venerdì 5 giugno 2015

Quello che dice il cinema su anzianità e morte


 “Mia madre” di Moretti.

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 di Innocenza Laguri
Con il solito superlancio che viene fatto dei film di Moretti (ma come mai?) avevo sentito una sua intervista al telegiornale in cui diceva che  trent’anni fa non avrebbe mai fatto un film con questo tema, ma dopo la morte  della madre, ad una certa età, era tempo. Questa frase realista  mi ha incuriosito e sono andata a vedere il film, sempre interessata alla mia età anziana  e a quel che si prospetta, dunque in una posizione certamente “esigente”.
Vedendolo direi che si è considerato originale quel parlare con “realismo quotidiano”, delle tappe che portano alla morte un’anziana. Originale perché (ossimoro) è quello che comunissimamente tutti viviamo quando, non più troppo giovani  ( come, nel film,i due fratelli :Moretti e la Buy), si assiste un genitore e si comincia ad anticipare quello che poi tocca a noi. Pochi considerano questo realismo come cosa da filmare e dunque il buon Moretti l’ha pensata originale (furbetto?).
Intendo per realismo quotidiano una modalità senza tragedie e spettacolarità, penso a  scene del film come la scelta dell’abito da mettere alla morta con quelle battute strane perché è strano e unico vestire un morto (la sorella propone un abito nero e Moretti dice forse è un po’ scuro, poi ne propone uno fantasia e lui dice questo forse è troppo…) Oppure: il dottore che avverte dell’ineluttabilità della fine e chiede a Moretti e sorella se vogliono dire qualcosa alla madre, lui fa il Moretti e cade dalle nuvole, la sorella ha uno scatto di ribellione perché, dice lei, la mamma vuole vivere e non c’è nulla da dirle. Poi c’è da decidere se portarla a morire a casa (qui la mancanza di spettacolarità è notevole : la mamma è sempre tranquilla, l’assistenza a casa non dà problemi, lei trapassa senza sofferenza). Questo potrebbe rendere ancora più significativa la  ripresa ai piedi del letto della mamma in agonia che ricorda  la deposizione del Mantegna.  Voglio dire che  è più possibile rendere la misteriosità del morire quando non c’è tutta quell’ ottundente spettacolarità cui ci abituano cinema e TV. Ma questa scena è solo un cenno interessante. Il film   infatti ha dei tocchi significativi capace di esprimere tristezza, malinconia, in fondo non è così difficile ( anticipazioni sceniche di  scatoloni da riempire   nella casa  della mamma che deve essere svuotata dopo la sua morte, i suoi libri, ancora sullo scaffale) ma non si va più in là.
Cosa voglio dire? Per esempio Il film rinuncia totalmente alla immedesimazione nella madre, che è tutta ripresa “dal di fuori”, dal punto di vista dei due fratelli. Dunque non va oltre  quello che accade spesso dei vecchi e del loro morire, li si assiste con dialogo serenamente quotidiano, il morente non chiede, gli astanti non dicono (a parte la scena in cui la figlia si ribella al fatto che la mamma non ce la fa ad andare in bagno). Questa mamma morente che non soffre fisicamente, è debole, remissiva e gentile. Direi che Moretti aggiunge un bel po’ di patetismo perché la mamma è un insegnante di latino  vecchio stile. Io che pure sono un insegnante in pensione  non  molto più vecchia di questa madre e dunque ho vissuto la contestazione sessantottina ai saperi scolastici latino compreso, ho pensato che qualche traccia  il regista  di Ecce Bomboce la poteva lasciare. Invece no e anche i ricordi di  latino di Moretti sono vecchio Liceo. Mi ricordano Gozzano (le vecchie cose di pessimo gusto). E infatti, che cosa carina: la sorella-mamma interpellata dalla figlia sul senso del latino tanto amato dalla nonna , con la quale lo studia, dice, alla Moretti, di non sapere a cosa serva!!! Non mi piacerebbe come madre insegnante essere così pateticamente ricordata: ma forse pretendo troppo!!! Raramente la mamma tanto amata  dice qualcosa di significativo, anche se qualche cosa di metaforico c’è (tipo la frase “non ti fermare mai al primo significato dei verbi latini che trovi sul vocabolario” detta alla nipotina). Meglio allora quei film dove  chi è morente lo sa e ne parla (per esempio Non è mai troppo tardi, dove i due affrontano qualcosa del senso del vivere)
Il film presenta buoni sentimenti e buoni rapporti anche un po’ scontati  (tra figli e madre, tra  la sorella e l’ex marito, tra la nipotina e la nonna cui è molto affezionata, tra i due fratelli, tutti si vogliono bene). Molte le frasi interrotte, senza l’impegno di un a fondo, che è un classico di  Moretti.
Il rapporto tra l’accompagnamento della madre e il resto della vita dei due fratelli è disarmante: il film socialmente impegnato che la sorella regista sta facendo ricorda la Corazzata di Fantozzi, nel senso che la sua banalità è così accentuata dal regista da far pensare che questo sia un modo (rozzo e ingenuo) per far sì che risalti la malinconia del  morire della mamma. Ma non  poteva essere più interrogante il morire e più credibile il film nel film?!!
Ci si ferma al sentimento di impotenza , di dolore , quello legato al momento del passaggio.
OK, è un film, c’è  un inizio di discorso, è tutto quello che il regista riesce a dire. Anche lui però ha la sua età (61 anni)!!! E in fondo questo film ha, evidentemente, come target la mezza età se non la famosa età anziana!!  Alcuni amici esperti di cinema, che fanno un sito per indirizzare il pubblico, dicono che, nella temperie culturale in cui siamo, bisogna valorizzare ogni piccolo sforzo  cinematografico di affrontare la vita.. Lo faccio, riconoscendo al film  il pregio di scegliere il tema della morte della mamma ma certo non mi basta. Il grande successo che sta avendo potrebbe  tuttavia essere visto come l’apertura di un fronte che non censuri morte e vecchiaia?  Forse, anche perché a Cannes è uscito in contemporanea il film di Sorrentino, che non ho ancora visto.