venerdì 7 agosto 2015

Il rispetto è più forte del conflitto.



Il rispetto è più forte del conflitto. È una forma di guerra anche respingere in mare chi fugge da un altro Paese 

Respingere in mare chi scappa da un Paese all’altro in cerca di accoglienza — come è avvenuto con i profughi rohingya in fuga dal Myanmar — è una forma di guerra, di violenza, di uccisione, che deriva da un conflitto non risolto. Lo ha affermato Papa Francesco venerdì 8 agosto, incontrando 1.500 membri del movimento eucaristico giovanile. Durante l’udienza nell’Aula Paolo VI il Pontefice ha risposto a braccio alle domande di sei ragazzi e ragazze di diverse nazioni del mondo.
Nelle parole di Francesco anzitutto un invito ad affrontare con lo spirito giusto le tensioni e i conflitti che si manifestano nella vita personale e sociale: la strada è quella del rispetto e del dialogo, ha detto ricordando che in Medio oriente i cristiani e le minoranze religiose sono perseguitati perché non vengono rispettati nella loro identità. Più legate alla realtà giovanile le altre risposte del Papa, che tra l’altro ha esortato a saper distinguere la gioia vera — che viene dal Signore — da quella falsa e superficiale, che all’inizio può accontentare ma alla fine distrugge. Quindi ha accennato alla necessità del dialogo tra le generazioni: tra genitori e figli, e anche con i nonni, i grandi dimenticati del nostro tempo. Infine il Pontefice ha sottolineato l’importanza dell’amicizia nella vita di fede e ha rilanciato la necessità di fare memoria, di ricordare quanto Gesù ha fatto per l’uomo.

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Festoso incontro nell’aula Paolo VI. Domande e abbracci 

«Coraggio e avanti. Ci sono tanti motivi di speranza». Con questo incoraggiamento Francesco si è rivolto a millecinquecento ragazzi del movimento eucaristico giovanile (Meg) accolti, nella mattina di venerdì 7 agosto, nell’aula Paolo VI. Venuti da trentotto Paesi, stanno dando vita all’incontro mondiale promosso in occasione del centenario di fondazione di quello che è il ramo giovanile (dai 10 anni fino all’età universitaria) dell’Apostolato della preghiera: una realtà nata a Lourdes dall’intuizione di un gesuita francese e oggi presente in cinquantasei nazioni con oltre un milione di aderenti. Molti dei quali, è stato assicurato, hanno seguito l’incontro in diretta attraverso i social network, soprattutto dall’Africa.
E così Francesco e i giovani hanno dato vita a un dialogo vivace, a uno scambio di battute aperto e concreto su alcuni temi fondamentali. E sono stati sei giovani a proporli, nella propria lingua. Francesco ha ascoltato le domande e ha poi abbracciato e scherzato con ciascuno.
Ha preso la parola per prima la pescarese Magat Diop, che ha posto al Papa questa domanda: «La famiglia è il luogo dove noi giovani viviamo l’amore gratuito, ma spesso è anche il luogo dove facciamo esperienza di forti tensioni e lotte tra due generazioni che sembrano non potersi incontrare. Quali passi possiamo fare noi e quali i nostri genitori, per poter vivere pienamente la famiglia del nostro tempo?».
La seconda domanda è stata presentata dall’indonesiano Gregorius Hanzel, vestito con gli abiti tradizionali del suo Paese, che ha parlato della «forte diversità di culture, religioni e gruppi etnici». Proprio «questa varietà», ha affermato il giovane, «genera conflitti spesso politicamente motivati. Qual è la speranza del Papa riguardo alle comunità dei giovani cattolici che vivono come una minoranza all’interno di un tessuto culturale così plurale e diversificato?». Facendosi coraggio, il ragazzo ha anche chiesto al Papa una firma autografa, meritandosi da Francesco un affettuoso buffetto.
È stata quindi la volta della brasiliana Ana Carolina Santa Cruz: visibilmente emozionata, ha chiesto a Francesco «qual è stata la più grande sfida affrontata come religioso». Con Francesco la giovane, vestita con i colori del suo Paese e con in mano la bandiera carioca, ha anche scherzato sulla rivalità calcistica tra Pelè e Maradona.
Sulla stessa lunghezza d’onda della precedente anche la domanda di Pin-Ju Lu, venuto da Taiwan: «Qual è stato — ha chiesto — il momento di gioia più grande dopo essere diventato Papa? Vede dei segnali reali di gioia nella Chiesa e nel mondo per questo ventunesimo secolo?».
A porre la quinta domanda è stata la francese Louise Courant. Rifacendosi alle parole del Vangelo di Giovanni — «Voi siete miei amici se fate quello che vi comando» — la ragazza ha chiesto a Francesco «se in questa relazione di amicizia dobbiamo anche attenderci in cambio una manifestazione della sua presenza».
Infine, nella sesta e ultima domanda, l’argentino Agustín Aschoff — che il Papa ha scherzosamente soprannominato “Maradona” — ha chiesto un consiglio per scoprire «la profondità dell’Eucaristia».
A queste domande Francesco ha risposto con un discorso a braccio. «Avevo avuto le vostre domande scritte — ha confidato — ma non le avevo lette: questo che ho detto è venuto dal cuore, come mi veniva in quel momento».
I giovani del Meg sono Roma dal 4 al 10 agosto per questo meeting internazionale sul tema «Perché la mia gioia sia in voi», espressione tratta dal Vangelo di Giovanni (15, 11). A presentare a Francesco l’essenza del movimento sono stati padre Adolfo Nicolás Pachón, preposito generale della Compagnia di Gesù, e padre Fréderik Fornos, direttore generale delegato dell’Apostolato della preghiera e del Meg. Con loro anche l’assistente generale, suor Lourdes Varguez Garcia. È stata lei a illustrare a Francesco l’app clicktopray, ideata dall’Apostolato della preghiera portoghese, che si propone appunto come una forma nuova, originale di preghiera comunitaria facilmente accessibile ai giovani anche perché vicina ai loro linguaggi e stili di vita.
Del resto, come ha rimarcato padre Nicolás Pachón nel suo saluto al Papa, «questi giovani vogliono vivere l’Eucaristia». E sono venuti da Francesco proprio «per essere incoraggiati a vivere l’Eucaristia nella vita ordinaria e nella società», offrendo alla Chiesa «un servizio inestimabile». In particolare, ha ricordato, «durante il sinodo dei vescovi per l’Asia, il cardinale Ratzinger ha detto che l’Eucaristia è l’unica struttura della Chiesa che è essenziale, è necessaria».
Proprio l’Eucaristia è stata il centro delle tante testimonianze che hanno scandito le due ore trascorse dai giovani in attesa dell’arrivo del Pontefice. E sempre l’Eucaristia è stata anche il cuore delle tante canzoni — tra cui l’inno del meeting Deep in my heart — che sono state eseguite da una band internazionale composta da italiani, paraguayani, brasiliani, libanesi e canadesi. «Il bello è che non abbiamo problemi a capirci anche se parliamo lingue diverse» tengono a precisare. E lo hanno testimoniato rispondendo di slancio all’invito di Francesco di recitare, proprio a conclusione dell’incontro in aula Paolo VI, l’Ave Maria ciascuno nella propria lingua.
Nei prossimi giorni, fino a domenica, i ragazzi cammineranno «come pellegrini» per le strade di Roma accompagnati dal gruppo Pietre Vive, un’altra realtà ignaziana che mette al centro l’evangelizzazione attraverso l’arte. L’obiettivo è «fare esperienza della bellezza del Signore Gesù a Roma». In pratica, spiegano i responsabili del Meg, «ogni giorno viene sviluppato proprio il tema della gioia: oggi, per esempio, viviamo la gioia dell’incontro col popolo di Dio: abbiamo pensato che il popolo di Dio si forma con un riferimento, la roccia-pietra-Pietro». E questa giornata di venerdì, centrata appunto sull’incontro con il Papa, si conclude alle catacombe di San Callisto «dove — spiegano — potremo vedere e vivere la prima comunità cristiana, il popolo di Dio che segue il Signore Gesù».
Sabato 9, infine, il preposito generale della Compagnia di Gesù celebrerà alle ore 18 la messa per i giovani nella chiesa di Sant’Ignazio. Tra le intenzioni di preghiera non mancherà la pace nel mondo, soprattutto in Medio oriente. E padre Fornos ha fatto notare che «il movimento nasce all’inizio della prima guerra mondiale espressamente per pregare per la pace».
L'Osservatore Romano