martedì 15 settembre 2015

Liberare Gesù dalle briglie della Chiesa.....?



I messaggi del Papa alla gerarchia che resiste al cambiamento 
 La Repubblica 
(Paolo Rodari)  Quando Francesco parla parte sempre dalla propria esperienza. Perché si è confrontato con più  persone e perché, da buon gesuita, ha fatto discernimento. Così, quando nell’intervista ad Aura  Vistas Miguel chiede ai conventi divenuti alberghi di pagare le tasse, mostra di avere in mente  situazioni precise. Fu nel settembre del 2013 che andò in visita al Centro Astalli di Roma dove ogni  giorno si accolgono rifugiati. Disse che alla Chiesa non servono conventi vuoti. E che molti  potevano aprire le proprie porte ai rifugiati. 
«Quali risultati ci sono stati?», le ha chiesto la  giornalista portoghese. «Quattro solamente », ha spiegato il Papa. Forse deluso da una risposta così  avara. Accanto a istituti religiosi che vivono fino in fondo la propria missione di servizio agli ultimi, ve ne sono altri che rischiano di smarrirsi, pensando principalmente a come fare cassa. Non è uno  stile che piace al Papa. Facciano come vogliono, ma almeno paghino le tasse. 
C’è oggi una Chiesa che resiste, non tanto a Francesco, quanto al Vangelo di Gesù, secondo cui il  giorno del giudizio finale ognuno sarà giudicato non su quanto è stato coerente, ma se ha dato da  mangiare agli affamati, se ha accolto gli ultimi. «E quando sono stato senza rifugio, come rifugiato,  mi avete aiutato?», ha chiesto Francesco. «Se risponderete di sì, mi congratulo con voi, supererete  l’esame». Per il Papa, l’accoglienza non deve essere fatta chiedendo la carta d’identità. Accogliere  «è accogliere chiunque venga». Eppure alcune diocesi così non sembrano intenzionate a fare:  accogliere sì, hanno risposto alcuni, ma non tutti, solo chi già si conosce. Anche qui: non è nello  stile di Bergoglio giudicare nessuno. Ma, probabilmente, non è questa la risposta che si sarebbe  aspettato. 
Si avvicina il Sinodo dei vescovi sulla famiglia e Francesco mostra di sapere dove vuole arrivare.  Se è vero che, coerente con uno stile sinodale, non farà strappi che lo stesso Sinodo non voglia, è  altrettanto chiaro che la Chiesa che sta plasmando non è un consesso di puri, un sinedrio identitario  dove chi è dentro decide chi è degno di farne parte, quanto una famiglia capace di curvarsi sui  peccatori. I messaggi che egli ha lanciato sono molteplici, a cominciare da quell’accelerazione dei  processi di nullità matrimoniale che con Sinodo e Giubileo hanno diretta attinenza: «È tutto  collegato», ha detto il Papa. Di fronte alla necessità di vivere in modo nuovo la tensione sempre da  ritessere fra dottrina e vita, esiste una Chiesa che di riforme e rinnovamento non vuole sentir  parlare. E preferisce divenire «rachitica, senza creatività». Quante volte, ad esempio la Chiesa  sudamericana vicina al popolo con la sua teologia della liberazione, è stata accusata da alcune  benpensanti gerarchie europee di connivenza col marxismo. Eppure, ha detto il Papa, è meglio una  Chiesa che esce e per strada ha un incidente, «incidentata» perché «perlomeno è in uscita»,  piuttosto che «malata». Anche ieri, come nelle congregazioni generali che hanno preceduto il  conclave del 2013, Bergoglio ha ricordato che a volte è la Chiesa a tenere imprigionato Gesù. La  maggior parte dei cardinali rimase colpita da queste parole e scelse di eleggerlo. Ora lui sta  cercando di fare ciò per cui è stato eletto: liberare Gesù dalle briglie della Chiesa, anche se c’è chi  resiste.

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