venerdì 23 settembre 2016
Dove c’è il dito di Dio
(Marcello Bartolucci) I miracoli non sono eventi marginali del Vangelo e neppure delle cause dei santi. Gesù ha annunciato il regno di Dio con la parola e con i “segni messianici”, che compiva per rendere trasparente la sua identità e credibile la sua missione e anche per anticipare le novità finali del mondo redento. Altrettanto si può dire per i santi. I miracoli, che essi ottengono con la loro intercessione, sono il segno della presenza di Dio nella storia e, allo stesso tempo, sono la conferma ex alto della loro santità, espressa prima di tutto nell’esercizio eroico delle virtù cristiane o nel martirio.
Da sempre la Chiesa è convinta che nei miracoli dei santi c’è il “dito di Dio”, che ratifica, se così si può dire, il giudizio umano sulla loro santità di vita. Questa visione fa parte del sentire della Chiesa ed è stata ripetutamente ribadita dal magistero ordinario fino ai pronunciamenti di Benedetto XVI e di Papa Francesco. È storicamente certo che i miracoli sono stati sempre un argomento decisivo per la canonizzazione dei servi di Dio.
Tra il XII e il XIII secolo si passò dai semplici elenchi di eventi prodigiosi alla creazione di una vera e propria procedura giuridica per l’accertamento sia della santità che dei casi miracolosi. Le formalità processuali si sono, poi, continuamente perfezionate fino alle nuove norme promulgate da san Giovanni Paolo II nel 1983 e tuttora in vigore. Anche lo studio scientifico e teologico degli asseriti miracoli ha visto un progressivo perfezionamento a partire soprattutto dalla canonizzazione di san Carlo Borromeo, celebrata nel 1610. In quella occasione furono presentati una decina di presunti miracoli del santo arcivescovo di Milano e, forse per la prima volta, furono sottoposti all’esame dei periti medici, che Innocenzo XI, nel 1678, rese obbligatori in ogni caso. Nel 1743 si ebbe il primo albo dei periti medici, voluto dal Magister delle cause dei santi, Benedetto XIV. Il codice di diritto canonico del 1917 stabiliva di accedere ai teologi soltanto dopo che il presunto miracolo fosse stato studiato con esito positivo da due periti medici di ufficio (cfr. can. 2118), i quali ovviamente si dovevano esprimere solo ed esclusivamente sulla spiegabilità o inspiegabilità scientifica del caso in esame, lasciando le considerazioni filosofiche e religiose a chi ne aveva la competenza. Ed anche oggi è così: l’aspetto scientifico resta distinto da quello teologico.
Un passo ulteriore lo compì Pio XII nel 1948 quando, al posto dei due periti, istituì una commissione medica, poi organizzata da san Giovanni XXIII come Consulta medica. Il 10 luglio 1959, questo organo collegiale, che ha segnato una svolta nell’iter delle cause, ebbe il suo primo regolamento di cui l’attuale è la più recente formulazione basata sulla legislazione del 1983 e sulla esperienza degli ultimi quarant’anni.
I lavori per la stesura di questo nuovo regolamento sono iniziati nel settembre 2015, quando, all’interno della Congregazione delle cause dei santi, fu costituita una commissione composta da sette officiali, presieduta dall’arcivescovo segretario del dicastero. Dopo diverse riunioni, il 27 giugno 2016 la commissione fu in grado di sottoporre lo schema del regolamento al congresso ordinario della Congregazione, che lo approvò, apportando qualche limatura. Lo stesso schema fu visionato anche dal presidente della Consulta medica, professor Polisca, che dette volentieri il contributo della sua lunga esperienza. Il 9 luglio successivo il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione, inviò il testo definitivo al segretario di Stato per l’approvazione papale, che, il 24 agosto 2016, veniva concessa de mandato Summi Pontificis dallo stesso segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin.
L’attuale testo si ispira al precedente regolamento approvato dal beato Paolo VI, il 23 aprile 1976. Oltre all’adeguamento linguistico e procedurale, sono state introdotte alcune novità, quali ad esempio: la maggioranza qualificata, per procedere ad ulteriora, nell’esame di un presunto miracolo è di almeno 5/7 oppure 4/6; il caso non può essere riesaminato più di 3 volte; per il riesame del presunto miracolo si richiede una Consulta con nuovi membri; l’incarico del presidente della Consulta può avere solo una riconferma (5 anni più altri 5); sono tenuti al segreto tutti quelli che trattano il presunto miracolo (promotori della causa, tribunale, postulatori, periti, officiali del dicastero); i compensi ai periti saranno corrisposti solo tramite bonifico bancario; il sottosegretario svolge per i miracoli le funzioni che la costituzione apostolica Divinus perfectionis magister attribuisce al relatore.
La finalità del regolamento non può essere che il bene delle cause, che non possono mai prescindere dalla verità storica e scientifica degli asseriti miracoli. Come è necessario che le prove giuridiche siano complete, convergenti ed affidabili, così è necessario che il loro studio sia effettuato con serenità, obiettività e sicura competenza da parte di periti medici altamente specializzati e, poi, ad un livello diverso, dal congresso dei consultori teologi e dalla sessione dei cardinali e vescovi per arrivare, infine, alla determinante approvazione del Santo Padre, che ha l’esclusiva competenza di riconoscere un evento straordinario come vero miracolo. Questo regolamento riguarda ovviamente solo il buon funzionamento della Consulta medica, il cui compito appare sempre più delicato, impegnativo e, grazie a Dio, apprezzato dentro e fuori la Chiesa.
L'Osservatore Romano