giovedì 3 settembre 2015

La fede e l’impegno civile: il giudice Livatino




L’Italia di oggi non è tutta corruzione: il prossimo 18 settembre alla Camera si terrà il convegno “25 anni dopo Rosario Livatino: diritto, etica, fede” di Giuseppe Brienza – La Croce, giovedì 3 settembre 2015 


Tra gli Italiani che, all’integrità della Fede cattolica, hanno associato il martirio di una fedeltà che si è fatta impegno civico e sociale c’è anche Rosario Livatino (1952-1990), giudice-martire ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990. Nel 25° anniversario della sua morte il neo costituito Centro Studi intitolato al suo nome ha organizzato alla Camera dei deputati, venerdì 18 settembre 2015, alle ore 15.00, un convegno dal titolo: “25 anni dopo Rosario Livatino: diritto, etica, fede” (per adesioni è necessario scrivere alla mail: cerimoniale.adesioni@camera.it). Nell’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari (Palazzo dei Gruppi parlamentari, via di Campo Marzio n. 8, Roma) parleranno, fra gli altri, Stefano Dambruoso, Questore della Camera dei deputati, Franco Lo Voi, Procuratore della Repubblica di Palermo, Mario Cicala, Presidente della sezione V della Corte di Cassazione, Mauro Ronco, Ordinario di diritto penale all’Università di Padova, Don Giuseppe Livatino, Postulatore della beatificazione di Rosario Livatino e Mons. Michele Pennisi, Vescovo di Monreale. Il convegno si articola nella illustrazione del profilo professionale di Livatino, sintesi fra competenza, dedizione e riservatezza, del suo essere giudice fondato su saldi principi etici, e del suo cammino di cristiano, che lo ha portato di recente anche ad essere oggetto di un processo di canonizzazione. Il 21 settembre 1990 il “giudice ragazzino” veniva ucciso da sicari mafiosi mentre si recava al suo lavoro nel tribunale di Agrigento: fino a quel momento si era occupato di indagini delicate e importanti, ma soprattutto del contrasto patrimoniale alla criminalità mafiosa. Livatino fu assassinato a soli 37 anni, ed era stato da poco nominato giudice a latere e della speciale sezione misure di prevenzione di Agrigento. Nel decennio in cui servì come Sostituto Procuratore della Repubblica nella stessa sede giudiziaria (1979-89), pur occupandosi delle più delicate indagini di mafia, aveva lasciato scritto: «la giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà umana; e forse può in esso rinvenirsi un possibile ulteriore significato: la legge, pur nella sua oggettiva identità e nella sua autonoma finalizzazione, è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge, per cui la stessa interpretazione e la stessa applicazione della legge vanno operate col suo spirito e non in quei termini formali». La sua vita, che è stata oggetto di volumi, film, e rievocazioni pubbliche, fu interamente dedicata alla professione di giudice considerata una missione in favore del bene comune. Apparizioni pubbliche rarissimi, mentre della sua attività professionale sono pieni gli archivi del periodo non solo del Tribunale di Agrigento ma anche degli altri uffici gerarchicamente superiori per i quali lavorò. Dopo esser entrato come uditore giudiziario nel Tribunale di Caltanisetta (1978), scrisse nel suo diario: «Ho prestato giuramento, da oggi quindi sono in Magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento, e a comportarmi nel modo che l’educazione che i miei genitori mi hanno impartito esige». Lavoratore instancabile, Rosario alla mano perseguitò con tenacia la criminalità organizzata di Agrigento, nota come Stidda, contrastandone il traffico di stupefacenti e confiscandone i beni. Denunciò anche i legami esistenti in Sicilia tra la mafia ed alcuni esponenti della politica siciliana. Dopo l’assassinio dell’amico e collega Antonino Saetta, ucciso da Cosa Nostra con il figlio Stefano il 25 settembre 1988, intensificò il suo impegno anti-mafia e, questa sua fedeltà alla coscienza, gli costerà la vita. Nel maggio del 1993, nel corso della sua visita ad Agrigento, Giovanni Paolo II incontrò la mamma e il papà del magistrato, definito dal pontefice un «martire della giustizia ed indirettamente della fede». Uscito dal colloquio, il Papa raggiunse la Valle dei Templi pronunciando la famosa invettiva: «Dio ha detto una volta non uccidere. Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. […] Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è via, vita e verità. Lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio». Il 17 giugno 2014, parlando ai membri del Consiglio Superiore della Magistratura, Papa Francesco ha ricordato anche la figura di Rosario Livatino che, ha affermato il Pontefice, ha offerto «una testimonianza esemplare» dello stile di giudice auspicato dal Papa e dalla società. Lo stile di giudice «leale alle istituzioni, aperto al dialogo, fermo e coraggioso nel difendere la giustizia e la dignità della persona umana». Lo stile, cioè, «proprio del fedele laico cristiano».