venerdì 10 luglio 2015

Quasi una enciclica



Santa Messa nella Cappella della residenza a Santa Cruz de la Sierra e consegna delle onorificenze alla Vergine di Copacabana, Patrona della Bolivia 
Sala stampa della Santa Sede 
Questa mattina, prima di congedarsi, Papa Francesco ha celebrato la Santa Messa nella Cappella della residenza privata dell’Arcivescovo emerito di Santa Cruz de la Sierra. Al termine della Celebrazione Eucaristica il Santo Padre ha consegnato alla Vergine di Copacabana, Patrona della Bolivia, le due Onorificenze conferiteGli mercoledì dal Presidente dello Stato, Evo Morales, nel corso della visita di cortesia al Palazzo Presidenziale a La Paz.
Palabras del Santo Padre Francisco en ocasión de la entregade dos Condecoraciones a la Virgen de Copacabana, Patrona de Bolivia, Santa Cruz de la Sierra, 10 de julio de 2015
El Santo Padre profundamente agradecido por las distinciones que el Señor Presidente del Estado Plurinacional de Bolivia le otorgó, y en reconocimiento a la nobleza y la piedad del pueblo boliviano, las ha dejado a la Virgen de Copacabana para que al mirarlas cuide con mucha ternura maternal a este querido pueblo y que lo custodia con Él. Y durante la Misa celebrada hoy dejó las ambas distinciones recitando la siguiente oración.
Palabras del Santo Padre Francisco
El Señor Presidente de la Nación en un gesto de calidez ha tenido la delicadeza de ofrecerme dos condecoraciones en nombre del pueblo boliviano. Agradezco el cariño del pueblo boliviano y agradezco esta fineza, esta delicadeza del Señor Presidente y quisiera dejar estas dos condecoraciones a la Patrona de Bolivia, a la Madre de esta noble Nación para que Ella se acuerde siempre de su pueblo y también desde Bolivia, desde su Santuario, donde quisiera que estuvieran, se acuerde del Sucesor de Pedro y de toda la Iglesia, y desde Bolivia la cuide.
Oración del Santo Padre Francisco
Madre del Salvador y Madre nuestra tu, Reina de Bolivia, desde la altura de tu Santuario en Copacabana atiendes a las súplicas y a las necesidades de tus hijos, especialmente de los más pobres y abandonados, y los proteges.
Recibe como obsequio del corazón de Bolivia y de mi afecto filial los símbolos del cariño y de la cercanía que – en nombre del Pueblo boliviano – me ha entregado con afecto cordial y generoso el Señor Presidente Evo Morales Ayma, en ocasión de este Viaje Apostólico, que he confiado a tu solicita intercesión.
Te ruego que estos reconocimientos, que dejo aquí en Bolivia a tus pies, y que recuerdan la nobleza del vuelo del Condor en los cielos de los Andes y el conmemorado sacrificio del Padre Luis Espinal, S.I. sean emblemas del amor perenne y de la perseverante gratitud del Pueblo boliviano a tu solicita y fuerte ternura.
En este momento pongo en tu corazón mis oraciones por todas las peticiones de tus hijos, que he recibido en estos días, tantas Madre: te suplico que les escuches; concede a ellos tu aliento y tu protección, y manifiesta a toda Bolivia tu ternura de mujer y Madre de Dios, que vive y reina por los siglos de los siglos. / Amén.

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 Quasi una enciclica

di Giovanni Maria Vian

I diversi momenti della visita di Papa Francesco in Bolivia sono l’ennesima conferma del carattere innovativo ed essenziale dei suoi viaggi. In coerenza con la scelta di Paolo VI — che tra il 1964 e il 1970 compì nove itinerari simbolici in tutti e cinque i continenti, visitati poi dai suoi successori — e naturalmente con la volontà di testimoniare la gioia del Vangelo (evangelii gaudium) descritta dall’arcivescovo di Buenos Aires nel breve intervento durante le riunioni preparatorie del conclave da cui è uscito eletto e poi nel grande documento programmatico del pontificato.
Questa è la prospettiva, radicalmente missionaria, nella quale bisogna comprendere i gesti semplici ed eloquenti di Bergoglio, che in questo modo rafforza la presenza nel mondo delle comunità cattoliche e i loro legami di comunione. Come sta facendo in questo ritorno nella sua terra di origine, l’America latina, “patria grande” che conosce ovviamente benissimo. Ecco dunque spiegati l’affetto con il quale il Pontefice viene accolto e l’interesse che suscitano le sue parole, efficaci nel richiamare di continuo al puro Vangelo, come ama dire, in situazioni spesso difficili.
Così è stato nella messa con la quale il Papa ha aperto il congresso eucaristico, descrivendo lo sguardo di Gesù che prende molto sul serio la vita dei suoi: «Li guarda negli occhi e in essi riconosce il loro vivere e il loro sentire». Gesù, che «ci ha visti» nello stesso modo in cui ha guardato al cieco Bartimeo, «seduti sui nostri dolori, sulle nostre miserie» ha detto Bergoglio parlando alle suore, al clero e ai seminaristi, ribadendo che «non siamo testimoni di una ideologia, di una ricetta, di un modo di fare teologia», ma «dell’amore risanatore e misericordioso di Gesù».
E lo stesso Vangelo ispira il lunghissimo discorso — durato un’ora e punteggiato da una sessantina di applausi — con il quale il Pontefice ha concluso il secondo incontro mondiale dei movimenti popolari, quasi una piccola enciclica che s’inserisce con linguaggio nuovo nella dottrina sociale cattolica: «Né il Papa né la Chiesa hanno il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale», perché sono le generazioni che si succedono a costruire la storia nel contesto di popoli «che procedono cercando la propria via e rispettando i valori che Dio ha deposto nel cuore».
Richiamando la Bibbia, l’esempio della Vergine Maria e di Francesco d’Assisi, citando Basilio, Giovanni XXIII, Paolo VI, i vescovi latinoamericani e quelli africani, il Pontefice ha ribadito che, nell’annuncio del Vangelo, «la Chiesa non può né deve essere estranea» a un processo di cambiamento — definito necessario, positivo e «redentore» — di un sistema globale di ingiustizia e di nuovi colonialismi. E di fronte a possibili critiche per i peccati «passati e presenti» contro i popoli nativi americani Bergoglio ha ripetuto la richiesta di perdono pronunciata da Giovanni Paolo II.
Al tempo stesso e con accenti nuovi Papa Francesco ha chiesto che credenti e non credenti riconoscano quanto la Chiesa ha fatto e fa, «sino al martirio», per testimoniare il Vangelo: i suoi figli e figlie sono infatti «parte dell’identità dei popoli in Latinoamerica». Identità che oggi in molte parti del mondo si vuole cancellare perché «la nostra fede è rivoluzionaria» nella sfida all’idolatria del denaro, ha rivendicato il Pontefice. Che è tornato di nuovo a denunciare le persecuzioni e le stragi dei cristiani, in Medio oriente e altrove, definendole «una specie di genocidio».
L'Osservatore Romano

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La provocazione del leader indio un regalo di Stato “comunista” 
 La Repubblica 
(Vittorio Zucconi) Sarebbe piaciuto più a Karol Wojtyla che a Jorge Bergoglio, nella ovvia contraddizione simbolica, quel Cristo crocifisso alla falce e martello dalla quale il Papa polacco lottò con successo per schiodarlo nell’Est dell’Europa. Ma il regalo del presidente boliviano Evo Morales a Papa Francesco raggiunge comunque il podio dei doni più bizzarri scambiati fra capi di Stato e leader politici.
Non è ancora dato sapere in quale degli infiniti forzieri e archivi e cripte e nicchie di tesori in Vaticano sarà riposto l’oggetto donato da un uomo politico che inaugurò il proprio trionfale mandato secolarizzando la Bolivia, accusando la Chiesa di collaborazionismo nello sfruttamento, ridimensionando il potere dei vescovi e cacciando proprio crocifisso e Vangelo dall’uffico, come già il Cristo con i mercanti dal Tempio. Tra Deposizioni, martiri torturati del potere temporale del momento, Madonne e Bambini, Pietà, crocifissioni canoniche, il reclutamento del Figlio di Maria di Nazareth nella lotta di classe e nella ideologia del Materialismo Dialettico marxiano potrebbe risultare azzardata.
Ma nel nome della battaglia comune contro la miseria e lo sfruttamento, evocata costantemente anche dal Capo della Chiesa pur senza arrivare ai Soviet, all’elettrificazione e ai Piani Quinquennali, anche la provocatoria e greve allegoria in legno massiccio dell’ “Indio”, ossia di Morales, non è più bizzarra di altri omaggi di Stato che negli anni leader e governanti si sono scambiati. Dalla sella incrostata di pietre preziose e duunque intulizzabili senza acuti dolori in parte delicate che il presidente algerino Chadil Benjedid regalò a Reagan, alle Cadillac che segretamente la Casa Bianca spediva a Breznev per arricchire la sua collezione di supercar, i depositi e gli archivi della nazioni traboccano di paccottiglia più o meno sontuosa da tempo dimenticata. Cose che al momento parevano astute allusioni ideologiche, come il Cristomarxiano di Morales o semplici scherzi, come le due enormi patate dell’Idaho portate a Vladimir Putin dal Segretario di Stato John Kerry, perdono il loro significato nel tempo, si accastano impolverandosi.
Evo Morales, campione delle 36 diverse popolazioni che hanno sofferto, e soffrono, la sottomissione al potere coloniale e alle vere caste che spremono da secoli gli Indio, doveva trovare una forma di sintesi mistica alla dialettica fra la propria vocazione tardocomunista e la nuova teologia della liberazione portata a San Pietro dal vescovo argentino. Un gesuita, che appartiene allo stesso ordine di padre Luis Espinal, «ucciso da coloro che non potevano sopportare il messaggio evangelico che lui diffondeva», come ha detto Francesco.
L’ha trovata in un encomiabile sforzo di immaginazione lignea, forse non riuscitissimo esteticamente e destinato a un ruolo marginale fra opere di Michelangelo o di Bernini, dove la metafora del Cristo martirizzato sulla falce e martello si presta a contraddittorie letture, ma sicuramente meno crudele del cammello che il governo del Mali offrì al presidente Hollande per ringraziarlo dell’aiuto nella lotta all’islamismo violento. Gesto che finì malissimo per il povero animale rispedito, dopo numerose prove di incompatibilità con il palazzo dell’Eliseo, a una famiglia maliana che procedette, non avendo altra sistemazione e probabilmente avendo invece molta fame, a trasformarlo in un succulento stufato. Lo sguardo allibito, ma garbato, del Papa che si richiama a San Francesco davanti a un artefatto che agli italiani meno giovani avrà ricordato Don Camillo e Peppone e ai più giovani gli stereotipi sul cattocomunismo, ha segnalato una misericordia e una comprensione che i critici darte e i curatori dei Musei Vaticani difficilmente avranno, per l’oggetto. Ma un politico come Morales, incastrato fra il populismo che lo ha trionfalmente eletto e il 78 per cento della popolazione che ancora si proclama parte della Chiesa di Roma, altro non avrebbe potuto fare, per sposare gli estremi culturali e umani della propria nazione.
Il sincretismo religioso e la mescolanza di sacro e profano sono ovunque il segno più profondo della spiritualità nel Centro e nel Sud America, fra teologie della Liberazione, vescovi d’assalto come l’Helder Camara di Recife, preti guerriglieri e prodotti dei collegi dei Gesuiti come Fidel Castro. Nei loro viaggi e visite nelle cattedrali neocoloniali dell’America ispanica, i Papi, come Giovanni Paolo II a Cuba, fingono di non sapere quali culti esoterici e fedi popolari si nascondano dietro Madonne e Santi apparentamente ortodossi. La crocifissione del Cristo a quella falce e martello che aveva proclamato nella propria dottrina ufficiale non soltanto l’ateismo ma la persecuzione contro la religione, non è in fondo più empia dei culti per i serpenti, le divinità e gli dei del mare nascosti dietro i simboli del cattolicesimo a galla tra Santeria e Catechismo. Non soltanto la religione non è più l’oppio dei popoli per il neo marxismo andino alla Morales. Può essere addirittura stimolante, come una manciata di foglie di coca.
La Repubblica