giovedì 6 agosto 2015

MOSCHEE, IL SOLITO PASTICCIO ALL'ITALIANA




Il  tweet di Papa Francesco: "In una famiglia cristiana, impariamo molte virtù. Soprattutto ad amare senza chiedere nulla in cambio." (6 agosto 2015)

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(Nella foto in alto e in copertina la moschea di Monte Antenne a Roma, meno di un chilometro in linea d’aria al Vaticano)

di Alberto Bobbio

Il pasticcio sulla costruzione delle moschee a Milano, con aree assegnate per concorso, proteste di chi ha perso e anche di chi ha vinto, aree che comunque avranno bisogno in seguito del cambio di destinazione d’uso, conferma che in Italia la seconda comunità religiosa, l’islam, si trova in una oggettiva situazione di discriminazione, con fragili e deboli garanzie, lasciate alla discrezionalità delle amministrazione comunali. Si rischia insomma di violare il diritto individuale di libertà religiosa che la Costituzione attribuisce a tutti senza limitazioni all’art.19 a differenza di altri diritti, come la libertà di circolazione, di riunione e di associazione che la Carta conferisce ai soli cittadini. La costruzione di luoghi di culto inoltre è stata riconosciuto indispensabile presupposto per l’esercizio della libertà religiosa con un sentenza della Corte nel 1995 (n°195).

Ma non si fa nulla e chi, come il sindaco Milano Pisapia si è posto il problema, rischia di essere travolto non solo dalle critiche di un’opinione pubblica maggioritaria e ignorante del principi costituzionali, ma anche da un intrigo di nome e regolamenti, tutti validi in realtà, che complicano solo il problema. La colpa è la mancanza in Italia di una legge sulla libertà religiosa che regoli non solo la costruzione di luoghi di culto, ma anche sepolture, macellazione della carne, matrimoni, riconoscimento dei ministri di culto. Si tratta di questioni sensibili soprattutto se riferite all’Islam, che finora hanno fatto ritenere in Italia che la libertà religiosa sia qualcosa che alcuni hanno, sulla base delle Intese, e altri debbano meritarsi facendo capriole tra incartamenti polverosi, norme urbanistiche locali che si prestano a molte discriminazioni, commissioni nazionali in vari tavoli, competenze sparse, buone intenzioni e molta improvvisazione.

La costruzione delle moschee è il problema più grande. Il Vaticano e la Cei non si sono mai opposti alla costruzione di moschee, come “luoghi di culto”. C’è un’ infinita serie di dichiarazioni a questo proposito. Questa linea fu inaugurata da Paolo VI, il quale non pose mai veti alla costruzione della Grande Moschea di Monte Antenne meno di un chilometro in linea d’aria al Vaticano. Fu Giulio Andreotti a mediare il consenso del Papa nelle trattative con l’Arabia Saudita proprietaria ancor oggi della Grande Moschea, riconosciuta come luogo di culto e centro culturale islamico da una decreto della Presidenza del Consiglio fin dal 1974. La Santa Sede chiese solo di abbassare un po’ il minareto nel progetto elaborato da Paolo Portoghesi e così fu fatto.

Milano sembra il problema più grave. La cosiddetta “capitale morale” d’Italia non ha una moschea. Ai tempi dei veleni di via Jenner,i musulmani che pregavano in strada, il cardinale Dionigi Tettamanzi aveva spiegato che la costruzione di una moschea avrebbe risolto molti problemi, anche di trasparenza e di sicurezza. Ma non è facile, perché manca una legge e restano i regolamenti in materia di edilizia, che ogni amministrazione interpreta come vuole e, in base al consenso politico, stringe o allarga. La Regione Lombardia per evitare che si costruiscano moschee ha addirittura approvato una legge, subito impugnata dal governo davanti alla Corte Costituzionale.

Il problema è complesso, ma urgente. Alcuni anni fa, il 10 febbraio 2009, un gruppo di deputati presentò una proposta di legge per “l’attuazione del diritto di libertà religiosa in materia di edifici di culto”. Il testo aveva solo sette articoli e profili giuridici che andavano sicuramente approfonditi. Il principio generale era che i diritti e le facoltà inerenti all’edilizia di culto non sono più riservati alle sole confessioni che hanno personalità giuridica, ma vanno riconosciuti ad ogni confessione, senza limitazioni di sorta. Sembra un via libera indiscriminato invece non lo è. Per gli edifici di culto le implicazioni urbanistiche sono attenuate, cioè hanno una valenza urbanistica cosiddetta residuale. E’ quello che vale per le chiese, ma anche per templi protestanti o sinagoghe o chiese ortodosse, che non hanno mai costituito un problema.

Perché non può valere per le moschee? In Italia l’Islam non è riconosciuto dall’ordinamento come confessione religiosa. Non c’è un’Intesa con l’Islam, anche per una sua mancanza di rappresentanza unitaria. Ma in realtà anche per una ostilità da parte di settori della politica. Non si sono cercate soluzioni e ogni questione è diventata motivo di discordia a partire dalla moschee. L’assenza di un’Intesa rende formalmente applicabile per l’Islam in Italia solo la legge sui culti ammessi del 1929 e il regolamento di esecuzione di quella legge del 1930, norme che hanno nulla a che vedere con la Costituzione e che erano costruite secondo il principio di sottoporre i culti ad uno stretto regime di vigilanza e a controlli governativi. Ma evidentemente per buona parte delle forze politiche quel principio va bene ancora oggi, nonostante il dettato costituzionale, in nome del consenso politico intrecciato di pregiudizi

L’assenza di una legge sulla libertà religiosa combinata con la mancanza di un’Intesa con l’Islam hanno provocato guai e pasticci. In Parlamento si discute da anni su una legge. Ci sono diverse proposte ognuna con profili problematici. Anche tra i gli esperti vi sono diversi punti di vista. Ma mai si è cercato a livello parlamentare di comporre in modo unitario le questioni attraverso un serio dibattito . Così oggi ci troviamo con centinaia di luoghi di culto improvvisati in capannoni, palestre, negozi garage, sale di preghiera che passano come centri culturali, essendo impossibile avanzare richieste come luoghi di culto, che hanno bisogno di iter urbanisti specifici e che tuttavia per l’Islam vengono praticamente esclusi.

A Milano il sindaco Pisapia ha cercato di trovare una soluzione, un po’ troppo creativa, con all’assegnazione delle aree attraverso un bando, ma non ha precedentemente disposto il cambio di destinazione d’uso delle aree per quella funzione, questione che avrebbe provocato lacerazioni in Consiglio comunale e proteste nell’opinione pubblica. Forse ha commesso un errore, ma la responsabilità è di una politica nazionale che non vuole affrontare i problemi e della litigiosità interna alle comunità religiose islamiche in Italia.
Famiglia Cristiana