mercoledì 5 agosto 2015

Maternità surrogata. La grande fabbrica

Il tariffario dell'orrore dei feti abortiti


Pubblichiamo stralci da un articolo sulla maternità surrogata apparso il 30 luglio sul sito della rivista «Internazionale». 
(Martí Caparrós) È un classico: quando vogliono distrarti da una crisi ti dicono che ogni crisi è un’opportunità e ti fanno degli esempi, storie più o meno antiche. Sicuramente non ti racconteranno di come il Nepal è diventato un produttore di bambini per ricchi. La grande fabbrica, chiaramente, resta l’India. Il Paese trabocca di cliniche che assumono donne poverissime da usare come ventri. Madri e padri del mondo ricco mandano fin lì i loro embrioni, e dottori del posto li impiantano nell’utero di una donna locale che, mettendo il suo corpo a produrre a tempo pieno per nove mesi, guadagna quello che non riuscirebbe a guadagnare in molti anni di lavoro, se ne avesse uno: circa 4.000 euro. Per lo stesso lavoro una donna statunitense ne può guadagnare 40.000, e il prezzo totale di un bambino made in Usa si aggira sui 90.000 euro; in India se ne può avere uno per 12.000 euro.
Le loro cliniche somigliano sempre di più a una catena di montaggio. La donna che affitta il suo ventre riceve un embrione fertilizzato da un ovulo che può essere della madre (o no) e sperma che può essere del padre (o no). Se ci sono donatori, sono chiaramente anonimi, ma uno non vale l’altro: il contributo di un professionista modello o di una modella professionale costa molto di più di quello di una persona qualunque, perché produrrà bambini più belli o più intelligenti. Il design arriva ovunque.
Le leggi sulla maternità surrogata sono confuse. Imprenditori e utenti sfruttano i vuoti legislativi. Ci sono delle particolarità: in questo mestiere, le operaie danneggiano il business se si alimentano o vivono male, per questo sono tutte ricoverate in case comuni dove possono concentrarsi esclusivamente sulla gestazione, ben controllate e ben nutrite. E quando partoriscono, chiaramente, firmano un foglio in cui dichiarano che non cercheranno mai di sapere cosa ne è stato del loro prodotto.
I prezzi indiani hanno aperto il mercato. Quella che era nata come una tecnica per coppie eterosessuali con problemi di fertilità è diventata una via d’uscita per chi prima non ne aveva una: uomini e donne single, coppie omosessuali. Il rapporto tra la tecnica e gli usi e i costumi è stato sempre intricato: si influenzano reciprocamente. Le leggi sulle madri surrogate sono confuse. Imprenditori e utenti sfruttano i vuoti legislativi di una prassi troppo nuova per essere ben regolata dalla legge.
Ma più di un anno fa il governo indiano ha proibito ai single e alle coppie gay di ricorrere alla maternità surrogata, e questa crisi è diventata un’opportunità per il Nepal: un mercato, una nicchia. Sarebbero diventati specialisti dei genitori 2.0. Un nuovo mercato umiliante. A Kathmandu, le fabbriche di maternità per conto terzi sono spuntate come funghi: ce ne sono già più di una decina. Il governo non si intromette se la transazione avviene tra stranieri, e le cliniche assumono donne indiane o bengalesi per usare i loro ventri. Le «Nouvel Observateur» definisce così questa espressione della globalizzazione: «I neonati sono puzzle composti da tasselli che provengono da tutto il mondo. Ovulo messo a disposizione da una polacca o da un’ucraina, perché il bambino sia caucasico; sperma americano, svedese o giapponese; embrione congelato in India e impiantato nell’utero di una bengalese in una clinica del Nepal».
La tendenza è in aumento ma non esistono cifre globali: molti di questi bambini non sono registrati in modo chiaro all’anagrafe e nessuno sa quanti se ne producano ogni anno nel mondo. Sorgono anche i dubbi e le domande su cosa significhi essere madre o padre, fino a che punto sia tollerabile comprare dei corpi per compiere certe funzioni. E si è creato un nuovo mercato, uno dei più umilianti che si possano immaginare. Quasi duecento anni fa un tedesco recuperò una rara parola latina e la rimise in circolazione. Proletario era colui che era talmente povero da poter contare solo sulla sua prole. Il tedesco non poteva sapere che la sua parola sarebbe stata così azzeccata.
L'Osservatore Romano


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Bimbi abortiti e fatti a pezzi per vendere gli organi Il mercato nero gestito dal colosso degli aborti Usa
di Tommaso Scandroglio
L’International Planned Parenthood Federation (Ippf) vende organi di bambini abortiti. Questa è l’ultima iniziativa della più grande organizzazione abortista al mondo. L’Ippf, non soddisfatta nell’uccidere i bambini, ha pensato bene di lucrarci pure sopra. Due giornalisti pro-life del Center for Medical Progress si sono finti acquirenti per conto di un’azienda che acquisisce tessuti umani e hanno incontrato la dottoressa Deborah Nucatola, senior director del servizio medico della Ippf, la quale sovraintende al lavoro di tutte le filiali dell’organizzazione. 
L’incontro è avvenuto in un ristorante a luglio e, tra un’insalata e un bicchiere di vino, la Nucatola ha spiegato ai due finti acquirenti che il prelievo degli organi avviene ovviamente su feto vivo, altrimenti gli organi si guasterebbero. E sempre ovviamente – aggiungiamo noi – il feto deve essere di età gestazionale adulta perché l’organo deve essere perfettamente sviluppato. Ciò comporta che il bambino non solo verrà ucciso, ma prima di arrivare alla morte verrà orribilmente sezionato senza anestesia per prelevargli gli organi. «Molte persone cercano cuori, fegato e polmoni e molte vogliono anche gli arti inferiori», spiega la Nucatola, «non so cosa possono farne, io credo per i muscoli». Il commercio è così florido che ormai operano su commissione: «per questo motivo», continua la senior director, «i fornitori (i medici abortisti) operano con la guida degli ultrasuoni, così sanno dove mettere il forcipe. (…) Siamo diventati molto bravi a prelevare cuore, polmoni, fegato, perché sapendo questo non schiaccio questa parte, ma schiaccio sotto, oppure schiaccio sopra, e vedo se riesco ad avere tutto, tutto intatto». Un lavoretto fatto coi fiocchi. 

Gli organi hanno un loro prezzo che varia dai 30 ai 100 dollari. Testa e cuore sono quelli che valgono di più. Ogni clinica affiliata alla Ippf all’anno può arrivare ad incassare sui 100mila dollari. Le maggiori acquirenti paiono essere la Advanced Bioscience Resources, azienda leader nel mettere a punto vaccini, e la Stem Express, colosso multimilionario che vende sangue, tessuti, cellule ad ospedali, cliniche, centri di ricerca, etc. Il commercio di organi umani è sanzionato dalle norme penali statunitensi, ma a quelli della Ippf, della Stem Express e della Advanced Bioscience Resources poco importa. Così come poco importa che anche il cosiddetto aborto a nascita parziale – uccisione del bambino quando solo una parte di esso è ancora all’interno del corpo della madre – sia sanzionato negli Usa. I centri dell’Ippf praticano l’aborto a nascita parziale quando devono prelevare la testa. Vi risparmiamo i particolari che invece la signora Nucatola ha illustrato a dovere allorché si rimpinzava con soddisfazione al ristorante.

Deborah Nucatola di Parenthood filmata mentre discute davanti a un calice di vino sul prezzo degli organi da vendere

In un altro video i due finti acquirenti incontrano la presidente dell'Ippf, Cecile Richards, e leraccontano di aver parlato con la Nucatola simulando entusiasmo per un prossimo contratto di compravendita di organi fetali. La Richards si mostra soddisfatta e commenta: «Bene! Grande! Lei [la Nucatola] è sorprendente!». Il Center for Medical Progress, che ha inviato i suoi emissari sotto copertura, sta mettendo on line alcuni documentari intitolati “Il mercato nero di parti di bambini di Planned Parenthood” che vogliono appunto raccontare quale sia l’attività parallela a scopo di lucro di questo centro abortista. In uno di questi video viene intervistata una giovane tirocinante a cui, a sua insaputa, viene ordinato di sezionare un bambino abortito ormai morto. La tirocinante sviene lì davanti a quel corpicino da squartare e una responsabile la conforta dicendole che non è la sola a reagire così: «Ci sono persone che non lo superano mai». 
In un altro documentario si vede la dottoressa Savita Ginde, vice-presidente e dirigente medicodell’area delle Montagne Rocciose, comprendente le cliniche del Colorado, New Mexico, Wyoming e Nevada. La Ginde sto incontrando un compratore e la dottoressa gli mostra, mentre disseziona un feto di undici settimane, i reni, il tessuto neurale, la spina dorsale, come farebbe un macellaio al banco carni del supermercato. La Ginde ha anche l’accortezza di spiegare che loro preferiscono vendere i singoli pezzi, più che il bambino intero perché così ci fanno più soldi. Come per le auto: meglio smontarle e venderle a pezzi. Ci si guadagna di più.  Quelli della Ippf si difendono dicendo che quei soldi sono solo “rimborsi spese” per le pratiche abortive. Anche i media più liberal si sono messi amaramente a ridere.
Il letamaio scoperto da Center for Medical Progress sta producendo alcuni frutti positivi. Irepubblicani, grazie anche a questi video, stanno portando avanti con successo un progetto di legge che mira a tagliare i fondi a organizzazioni come l’Ippf. Finanziatori di questa organizzazione come la Coca Cola e la Xerox le hanno girato le spalle. Hacker pro-life hanno messo sotto attacco il sito di Ippf. Il 28 luglio scorso in 50 città statunitensi si sono tenuti altrettanti raduni di protesta per far chiudere l’Ippf. Tutto per rompere quel coniugio tra Morte e Potere economico che in tutto il mondo è una cifra caratteristica dell’aborto procurato.