giovedì 9 luglio 2015

La pace e la croce



(Inviato Gianluca Biccini) «In questa terra dove lo sfruttamento, l’avidità, i molteplici egoismi e le prospettive settarie hanno oscurato la sua storia» Papa Francesco è venuto per dire che oggi «può essere il tempo dell’integrazione». Appena atterrato a La Paz, in Bolivia, seconda tappa del viaggio in America latina, il Pontefice ha subito affrontato uno dei temi che più gli stanno a cuore, quello della ricerca dell’unità tra tutte le persone, rileggendo alla luce della sua enciclica Laudato si’ il preambolo costituzionale di questo Stato plurinazionale. Qui infatti gli indios sono la maggioranza della popolazione, il 53 per cento secondo statistiche recenti: di loro circa il 30 per cento è quechua, e aymara il restante 25 per cento. Molti hanno abbracciato i modelli “occidentali”, altri sono rimasti gente semplice la cui sapienza ancestrale si basa su pochi ma fondamentali valori: Jani lun thata: “Non essere ladro”; Jani Qaira: “Non essere debole”. Jani Kari: “Non essere bugiardo”. 
Il Papa è giunto mercoledì pomeriggio 8 luglio, dopo tre ore di volo, durante le quali il velivolo della Boliviana Aviación con cui era decollato da Quito ha attraversato gli spazi aerei del Perú. È atterrato con un’ora di ritardo sul programma allo scalo di El Alto, uno degli aeroporti internazionali più “in quota” del mondo, che si trova a ben 4.100 metri sul livello del mare.
L’aereo si è fermato nel parcheggio antistante l’hangar presidenziale e subito sono saliti a bordo per salutare il Pontefice il capo del Protocollo boliviano e il nunzio apostolico Giambattista Diquattro. Ai piedi della scala anteriore è stato poi accolto dal presidente Evo Morales, che gli ha messo al collo una chuspa, tradizionale borsetta per le foglie di coca, alla presenza di alcune autorità dello Stato e di vescovi boliviani. Da questo momento si sono uniti al seguito papale il nunzio, l’arcivescovo di Cochabamba Oscar Aparicio Céspedes, presidente della Conferenza episcopale, e il segretario di nunziatura Rastislav Zummer.
Salutato da alcuni bambini in abiti tradizionali, tenendoli per mano ha poi raggiunto il podio allestito per la cerimonia di benvenuto, durante la quale sono stati eseguiti i rispettivi inni — quello boliviano al suono della quena, tipico flauto di legno — resi gli onori militari e presentate le delegazioni. Rispondendo al saluto del presidente Morales il Papa ha pronunciato il primo discorso in terra boliviana. Al termine ha impartito la benedizione e salutato in lingua locale: Jallalla Bolivia!
Almeno mezzo milione di persone hanno assistito festose, sventolando bandiere e intonando cori. Molti ricordavano la visita di Giovanni Paolo II 27 anni fa; molti altri erano ragazzi e hanno chiesto di poter scattare selfie. Alcune donne indossavano l’aguayo, lo scialle dalle tinte vivaci annodato a formare una sacca sulla schiena, per trasportare i figli; gli uomini il chulla, lo zuccotto con due bande che scendono a coprire le orecchie, o cappelli di paglia. Francesco ha compiuto un breve giro tra la folla con la papamobile scoperta e poi ha proseguito con la stessa per un tratto di ben tredici chilometri. Lo accompagnavano il vescovo di questa diocesi autonoma, il missionario bergamasco Eugenio Scarpellini, che è anche segretario generale della Conferenza episcopale, e l’arcivescovo di La Paz, Edmundo Luis Flavio Abastoflor Montero.
Sorridente e incurante del soroche, il mal di altitudine, il Papa non si è sottratto all’abbraccio del Paese che porta il nome di Simón Bolívar, l’eroe che voleva unire l’America latina per farne una protagonista sulla scena del mondo, ma che di fronte al fallimento del suo sogno affermò amareggiato: «Ho arato il mare». Qui, in una delle aree più povere del continente, la maggior parte degli abitanti vive tra i 2.500 e i 4.000 metri sul livello del mare. Stato plurinazionale, per sottolineare l’importanza dei popoli indigeni, ha per capitale costituzionale Sucre, ma il Governo ha sede a La Paz.
Durante il trasferimento, il Papa ha compiuto una breve sosta per benedire il luogo dove durante la dittatura fu trovato il corpo martoriato del gesuita Luis Espinal Camps: era il marzo 1980, negli stessi giorni in cui a San Salvador veniva ucciso l’arcivescovo Romero. Con indosso il cappotto e un poncho bianchi per ripararsi dal freddo, commosso, Francesco ha chiesto di pregare per questo «nostro fratello, vittima di interessi che non volevano che si lottasse per la libertà della Bolivia». Padre Espinal «ha predicato il Vangelo e quel Vangelo dava fastidio, e perciò lo hanno eliminato», ha aggiunto invitando a fare un minuto di silenzio. La recita del Padre Nostro ha concluso questo toccante momento.
Giunto al palazzo del Governo — chiamato Quemado, “bruciato”, in seguito a un incendio — ha compiuto la visita di cortesia al primo presidente indigeno della Bolivia, leader dei campesinos cocaleros quechua e aymara. Caratterizzata inizialmente da un incontro privato, protrattosi per oltre mezz’ora, è culminata con lo scambio dei doni. Il capo dello Stato ha donato un crocifisso ligneo intagliato su una falce incrociata con un martello, e una grossa scatola con motivi locali contente una casula. Da parte sua Francesco ha lasciato una copia in mosaico della Salus populi Romani, che dal 1861 si venera nella cappella paolina della basilica papale di Santa Maria Maggiore, spiegando al microfono il significato del dono. Del resto, la stessa La Paz (Chuqiyapu negli idiomi locali) è una città dedicata alla Madre di Gesù. Il suo nome completo è infatti Nuestra Señora de La Paz. È la metropoli a più elevata altitudine del mondo e insieme con El Alto costituisce il nucleo abitativo più popolato del Paese, che però ha una densità di appena dieci abitanti per chilometro quadrato. E nel cuore cattolico di La Paz, la cattedrale dagli imponenti campanili a cupola, si è svolto l’incontro con le autorità civili.
Nella città, di cui ha ricevuto le chiavi dal sindaco, il Pontefice ha trascorso dunque poche ore in tutto — anche per evitare problemi con l’altitudine — ma sufficienti per respirare il clima di un Paese ricco di tradizioni e cultura, e per ricevere l’abbraccio caloroso di un popolo fiero delle proprie radici, nonostante viva in un ambiente naturale ostile e difficile. Radici nelle quali si è innestata la fede cristiana, al punto che su undici milioni di abitanti, nove sono cattolici.
In tarda serata il Pontefice è tornato a El Alto per imbarcarsi sul velivolo della Boliviana diretto verso Santa Cruz de la Sierra. Dopo poco più di un’ora di volo, allo scalo di Viru Viru — come chiamano da queste parti la Pampa — lo hanno accolto, alla presenza del presidente Morales, le autorità locali e l’arcivescovo Sergio Alfredo Gualberti, anch’egli di origine bergamasca, con altri presuli della regione. Nonostante fossero ormai le 23 passate, nel percorso verso la residenza in cui pernotta in Bolivia — quella del cardinale Julio Terrazas Sandoval, arcivescovo emerito — ancora una volta le strade erano stracolme di gente. Gremitissimo soprattutto il cambódromo (il lunghissimo viale ispirato al sambódromo di Rio de Janeiro) in cui il Pontefice ha lasciato la monovolume grigia per transitare a bordo della papamobile. Dall’altopiano alle valli, dalle regioni amazzoniche ai deserti, alle aree lacustri, in tanti sono venuti per dare il benvenuto al Papa in questa patria che potrebbe dirsi fondata sulla croce e sulla pace di Cristo, come suggeriscono i nomi delle due grandi città visitate da Francesco: La Paz e Santa Cruz.


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A colloquio con il coordinatore della visita papale in Bolivia. Tre buoni motivi

«Promuovere l’unità tra tutti i boliviani, perché la giustizia, l’uguaglianza e l’equità diventino una realtà in questo Paese». Ad auspicarlo è monsignor Aurelio Pesoa Ribera, vescovo francescano, ausiliare di La Paz e coordinatore della visita del Papa in Bolivia.
Che significato ha per il popolo boliviano questa visita?
Essa riveste grande importanza. Primo, perché la maggior parte dei boliviani professano la fede cattolica; secondo, perché la sua presenza sarà motivo di grande benedizione per tutti; terzo, è il vicario di Cristo che viene a visitarci; quarto, viene a ricordarci che il vangelo è la buona novella e che è ancora attuale per il mondo cristiano e pertanto continua a essere la verità e la vita. Tutto ciò deve portarci ad annunciarlo con gioia, poiché la gioia della vita cristiana è contenuta nel vangelo stesso. 
Il Pontefice ritorna ventisette anni dopo il viaggio di Giovanni Paolo II. Cos’è cambiato da allora nel Paese?
Papa Wojtyła venne come seminatore di giustizia e di speranza. La visita di Francesco farà sì che si riprenda il cammino della giustizia e della riconciliazione tra tutti i boliviani, cammino che deve condurre al rinnovamento nei rapporti tra tutti gli uomini e le donne nel Paese. Come Chiesa particolare nutriamo la speranza che la presenza di Francesco servirà a coltivare e a promuovere maggiormente l’unità tra tutti i boliviani, perché la giustizia, l’uguaglianza e l’equità diventino una realtà per noi tutti. La sua presenza ci animerà anche nella fede e ci ricorderà che il buon Dio continua a camminare con questo popolo che peregrina in Bolivia, e che, come pastori, siamo chiamati a servire, custodire e assistere.
Lei è stato ordinato vescovo solo un anno fa eppure i suoi confratelli lo hanno scelto come coordinatore della visita. Una bella responsabilità...
Sono nuovo nel ministero episcopale, ma ho accettato di svolgere questo servizio come una grazia e una benedizione, e allo stesso tempo come una sfida, tenendo conto che i rapporti tra la Chiesa e lo Stato plurinazionale di Bolivia non stanno attraversando il loro momento migliore. Ho riposto la mia fiducia nel buon Dio. È lui a guidare e a orientare i pensieri e le azioni delle persone; il coordinamento è andato avanti con una certa serenità, anche se non esente da alcune difficoltà proprie della natura umana. Come dice il proverbio: «Dio sa quello che fa». Ringrazio il Signore della vita e i miei fratelli vescovi per il sostegno che mi hanno dato in ogni momento, soprattutto quando ho dovuto prendere alcune decisioni complesse. (gianluca biccini)

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Giovanni Maria Vian: Le tre ecologie 

Un’accoglienza popolare calorosissima e il ricordo di padre Espinal, missionario gesuita assassinato al tempo dell’ultima feroce dittatura, sono le immagini che resteranno delle prime ore in Bolivia di Papa Francesco. Come nei tre giorni trascorsi in Ecuador — conclusi nel santuario mariano di El Quinche — anche nella luce limpidissima del gelido tramonto a El Alto, poi a La Paz e a Santa Cruz de la Sierra ormai in piena notte, sono state centinaia di migliaia le persone che ai bordi delle strade hanno atteso e accolto con affetto commovente il Pontefice.
E proprio nell’affollatissimo percorso tra l’aeroporto più alto del mondo e la capitale il Papa si è fermato per ricordare e per pregare nel luogo dove nel 1980 fu ritrovato il corpo torturato di Luis Espinal, «un fratello nostro, vittima di interessi che non volevano si lottasse per la libertà della Bolivia» ha detto commosso e, prima di recitare il Padre nostro insieme alla folla, ha aggiunto: «Padre Espinal ha predicato il Vangelo e quel Vangelo ha dato fastidio, e per questo lo hanno eliminato».
Poco prima era stato il presidente Evo Morales — che ha poi accolto Bergoglio nel palazzo presidenziale di La Paz e all’arrivo a Santa Cruz de la Sierra — a dare il benvenuto all’ospite, in una terra di cui il Pontefice ha subito evocato la singolare bellezza e la varietà culturale. In Bolivia «si è radicato con forza l’annuncio del Vangelo, che nel corso degli anni ha illuminato la convivenza, contribuendo allo sviluppo del popolo e sostenendo la cultura» ha detto Papa Francesco, auspicando collaborazione per costruire una società più giusta e solidale.
Il tema dell’impegno comune per il bene di tutta la società è stato poi al centro dell’importante discorso che il Pontefice ha rivolto nella cattedrale di La Paz alle autorità civili, tra le quali siedeva in prima fila il presidente Morales. «Mi permettano di cooperare» ha esordito, delineando poi la necessità di un’ecologia integrale perché l’ambiente naturale e quello sociale, politico ed economico sono tra loro in stretta relazione. E dunque, un’ecologia della madre terra, un’ecologia umana e un’ecologia sociale, descritte con ampiezza e lucidità nell’ultima enciclica, accolta in tutto il mondo con un inusuale interesse, e non solo tra cattolici e credenti.
Per la costruzione della società è la libertà l’ambito migliore e che garantisce a tutti la possibilità di contribuirvi. E nella società i cristiani vogliono solo servire la luce del Vangelo, ha assicurato Papa Francesco. «La fede è una luce che non abbaglia; le ideologie abbagliano, la fede non abbaglia, la fede è una luce che non acceca, ma che illumina e guida con rispetto la coscienza e la storia di ogni persona e di ogni convivenza umana» ha detto Bergoglio, sottolineando che il cristianesimo ha svolto un ruolo importante nella formazione del popolo boliviano, che la fede non può ridursi all’ambito puramente soggettivo e che non è una subcultura.
Di nuovo, infine, è risuonata la voce del Pontefice a favore della famiglia, minacciata dovunque da molte realtà inaccettabili ma che resta insostituibile. I problemi sociali che la famiglia risolve in silenzio sono così tanti — ha osservato Papa Francesco — che non promuoverla è lasciare senza protezione i più deboli.
L'Osservatore romano