giovedì 17 settembre 2015

Europa



Truppe ungheresi respingono i profughi con lacrimogeni e idranti. La Bulgaria invia agenti al confine turco -- Le scene di ieri alla frontiera tra Ungheria e Serbia, dove migliaia di profughi e migranti sono stati respinti da truppe in assetto di guerra e fatti bersaglio di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, mettono in rilievo la necessità di soluzioni nuove alla crisi dell’immigrazione, che siano fondate sui valori della solidarietà e dell’accoglienza. 
Perché, come ha ricordato questa mattina in conferenza stampa il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, «nella carta d’identità dell’Europa c'è scritto che siamo nati per abbattere muri e non per costruirli; se alcuni Paesi sono nell’Ue, questo è dovuto al fatto che un muro è andato giù e che l’Europa è un orizzonte, non una frontiera, non un confine, un limite».
L’emergenza, sul terreno, si fa sempre più complessa. La Bulgaria sta facendo affluire forze di polizia alla frontiera con la Turchia. L’Ungheria ha confermato la chiusura del confine con la Serbia e annunciato misure analoghe per quella con la Croazia. Budapest respinge ogni critica alle sue scelte: di condanne «bizzarre e sorprendenti» per quella che ha definito «una normale risposta a un’aggressione» ha parlato il ministro degli Esteri, Péter Szijjártó, oggi a Bruxelles per incontrare il commissario europeo alle Migrazioni, Dimitri Avramopoulos. «La polizia ungherese difenderà se stessa e il confine, indipendentemente da qualsiasi reazione di sorpresa e indignazione arrivi dalla scena politica internazionale» ha detto Szijjártó. Il ministro ha poi aggiunto che l’Ungheria è disposta a sostenere il sistema di ricollocamento per quote dei profughi solo se sarà creata una forza unitaria europea che protegga tutte le frontiere, alla quale «contribuirebbe in modo significativo con poliziotti, soldati e soldi». 
Da parte sua, Avramopoulos ha ribadito che «la violenza non è la soluzione» e che la costruzione di muri — come noto l’Ungheria ha steso una barriera di filo spinato lungo tutto il confine — «serve solo a deviare i flussi e a provocare un’escalation delle tensioni».
Proprio in queste ore, migliaia di profughi e migranti bloccati in Serbia a causa della dura reazione subita nel tentativo di varcare la frontiera con l’Ungheria si stanno dirigendo verso la Croazia. Le autorità di Zagabria hanno comunicato di non voler porre ostacoli al passaggio dei migranti nel proprio territorio, anche se il primo ministro, Zoran Milanovic, ha sottolineato questa mattina che le capacità della Croazia di accettare e registrare migliaia di persone sono limitate. Inoltre, sempre questa mattina, la Slovenia ha annunciato la reintroduzione dei controlli alle frontiere per dieci giorni.
Prosegue, nel frattempo, il dibattito politico dopo il mancato accordo sui criteri di ricollocamento al vertice europeo di lunedì scorso. Sono ancora 120.000 i rifugiati che vanno ridistribuiti tra i Paesi Ue. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha spiegato oggi che «le condizioni della Germania sono positive e questo ci permette di far fronte alle nuove sfide». Berlino sostiene, insieme ad altri Paesi, l’approvazione di un sistema di ricollocamento basato su quote permanenti e obbligatorie, insieme a una serie di misure contro i trafficanti di esseri umani. Questo sistema è invece osteggiato da molti altri Stati dell’Europa centrale, in particolare Slovacchia, Slovenia, Polonia e Ungheria, che chiedono criteri non vincolanti e vogliono determinare autonomamente la propria capacità di accoglienza. 
E oggi, intanto, la Danimarca, anch’essa contraria alle quote Ue, ha annunciato di essere disposta ad accogliere 1000 rifugiati, su base volontaria. Il Governo di Copenaghen ha detto di voler mantenere il controllo delle sue politiche sul- l’immigrazione, «che non sarà imposta da Bruxelles».

L'Osservatore Romano