gli parlano del suo unico amore, il Salvatore crocifisso». Per tutti gli uomini di buona volontà questo “modello” rimane come una figura colossale dentro le tante pagine dell'enciclica papale, e saltarlo a piè pari, come un pezzo di racconto un po' noioso, vuol dire non comprendere fino in fondo il senso delle parole del Papa. La figura di San Francesco d'Assisi deve interrogarci, perché, non a caso, lui conclude il Cantico delle Creature scrivendo: «Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!».
La prima parte dell'enciclica, in cui il Papa fa un excursus di «quello che sta accadendo alla nostracasa», è interessante perché passa in rassegna i guai che la natura sta passando oggi. Le cause di questi guai spesso trovano fonte nell'egoismo che abita il cuore dell'uomo, il quale fatica a rispettare il suo prossimo e quindi anche il creato. Per fare un esempio di quale sia il livello di confusione a cui si può arrivare seguendo l'egoismo del cuore, il Papa scrive che «non è compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto» (n°120). Su alcuni argomenti dell'enciclica di carattere più strettamente scientifico, la scienza e la capacità di innovazione potranno fornire risposte, e bisogna rifuggire vagheggiamenti di un improbabile ritorno alla caverna, né strane ipotesi di stili di vita che finiscono per fare della natura quell'idolo che non è.
«Il culto ateo della natura», scrive ancora il cardinale Biffi nelle sue memorie, «finisce troppo spesso coll'essere disumano e disumanizzante», infatti, porta l'uomo a confondersi le idee su Dio, su sé stesso e perfino sulla scienza. A questo proposito Papa Francesco scrive in Laudato sii che «non si può sostenere che le scienze empiriche spieghino completamente la vita, l’intima essenza di tutte le creature e l’insieme della realtà. Questo vorrebbe dire superare indebitamente i loro limitati confini metodologici».
In fondo anche la questione sociale dettata dalla crisi ecologica, così come la definisce il Papanell'enciclica, può trovare soluzione solo se c'è quella conversione integrale che passa dal «riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro» (n°218). Su questo punto l'enciclica papale, tutti potranno convenire, è consonante e in continuità con l'insegnamento tradizionale della dottrina sociale della Chiesa. Lo ha scritto Benedetto XVI in Caritas in Veritate, lo ha scritto più volte San Giovanni Paolo II, lo ha scritto anche Leone XIII nella famosissima enciclica sociale Rerum novarum: il dolore non mancherà mai sulla terra; perché aspre, dure, difficili a sopportarsi sono le ree conseguenze del peccato, le quali, si voglia o no, accompagnano l'uomo fino alla tomba. (n°14). Ecco perché, a conclusione del meraviglioso Cantico delle Creature, troviamo quel finale insolito del guai «a quelli che morranno ne le peccata mortali», ed ecco perché S. Francesco non può essere confinato al ruolo di una bella cornice dell'enciclica Laudato sii.
«La giustizia sociale», scriveva nel lontano 1945 il grande don Divo Barsotti, «deve essere la metacui tende lo sforzo, la volontà di ogni cristiano che sinceramente voglia l'avvento del Regno di Cristo», ma troppo spesso «ci culliamo nel vano tentativo e nella speranza illusoria di un vero avvento della giustizia sopra la terra». Per questo «prima di volere e affaticarsi per una soluzione del problema sociale che, nel presente ordine umano, non potrà mai essere perfetta e definitiva, noi dovremmo volere e affaticarci per possedere una piena disponibilità di fronte a Dio». «Un San Francesco d'Assisi», concludeva Barsotti, «vale da solo infinitamente di più di molti riformatori sociali, non per quelle riforme sociali che più o meno direttamente può avere ispirato o compiuto, ma proprio per aver insegnato agli uomini (…) il cammino che conduce a Dio». Questo è il “modello” proposto nell'enciclica sulla custodia del creato, speriamo di non dimenticarlo.