martedì 2 giugno 2015

Speranza di cambiamento




(Silvia Gusmano) Alla Chiesa di Maria Maddalena nata all’insegna di una rivoluzionaria aspirazione all’uguaglianza tra i sessi. Alla Chiesa che per secoli ha insegnato all’occidente il rispetto per la donna. Alla Chiesa che oggi in Paesi di recente evangelizzazione si radica soprattutto nel cuore delle donne, assicurando loro una possibilità di emancipazione negata dalla società. Alla Chiesa unico baluardo di difesa delle donne, anche a costo di vite umane, sui fronti più caldi del pianeta. A questa Chiesa — ha ribadito con forza domenica 31 maggio Lucetta Scaraffia nel corso della relazione conclusiva del seminario internazionale sulla Chiesa di fronte alla condizione delle donne oggi — occorre restituire il suo messaggio originario perché riscopra valori e insegnamenti dimenticati e promuova nel suo interno quella «profonda teologia della donna» più volte auspicata da Papa Francesco. Di fronte alla crisi della politica — ha spiegato Scaraffia — è inevitabile che si rafforzi l’ascesa della religione e, in particolare, la centralità del ruolo che la Chiesa cattolica è chiamata a svolgere.
Questa partita tuttavia non può giocarsi senza un coinvolgimento profondo delle donne prime vittime dei problemi odierni più cocenti. La speranza di un cambiamento in tal senso è lecita, considerando anche il vivo interesse che hanno manifestato per il convegno — promosso dal mensile dell’Osservatore Romano, che ha visto confrontarsi con passione donne e, in misura minore, uomini provenienti da tutto il mondo — i diversi rappresentanti della Santa Sede intervenuti, tra cui Nicla Spezzati e Flaminia Giovanelli, le uniche due donne con ruoli di responsabilità in un dicastero, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, monsignor Paul Tighe e padre Federico Lombardi.
Particolarmente sentito il ringraziamento rivolto ai partecipanti dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin che, dopo un primo incontro con i relatori nella serata del 29 maggio, ha celebrato la messa domenicale presso la chiesa di Santa Maria sopra Minerva, dove è sepolta Caterina da Siena. Durante l’omelia, il porporato ha invitato a non dimenticare la straordinaria testimonianza della santa dottore della Chiesa quando si cerca nella maternità spirituale la forza per affrontare i brucianti problemi delle donne. E alla fine della funzione, in un clima commosso e familiare, si è fermato a salutare singolarmente tutti i presenti. 
La complicità nata tra le persone intervenute, frutto di un ascolto profondo ispirato forse dall’abbraccio della Visitazione che la Chiesa celebra il 31 maggio, è stata d’altronde la cifra distintiva anche del dibattito di sabato, seconda giornata di lavori. Nelle due sessioni dedicate alla famiglia e all’identità femminile — presiedute rispettivamente da Ulla Gudmundson e Silvina Pérez — grazie a un senso di libertà non usuale, sono emerse posizioni diverse e alcune esperienze dure e sofferte. 
Suor Rita Mboshu Kongo, teologa congolese che insegna alla Pontificia università Urbaniana, ha descritto la dolorosa subordinazione a cui vengono costrette gran parte delle donne africane, in ragione di una cultura che vuole l’uomo capo e padrone. Ciò produce gravi distorsioni anche in seno alla Chiesa generando problemi legati sia al carisma che alle vocazioni religiose e rendendo più attuale che mai il monito di Papa Francesco sul servizio delle donne alla Chiesa: un servizio che non deve mai diventare servitù. A citare queste parole del Santo Padre, in un saluto inviato al convegno, Alicia Barrios, giornalista argentina che ha seguito da vicino la sua opera pastorale quando era arcivescovo di Buenos Aires e che ha ricordato un’altra frase rivelatrice della sensibilità del Pontefice sulla questione femminile: «la Chiesa è donna e madre». 
Maria Cristina Perceval, capo della missione permanente di Argentina presso le Nazioni Unite, ha parlato invece del ruolo delle donne nelle istituzioni internazionali. Ancora oggi, ha raccontato, non è facile essere ascoltate dagli uomini. Dietro l’angolo, persino in questi consessi internazionali d’alto livello, c’è sempre l’accusa di essere troppo emotive, di non avere la lucidità necessaria per affrontare razionalmente certe questioni. Occorre quindi non soltanto aumentare la presenza femminile anche in organismi come l’Onu — non c’è mai stata, ricorda Perceval, un segretario delle Nazioni Unite donna — ma trovare con gli uomini una nuova intesa.
La necessità di rinnovare la relazione ormai logora tra i due sessi su basi culturali diverse dal passato è stato un tema ricorrente. Il messaggio inviato al convegno dalla senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren che auspica la centralità del ruolo delle donne, senza cancellare le differenze con gli uomini, ben sintetizza il pensiero che è alla base della teoria della complementarità dei sessi, di matrice cattolica. 
Sicuramente — come hanno sottolineato diversi interventi in tema di famiglia — l’emancipazione femminile come è stata perseguita sin qui, ha innescato una crisi nei rapporti umani che ricade prima di tutto sulle donne stesse. Mentre loro lavorano e si affermano fuori casa, gli uomini faticano a farsi carico di ruoli e responsabilità che storicamente sono di esclusiva pertinenza femminile. Il peso familiare non viene così affatto diviso equamente e mettere al mondo un figlio diventa, secondo la definizione dello statistico Roberto Volpi, «una montagna da scalare» che si rimanda il più possibile sino a scontrarsi — problema tutto femminile — con i limiti biologici imposti dall’età. 
Anche Nicole Janigro, psicoterapeuta, parla del «timore che la nascita di un altro sia incompatibile con le esigenze della propria esistenza» e dell’ansia di controllo che accompagna oggi l’esperienza della maternità. Perdere «la linea della bellezza» può essere traumatico in un società che della perfezione estetica ha fatto un culto, sottolinea Janigro. Le ragazze, aggiunge Claude Habib, scrittrice francese che insegna all’università di Paris III, «sono costantemente umiliate da figure onnipresenti della femminilità a loro inaccessibili», modelli di bellezza veicolati dai media o da internet. 
Il ruolo nefasto giocato spesso dai mezzi di comunicazione ai danni della dignità femminile è stato inquadrato da Cristian Martini Grimaldi in un’analisi sul fenomeno dello sfruttamento sessuale in Giappone. Sulle contraddizioni di alcune culture orientali che a dispetto del progresso economico e culturale, non rinunciano a una secolare discriminazione di genere, va ricordata anche la relazione della sociologa svedese Eva Lindskog sul Vietnam dove «la società è ancora dominata da norme e idee maschili» che impongono alla donna enormi sacrifici. Seppur partendo da ambiti assai diversi, sia Mario Benotti, intervenuto sul rapporto tra etica e finanza, sia Susana Enriqueta Re, in una riflessione sull’importanza vitale dello studio ai fini dell’emancipazione, hanno richiamato l’attenzione sui diritti dei minori. La povertà minorile, ha denunciato Benotti, è un flagello sociale che colpisce circa 27 milioni di bambini. 
Illuminante infine il contributo del teologo Giuliano Zanchi sul coraggio delle scelte definitive. Un coraggio che manca alla società contemporanea del nord del mondo e che, mancando, la condanna all’infelicità. In un universo di relazioni liquide in cui domina una comune persuasione di precarietà, l’essere umano, terrorizzato dal futuro e affatto libero, ha rinunciato alla speranza e ha scambiato il godimento per desiderio. Spetta allora alla cultura credente — ha proseguito don Zanchi — il carisma del dare coraggio, ristabilendo la relazione tra libertà e scelte definitive. Un discorso che vale più che mai per le donne al centro di questo incontro. 
La concretezza, dote tipicamente femminile, ha fatto sì che la riflessione dei giorni scorsi portasse anche a gettare un piccolo seme in favore del cambiamento: una raccolta fondi per acquistare un’ambulanza destinata alle vittime di stupro che suor Clotilde Bikafuluka quotidianamente assiste.
L'Osservatore Romano