mercoledì 30 marzo 2022

TALE PADRE, TALE FIGLIO!

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 30 MARZO 2022, MERCOLEDI DELLA IV SETT. DI QUARESIMA

I DISCORSI POLEMICI DI GESU' IL RAPPORTO TRA LA FEDE, LE DEVOZIONI E LE PRATICHE DI PIETA'... LA VALENZA PEDAGOGICA DELLA CELEBRAZIONE LITURGICA RIFLESSI PASTORALI, PART. IN RIF. ALLA INIZIAZIONE CRISTIANA IL CASO DEL CAMMINO NEO-CATECUMENALE

martedì 29 marzo 2022

IL SEGNO DELLA SUA GLORIA

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 29 MARZO, MARTEDI DELLA IV SETT. DI QUARESIMA

LA GUARIGIONE DEL PARALITICO ALLA PISCINA DI BETHESDA

lunedì 28 marzo 2022

UNO PEGGIO DELL'ALTRO...

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DEL GIORNO

Gv 4,43-54 IL MIRACOLO FISICO E IL MIRACOLO MORALE: LA COMUNITA' CRISTIANA LE CONSEGUENZE DEL PECCATO RIF. AL SALMO 72: Perché il giusto soffre
RIF. AL VANGELO DI IERI, IV DOM. DI QUARESIMA (LAETARE), LC. 15

domenica 27 marzo 2022

CANTO: "DIMMI SIGNORE, PERCHE'..."

 CANTO: "DIMMI SIGNORE, PERCHE'..."

MUSICA DI JOSE' LUIS PERALES TRAD. DALLO SPAGNOLO DI VITO VALENTE

venerdì 25 marzo 2022

CARD. RANIERO CANTALAMESSA OFMCAPP. - "LA COMUNIONE AL CORPO E AL SANGUE DI CRISTO" (TERZA PREDICA DI QUARESIMA 2022)

 


LA COMUNIONE AL CORPO E AL SANGUE DI CRISTO

TERZA PREDICA DI QUARESIMA 2022

(CARD. RANIERO CANTALAMESSA OFMCAPP.)

Nella nostra catechesi mistagogica sull’Eucaristia – dopo la Liturgia della Parola e la Consacrazione – siamo giunti al terzo momento, quello della comunione.
Questo è il momento della Messa che più chiaramente esprime l’unità e l’uguaglianza fondamentale di tutti i membri del popolo di Dio, al di sotto di ogni distinzione di rango e di ministero. Fino a quel momento, è visibile la distinzione dei ministeri: nella liturgia della Parola, la distinzione tra Chiesa docente e Chiesa discente; nella consacrazione, la distinzione tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio universale. Nella comunione nessuna distinzione. La comunione che riceve il semplice battezzato è identica a quella che riceve il sacerdote o il vescovo. La comunione eucaristica è la proclamazione sacramentale che, nella Chiesa, la koinonia viene prima ed è più importante della gerarchia.
Riflettiamo sulla comunione eucaristica partendo da un testo di san Paolo:
Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane (1 Cor 10, 16-17).
La parola “corpo” ricorre due volte nei due versetti, ma con un significato diverso. Nel primo caso (“il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?”), corpo indica il corpo reale di Cristo, nato da Maria, morto e risorto; nel secondo caso (“siamo un corpo solo”), corpo indica il corpo mistico, la Chiesa. Non si poteva dire in maniera più chiara e più sintetica che la comunione eucaristica è sempre comunione con Dio e comunione con i fratelli; che c’è in essa una dimensione, per così dire, verticale e una dimensione orizzontale. Partiamo dalla prima.

L’Eucaristia comunione con Cristo

Cerchiamo di approfondire quale genere di comunione si stabilisce tra noi e Cristo nell’Eucaristia. In Giovanni 6, 57, Gesù dice: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”. La preposizione “per” (in greco, dià) ha qui valore causale e finale; indica insieme un movimento di provenienza e un movimento di destinazione. Significa che chi mangia il corpo di Cristo vive “da” lui, cioè a causa di lui, in forza della vita che proviene da lui, e vive “in vista di” lui, cioè per la sua gloria, il suo amore, il suo Regno. Come Gesù vive del Padre e per il Padre, così, comunicandoci al santo mistero del suo corpo e del suo sangue, noi viviamo di Gesù e per Gesù.
E’ infatti il principio vitale più forte che assimila a sé quello meno forte, non viceversa. E’ il vegetale che assimila il minerale, non viceversa; è l’animale che assimila e il vegetale e il minerale, non viceversa. Così ora, sul piano spirituale, è il divino che assimila a sé l’umano, non viceversa. Sicché mentre in tutti gli altri casi è colui che mangia che assimila ciò che mangia, qui è colui che è mangiato che assimila a sé chi lo mangia. A colui che si accosta a riceverlo, Gesù ripete ciò che un giorno sentì dirsi sant’Agostino: “Non sarai tu che assimilerai me a te, ma sarò io che assimilerò te a me” .
Un filosofo ateo ha detto: “L’uomo è ciò che mangia” (F. Feuerbach), intendendo dire che nell’uomo non esiste una differenza qualitativa tra materia e spirito, ma che tutto si riduce alla componente organica e materiale. Un ateo, senza saperlo, ha dato la migliore formulazione di un mistero cristiano. Grazie all’Eucaristia, il cristiano è veramente ciò che mangia! Scriveva già, tanto tempo prima di lui, san Leone Magno: “La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a farci diventare quello che mangiamo”
Nell’Eucaristia non c’è dunque solo comunione tra Cristo e noi, ma anche assimilazione; la comunione non è solo unione di due corpi, di due menti, di due volontà, ma è assimilazione all’unico corpo, l’unica mente e volontà di Cristo. “Chi si unisce al Signore forma con lui un solo Spirito” (1 Cor 6, 17).
Quella dell’alimentazione – del mangiare e del bere – non è la sola analogia che abbiamo della comunione eucaristica, anche se insostituibile. C’è qualcosa che essa non può esprimere, come non lo può l’analogia della comunione tra la vite e il tralcio. Queste sono comunioni tra cose, non tra persone. Comunicano, ma non sanno di comunicare. Vorrei insistere su un’altra analogia che ci può aiutare a capire la natura della comunione eucaristica in quanto comunione tra persone che sanno e vogliono essere in comunione.
La Lettera agli Efesini dice che il matrimonio umano è un simbolo dell’unione tra Cristo e la Chiesa: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef 5, 31-33). L’Eucaristia – per usare un’immagine audace ma vera – è la consumazione del matrimonio tra Cristo e la Chiesa e una vita cristiana senza l’Eucaristia è un matrimonio rato, ma non consumato. Al momento della comunione, il celebrante esclama: “Beati gli invitati alla cena dell’Agnello!” (Beati qui ad coenam Agni vocati sunt) e l’Apocalisse – da cui la frase è tratta – dice ancora più esplicitamente: “Beati gli invitati alla cena di nozze dell’Agnello” (Ap 19,9).
Ora – sempre secondo san Paolo – la conseguenza immediata del matrimonio è che il corpo (cioè tutta la persona) del marito diventa della moglie e, viceversa, il corpo della moglie diventa del marito (cfr. 1 Cor 7, 4). Questo significa che la carne incorruttibile e datrice di vita del Verbo incarnato diventa “mia”, ma anche la mia carne, la mia umanità, diventa di Cristo, è fatta propria da lui. Nell’Eucaristia noi riceviamo il corpo e il sangue di Cristo, ma anche Cristo “riceve” il nostro corpo e il nostro sangue! Gesú, scrive sant’Ilario di Poitiers, “assume la carne di colui che assume la sua” . Cristo dice a noi: “Prendi, questo è il mio corpo”, ma anche noi possiamo dire a lui: “Prendi, questo è il mio corpo”.
Cerchiamo ora di capire le conseguenze di tutto ciò. Nella sua vita terrena Gesù non ha fatto tutte le esperienze umane possibili e immaginabili. Tanto per cominciare, è stato un uomo, non una donna: non ha vissuto la condizione di metà dell’umanità; non era sposato, non ha sperimentato cosa significa essere unito per la vita a un’altra creatura, avere figli, o, peggio, perdere dei figli; è morto giovane, non ha conosciuto la vecchiaia…
Ma ora, grazie all’Eucaristia, lui fa tutte queste esperienze. Vive nella donna la condizione femminile, nel malato la malattia, nell’anziano l’anzianità, nel rifugiato la sua precarietà, nel bombardato il suo terrore… Non c’è nulla della mia vita che non appartenga a Cristo. Nessuno dovrebbe dire: “Ah, Gesú non sa cosa vuol dire essere sposato, essere donna, aver perso un figlio, essere malato, essere anziano, essere una persona di colore!”
Ciò che Cristo non ha potuto vivere “secondo la carne”, lo vive e “sperimenta” ora da risorto “secondo lo Spirito”, grazie alla comunione sponsale della Messa. Aveva compreso il motivo profondo di ciò santa Elisabetta della Trinità quando scriveva alla propria madre: “La sposa appartiene allo sposo. Il mio (Sposo) mi ha presa. Vuole che sia per lui un’umanità aggiunta” .
Quale inesauribile motivo di stupore e di consolazione al pensiero che la nostra umanità diventa l’umanità di Cristo! Ma anche quale responsabilità da tutto ciò! Se i miei occhi sono diventati gli occhi di Cristo, la mia bocca quella di Cristo, quale motivo per non permettere al mio sguardo di indugiare su immagini lascive, alla mia lingua di non parlare contro il fratello, al mio corpo di non servire come strumento di peccato. “Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta?”, scriveva con orrore san Paolo ai Corinzi (1 Cor 6, 15).
E tuttavia, non è ancora tutto; manca la parte più bella. Il corpo della sposa appartiene allo sposo; ma anche il corpo dello sposo appartiene alla sposa. Dal dare si deve passare subito, nella comunione, al ricevere. Ricevere nientemeno che la santità di Cristo! Dove mai si attuerà, concretamente, nella vita del credente, quel “meraviglioso scambio” (admirabile commercium) di cui parla la liturgia, se non si attua al momento della comunione?
Lì abbiamo la possibilità di dare a Gesù i nostri stracci sporchi e ricevere da lui il “manto della giustizia” (Is 61, 10). È scritto infatti che egli “per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (cf 1 Cor 1, 30). Ciò che egli è diventato “per noi” ci è destinato, ci appartiene. “Poiché – scrive il Cabasilas – noi apparteniamo a Cristo più che a noi stessi, avendoci egli ricomprati a caro prezzo (1 Cor 6, 20), inversamente quello che è di Cristo ci appartiene più che se fosse nostro” . Bisogna soltanto ricordare una cosa: noi apparteniamo a Cristo per diritto, egli appartiene a noi per grazia!
È una scoperta capace di mettere le ali alla nostra vita spirituale. Questo è il colpo d’audacia della fede e dovremmo pregare Dio di non permettere che moriamo prima di averlo realizzato.

L’Eucaristia, comunione con la Trinità

Riflettere sull’Eucaristia è come vedersi spalancare davanti, a mano a mano che si avanza, orizzonti sempre più vasti che si aprono uno sull’altro, a perdita di vista. L’orizzonte cristologico della comunione che abbiamo contemplato fin qui si apre infatti su un orizzonte trinitario. In altre parole, attraverso la comunione con Cristo noi entriamo in comunione con tutta la Trinità. Nella sua “preghiera sacerdotale”, Gesù dice al Padre: “Che siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me” (Gv 17, 23). Quelle parole: “Io in loro e tu in me”, significano che Gesù è in noi e che in Gesù c’è il Padre. Non si può, perciò, ricevere il Figlio, senza ricevere, con lui, anche il Padre. La parola di Cristo: “Chi vede me vede il Padre” (Gv 14, 9) significa anche “chi riceve me riceve il Padre”.
Il motivo ultimo di ciò è che Padre, Figlio e Spirito Santo sono un’unica e inseparabile natura divina, sono “una cosa sola”. Scrive, a questo proposito, sant’Ilario di Poitiers: “Noi siamo uniti a Cristo che è inseparabile dal Padre. Egli, pur rimanendo nel Padre, resta unito a noi; così anche noi arriviamo all’unità con il Padre. Infatti, Cristo è nel Padre connaturalmente, in quanto da lui generato; ma, in certo modo, anche noi attraverso Cristo, siamo connaturalmente nel Padre. Egli vive in virtù del Padre e noi viviamo in virtù della sua umanità” .
Ciò che si dice del Padre vale anche dello Spirito Santo. Nell’Eucaristia si ha una replica sacramentale di ciò che è avvenuto storicamente nella vita terrena di Cristo. Al momento della sua nascita terrena, è lo Spirito Santo che dona al mondo il Cristo (Maria, infatti, concepì per opera dello Spirito Santo!); al momento della morte, è Cristo che dona al mondo lo Spirito Santo: morendo, egli “emise lo Spirito”. Similmente, nell’Eucaristia, al momento della consacrazione è lo Spirito Santo che ci dona Gesù, poiché è per la sua azione che il pane si trasforma nel corpo di Cristo; al momento della comunione è Cristo che, venendo in noi, ci dona lo Spirito Santo.
Sant’Ireneo (che finalmente possiamo salutare come Dottore della Chiesa!) dice che lo Spirito Santo è “la nostra stessa comunione con Cristo” . Nella comunione Gesù viene a noi come colui che dona lo Spirito. Non come colui che un giorno, tanto tempo fa, diede lo Spirito, ma come colui che ora, consumato il suo sacrificio sull’altare, di nuovo, “emette lo Spirito” (cf Gv 19, 30).
Tutto questo che ho detto sulla Trinità e l’Eucaristia è riassunto visivamente nell’icona ortodossa di Rublev dei tre Angeli intorno all’altare. Tutta la Trinità ci dona l’Eucaristia e si dona a noi nell’Eucaristia. L’Eucaristia non è solo la nostra Pasqua quotidiana; è anche la nostra Pentecoste quotidiana!

La comunione degli uni con gli altri

Da queste altezze vertiginose, torniamo adesso sulla terra e passiamo alla seconda dimensione della comunione eucaristica: la comunione con il corpo di Cristo che è la Chiesa. Richiamiamo alla mente la parola dell’Apostolo: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane”.

Sviluppando un pensiero già abbozzato nella Didachè, sant’Agostino vede una analogia nel modo in cui si formano i due corpi di Cristo: quello eucaristico e quello ecclesiale. Nel caso dell’Eucaristia, abbiamo il grano dapprima disperso sui colli, che trebbiato, macinato, impastato in acqua e cotto al fuoco diventa il pane che arriva sull’altare; nel caso della Chiesa, abbiamo la moltitudine delle persone che riunite dalla predicazione evangelica, macinate dai digiuni e dalla penitenza, impastate in acqua nel battesimo e cotte al fuoco dello Spirito, formano il corpo che è la Chiesa.

Immediatamente ci viene incontro, a questo proposito, la parola di Cristo: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24). Se tu vai a ricevere la comunione, ma hai offeso un fratello e non ti sei riconciliato, nutri rancore, tu somigli – diceva ancora sant’Agostino al popolo – a una persona che vede arrivare un amico che non vede da anni. Corre a incontrarlo, si alza sulla punta dei piedi per baciarlo sulla fronte… Ma nel fare questo non si accorge che gli sta calpestando i piedi con scarpe chiodate . I fratelli e le sorelle sono piedi di Gesù che ancora cammina sulla terra.

Comunione con i poveri

Questo vale in modo speciale nei riguardi dei poveri, degli afflitti, degli emarginati. Colui che ha detto del pane: “Questo è il mio corpo”, lo ha detto anche del povero. Lo ha detto quando, parlando di ciò che si è fatto per l’affamato, l’assetato, il prigioniero e il nudo, ha dichiarato solennemente: “Lo avete fatto a me!”. Questo è come dire: “Io ero l’affamato, io ero l’assetato, io ero lo straniero, il malato, il prigioniero” (cf Mt 25, 35 ss.). Ho ricordato altre volte il momento in cui questa verità quasi esplose dentro di me. Ero in missione in un paese molto povero. Attraversando le vie della capitale vedevo dappertutto bambini coperti da pochi stracci sporchi, che correvano dietro i camion delle immondizie per cercare qualcosa da mangiare. A un certo momento era come se Gesù diceva a me: “Guarda bene: quello è il mio corpo!”. C’era da averne il fiato mozzo.
La sorella del grande filosofo Blaise Pascal riferisce questo fatto relativo al fratello. Nella sua ultima malattia, non riusciva a trattenere nulla di quello che mangiava e per questo non gli permettevano di ricevere il viatico che insistentemente chiedeva. Allora disse: “Se non potete darmi l’Eucaristia, fate almeno entrare un povero nella mia stanza. Se non posso comunicare con il Capo, voglio almeno comunicare con il suo corpo” .
L’unico impedimento a ricevere la comunione che san Paolo nomina esplicitamente è il fatto che, nell’assemblea, “uno è affamato e un altro ubriaco”: “Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco” (1 Cor 11, 20-21). Dire “questo non è un mangiare la cena del Signore” è come dire: la vostra non è più una vera Eucaristia! È un’affermazione forte, anche da un punto di vista teologico, alla quale non prestiamo forse abbastanza attenzione.
Al giorno d’oggi, la situazione in cui uno ha fame e un altro scoppia di cibo non è più un problema locale, ma mondiale. Non ci può essere niente in comune tra la cena del Signore e il pranzo del ricco epulone, dove il padrone banchetta lautamente, ignorando il povero che sta fuori della porta (cf Lc 16, 19 ss.). La preoccupazione di condividere ciò che si ha con chi è nel bisogno, vicini e lontani, deve essere parte integrante della nostra vita eucaristica.
Non c’è nessuno che, volendo, non possa, durante la settimana, compiere uno di quei gesti di cui Gesù dice: “Lo avete fatto a me”. Condividere non significa semplicemente “dare qualcosa”: pane, vestito, ospitalità; significa anche visitare qualcuno: un prigioniero, un malato, un anziano solo. Non è dare solo del proprio denaro, ma anche del proprio tempo. Il povero e il sofferente hanno bisogno di solidarietà e di amore, non meno che di pane e vestito, soprattutto in questo tempo di isolamento imposto dalla pandemia.
Gesù ha detto: “I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me” (Mt 26, 11). Questo è vero anche nel senso che non sempre possiamo ricevere il corpo di Cristo nell’Eucaristia e anche quando lo riceviamo, ciò non dura che pochi minuti, mentre possiamo sempre riceverlo nei poveri. Qui non ci sono limiti, si richiede solo che lo vogliamo. I poveri li abbiamo sempre a portata di mano. Ogni volta che incontriamo qualcuno che soffre, specie se si tratta di certe forme estreme di sofferenza, se stiamo attenti, udremo, con gli orecchi della fede, la parola di Cristo: “Questo è il mio corpo!”.
Concludo con una piccola storia che ho letto da qualche parte. Un uomo vede una bambina denutrita, scalza e tremante di freddo e grida a Dio quasi con rabbia: “O Dio perché non fai qualcosa per quella bambina?”. Dio gli risponde: “Certo che ho fatto qualcosa per quella bambina: ho fatto te!
Che Dio ci aiuti a ricordarcelo al momento giusto.

1.Cf Agostino, Confessioni, VII, 10.
2.Leone Magno, Sermone 12 sulla Passione, 7 (CCL 138A, p. 388).
3.Ilario di Poitiers, De Trinitate, 8, 16 (PL 10, 248): “Eius tantum in se adsumptam habens carnem, qui suam sumpserit”.
4.Elisabetta della Trinità, Lettera 261, alla mamma (in Scritti, Roma 1967, p. 457).
5.N. Cabasilas, Vita in Cristo, IV, 6 (PG 150, 613).
6.Ilario, De Trinitate, VIII, 13-16 (PL 10, 246 ss).
7.Ireneo, Adversus haereses, III, 24, 1.
8.Agostino, Sermo Denis 6 (PL 46, 834 s.).
9.Cf. S. Agostino, Commento alla Prima Lettera di Giovanni, 10,8.
10.Vita di Pascal, in B. Pascal, Oeuvres complètes, Parigi 1954, pp. 3 ss.

giovedì 24 marzo 2022

PARE DE SUFRIR.....

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 24 marzo 2022, GIOVEDÌ DELLA III SETTIMANA DI QUARESIMA.

mercoledì 23 marzo 2022

JUST THE WAY YOU ARE...

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DEL GIORNO...

LA "LEGGE" DELL'AMORE...

LA "TRADITIO" DEL KERYGMA

RIF. ALLA CATECHESI DI QUESTA MATTINA DEL PAPA FRANCESCO

martedì 22 marzo 2022

IL PERDONO, OVVERO "COME ASSOMIGLIARE A DIO"

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 22 MARZO 2022, MARTEDÌ DELLA III SETTIMANA DI QUARESIMA.

IL PERDONO CRISTIANO: LA SORGENTE E LE CARATTERISTICHE RIF. ALLA PREGHIERA DI Nil Sorskij (Nilo della Sora, 1433-1508), monaco e animatore della rinascita esicasta nella Russia del XV secolo.

lunedì 21 marzo 2022

PER CHI VIENE GESU'?

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 21 MARZO, LUNEDI DELLA TERZA SETT. DI QUARESIMA.

ATTUALIZZAZIONI

mercoledì 16 marzo 2022

IL CERCHIO MAGICO DI GESU'...

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITUGIA DI OGGI, 16 MARZO 2022, MERCOLEDI DELLA SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMA

La battaglia contro Amalek, UNA CATECHESI SULLA PREGHIERA... Appello e preghiera del Santo Padre (DALLA CATECHESI DELLA UDIENZA DI QUESTA MATTINA)

martedì 15 marzo 2022

CANTO: "LA CARCEL DEL AMOR" E CATECHESI SUL "DOVERE" DI AMARE...

 CANTO: "LA CARCEL DEL AMOR" (TESTO E MUSICA DI JOSE' LUIS PERALES) E CATECHESI SULLA FEDELTA' DELL'AMORE UMANO (CARD. CANTALAMESSA, DALLA PREDICA DEL VENERDI SANTO DEL 2006)

LA GIUSTIZIA DEI FARISEI E LA NOSTRA (2)

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 15 MARZO 2022, MARTEDI DELLA SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMA

IL CIELO: LA PERFEZIONE DELL' AMORE...

venerdì 11 marzo 2022

LA GIUSTIZIA DEI FARISEI E LA NOSTRA (1)

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 11 MARZO 2022,, VENERDI DELLA PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMA.

LETTURA E COMMENTO DI ALCUNI TESTI DI KIKO ARGUELLO SULLA PREGHIERA: - ANNUNCIO DEL KERYGMA - PREGARE SIGNIFICA INVOCARE IL NOME DI GESU' (Tratto da: Kiko Arguello e Carmen Hernandez, Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale, cfr. Statuto, art.2, 2°, Vol. V, "Iniziazione alla Preghiera").

CARD. RANIERO CANTALAMESSA: "LA LITURGIA DELLA PAROLA" (PRIMA PREDICA DI QUARESIMA 2022)

 


DI SEGUITO IL TESTO DELLA PRIMA PREDICA DI QUARESIMA, DETTATA QUESTA MATTINA DAL CARD. CANTALAMESSA

Tra i tanti mali che la pandemia del Covid ha causato all’umanità, c’è stato almeno un effetto positivo dal punto di vista della fede. Essa ci ha fatto prendere coscienza del bisogno che abbiamo dell’Eucaristia e del vuoto che crea la sua mancanza. Durante il periodo più acuto della pandemia nel 2020 sono stato fortemente impressionato – e con me milioni di altri cattolici – da quello che significava ogni mattina assistere in televisione alla Santa Messa celebrata da papa Francesco a Santa Marta.

Alcune chiese locali e nazionali hanno deciso di dedicare il corrente anno a una speciale catechesi sull’Eucaristia, in vista di un desiderato revival eucaristico nella Chiesa cattolica. Mi sembra una decisione opportuna e un esempio da seguire, magari toccando qualche aspetto non sempre preso in considerazione. Ho pensato perciò di portare un piccolo contributo al progetto, dedicando le riflessioni di questa Quaresima a una rivisitazione del mistero eucaristico.
L’Eucaristia è al centro di ogni tempo liturgico, della Quaresima non meno che degli altri tempi. È ciò che celebriamo ogni giorno, la Pasqua quotidiana. Ogni piccolo progresso nella sua comprensione si traduce in un progresso nella vita spirituale della persona e della comunità ecclesiale. Essa però è anche, purtroppo, la cosa più esposta, per la sua ripetitività, a scadere a routine, a cosa scontata. San Giovanni Paolo II, nella lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, dell’Aprile 2003, dice che i cristiani devono riscoprire e mantenere sempre vivo “lo stupore eucaristico”. Ecco, a questo scopo vorrebbero servire le nostre riflessioni: a ritrovare lo stupore eucaristico.
Parlare dell’Eucaristia in tempo di pandemia e ora, in aggiunta, con gli orrori della guerra davanti agli occhi, non è un astrarci dalla realtà in cui viviamo, ma un invito a guardarla da un punto di vista superiore e meno contingente. L’Eucaristia è la presenza nella storia dell’evento che ha rovesciato per sempre i ruoli tra vincitori e vittime. Sulla croce Cristo ha fatto della vittima il vero vincitore: “Victor quia victima”, lo definisce sant’Agostino: vincitore perché vittima. L’Eucaristia ci offre la vera chiave di lettura della storia. Ci assicura che Gesú è con noi, non solo intenzionalmente, ma realmente in questo nostro mondo che sembra sfuggirci dalle mani da un momento all’altro. Ci ripete: “Abbiate coraggio: Io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 33).

L’Eucaristia nella storia della salvezza

Partiamo da una domanda: Che posto occupa l’Eucaristia nella storia della salvezza? La risposta è: non occupa un posto, ma la occupa tutta! L’Eucaristia è co-estensiva alla storia della salvezza. Essa, però, è presente in tre modi diversi, nei tre diversi tempi, o fasi, della salvezza: è presente nell’Antico Testamento come figura; è presente nel Nuovo Testamento come evento ed è presente nel tempo della Chiesa come sacramento. La figura anticipa e prepara l’evento, il sacramento “prolunga” e attualizza l’evento.
Nell’Antico Testamento, dicevo, l’Eucaristia è presente “in figura”. Una di queste figure era la manna, un’altra il sacrificio di Melchisedek, un’altra ancora il sacrificio di Isacco. Nella sequenza Lauda Sion Salvatorem, composta da san Tommaso d’Aquino per la festa del Corpus Domini, si canta: “Adombrato nelle figure: immolato in Isacco, indicato nell’agnello pasquale, dato ai padri come manna”: In figúris præsignátur, / cum Isaac immolátur: /agnus paschæ deputátur: /datur manna pátribus. In quanto figure dell’Eucaristia, san Tommaso chiama questi riti “i sacramenti dell’antica Legge” .
Con la venuta di Cristo e il suo mistero di morte e risurrezione, l’Eucaristia non è più presente come figura, ma come evento, come realtà. Lo chiamiamo “evento” perché è qualcosa di storicamente accaduto, un fatto unico nel tempo e nello spazio, avvenuto una volta sola (semel) e irripetibile: Cristo “una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso” (Eb 9, 26).
Infine, nel tempo della Chiesa, l’Eucaristia, dicevo, è presente come sacramento, cioè nel segno del pane e del vino, istituito da Cristo. È importante che comprendiamo bene la differenza tra l’evento e il sacramento: in pratica, la differenza tra la storia e la liturgia. Ci facciamo aiutare da sant’Agostino.
Noi – dice il santo dottore – sappiamo e crediamo con fede certissima che Cristo è morto una sola volta per noi, lui giusto per i peccatori, lui Signore per i servi. Sappiamo perfettamente che ciò è avvenuto una sola volta; e, tuttavia, il sacramento periodicamente lo rinnova, come se si ripetesse più volte quello che la storia proclama essere avvenuto una sola volta. Eppure evento e sacramento non sono tra loro in contrasto, quasi che il sacramento sia fallace e solo l’evento sia vero. Infatti, di ciò che la storia afferma essere accaduto, nella realtà, una sola volta, di questo il sacramento rinnova (renovat) spesso la celebrazione nel cuore dei fedeli. La storia svela ciò che è accaduto una volta e come è accaduto, la liturgia fa sì che il passato non sia dimenticato; non nel senso che lo fa accadere di nuovo (non faciendo), ma nel senso che lo celebra (sed celebrando) .
Precisare il nesso che esiste tra il sacrificio unico della croce e la Messa è una cosa assai delicata ed è stato sempre uno dei punti di maggior dissenso tra cattolici e protestanti. Agostino usa, come abbiamo visto, due verbi: rinnovare e celebrare, che sono giustissimi, a patto però di essere intesi l’uno alla luce dell’altro: la Messa rinnova l’evento della croce celebrandolo (non reiterandolo!) e lo celebra rinnovandolo (non soltanto ricordandolo!). La parola, nella quale si realizza oggi il maggior consenso ecumenico, è forse il verbo (usato anche da Paolo VI, nell’enciclica Mysterium fidei) rappresentare, inteso nel senso forte di ri-presentare, cioè rendere nuovamente presente . In questo senso, diciamo che l’Eucaristia “rappresenta” la croce.
Secondo la storia, c’è stata, dunque, una sola Eucaristia, quella realizzata da Gesù con la sua vita e la sua morte; secondo la liturgia, invece, cioè grazie al sacramento, ci sono tante Eucaristie quante se ne sono celebrate e se ne celebreranno fino alla fine del mondo. L’evento si è realizzato una sola volta (semel), il sacramento si realizza “ogni volta” (quotiescumque). Grazie al sacramento dell’Eucaristia noi diventiamo, misteriosamente, contemporanei dell’evento; l’evento si fa presente a noi e noi all’evento.
Le nostre riflessioni quaresimali avranno per oggetto l’Eucaristia nel suo stadio presente, cioè come sacramento. Nella Chiesa antica esisteva una catechesi speciale, detta mistagogica, che era riservata al vescovo e veniva impartita dopo, non prima, del battesimo. Il suo scopo era di rivelare ai neofiti il significato dei riti celebrati e le profondità dei misteri della fede: battesimo, cresima o unzione, e in particolare l’Eucaristia. Quello che ci proponiamo di fare è proprio una piccola catechesi mistagogica sull’Eucaristia. Per rimanere il più possibile ancorati alla natura sacramentale e rituale di essa, seguiremo da vicino lo svolgimento della Messa nelle sue tre parti – liturgia della parola, liturgia eucaristica, e comunione -, aggiungendo alla fine una riflessione sul culto eucaristico fuori della Messa.

Liturgia della parola

Nei primissimi giorni della Chiesa, la liturgia della Parola era distaccata dalla liturgia eucaristica. I discepoli, riferiscono gli Atti degli Apostoli, “ogni giorno, tutti insieme, frequentavano il tempio”; lì ascoltavano la lettura della Bibbia, recitavano i salmi e le preghiere insieme con gli altri ebrei; facevano quello che si fa nella liturgia della Parola; quindi si riunivano a parte, nelle loro case, per “spezzare il pane”, cioè per celebrare l’Eucaristia (cf At 2, 46).
Ben presto però questa prassi divenne impossibile sia per l’ostilità nei loro confronti da parte delle autorità ebraiche, sia perché ormai le Scritture avevano acquistato per essi un senso nuovo, tutto orientato a Cristo. Fu così che anche l’ascolto della Scrittura si trasferì dal tempio e dalla sinagoga ai luoghi di culto cristiani, prendendo a poco a poco la fisionomia dell’attuale liturgia della Parola che precede la preghiera eucaristica. Nella descrizione della celebrazione eucaristica fatta da san Giustino nel II secolo, non solo la liturgia della Parola è parte integrante di essa, ma alle letture dell’Antico Testamento si sono affiancate ormai quelle che il santo chiama “le memorie degli apostoli”, cioè i Vangeli e le Lettere, in pratica il Nuovo Testamento .
Ascoltate nella liturgia, le letture bibliche acquistano un senso nuovo e più forte di quando sono lette in altri contesti. Non hanno tanto lo scopo di conoscere meglio la Bibbia, come quando la si legge a casa o in una scuola biblica, quanto quello di riconoscere colui che si fa presente nello spezzare il pane, di illuminare ogni volta un aspetto particolare del mistero che si sta per ricevere. Questo appare, in modo quasi programmatico, nell’episodio dei due discepoli di Emmaus. Fu ascoltando la spiegazione delle Scritture che il cuore dei discepoli cominciò a sciogliersi, sicché furono poi capaci di riconoscerlo “allo spezzare del pane” (Lc 24, 1 ss.). Quella di Gesú risorto fu la prima “liturgia della parola” nella storia della Chiesa!
Seconda caratteristica: nella Messa le parole e gli episodi della Bibbia non sono soltanto narrati, ma rivissuti; la memoria diventa realtà e presenza. Ciò che avvenne “in quel tempo”, avviene “in questo tempo”, “oggi” (hodie), come ama esprimersi la liturgia. Noi non siamo soltanto uditori della parola, ma interlocutori e attori in essa. È a noi, lì presenti, che è rivolta la parola; siamo chiamati a prendere noi il posto dei personaggi evocati.
Alcuni esempi aiuteranno a capire. Una volta si legge, nella prima lettura, l’episodio di Dio che parla a Mosè dal roveto ardente: noi siamo, nella Messa, davanti al vero roveto ardente… Un’altra volta si parla di Isaia che riceve sulle labbra il carbone ardente che lo purifica per la missione: noi stiamo per ricevere sulle labbra il vero carbone ardente, il fuoco che Gesú è venuto a portare sulla terra… Ezechiele è invitato a mangiare il rotolo degli oracoli profetici: noi ci apprestiamo a mangiare colui che è la parola stessa fatta carne e fatta pane.
La cosa diventa ancora più chiara se dall’Antico Testamento passiamo al Nuovo, dalla prima lettura al brano evangelico. La donna che soffriva di emorragia è sicura di essere guarita se riuscirà a toccare il lembo del mantello di Gesù: che dire di noi che stiamo per toccare ben più che il lembo del suo mantello? Una volta ascoltavo nel Vangelo l’episodio di Zaccheo e fui colpito dalla sua “attualità”. Ero io Zaccheo; erano rivolte a me le parole: “Oggi devo venire a casa tua”; era di me che si poteva dire: “È andato ad alloggiare da un peccatore!” ed era a me, dopo averlo ricevuto nella comunione, che Gesù diceva: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa” (cf Lc 19, 9).
Così di ogni singolo episodio evangelico. Come non identificarsi nella Messa con il paralitico al quale Gesù dice: “I tuoi peccati ti sono rimessi” e “Alzati e cammina” (cf Mc 2, 5.11); con Simeone che stringe tra le braccia il Bambino Gesù (cf Lc 2, 27-28); con Tommaso che tocca le sue piaghe (Gv 20, 27-28)? Nella seconda domenica del Tempo Ordinario del corrente ciclo liturgico c’è il brano evangelico in cui Gesú dice all’uomo dalla mano paralizzata: “Tendi la mano! Egli la tese e la sua mano fu guarita” (Mc 3,5). Noi non abbiamo la mano paralizzata; però abbiamo tutti, chi più chi meno, l’anima paralizzata, il cuore inaridito. È a chi ascolta che Gesú dice in quel momento: “Stendi la tua mano! Stendi il tuo cuore davanti a me, con la fede e la prontezza di quell’uomo.
La Scrittura proclamata durante la liturgia produce degli effetti che sono al di sopra di ogni spiegazione umana, alla maniera dei sacramenti che producono quello che significano. I testi divinamente ispirati hanno anche un potere di guarigione. Dopo la lettura del brano evangelico nella Messa, la liturgia invitava un tempo il ministro a baciare il libro dicendo: “Le parole del Vangelo cancellino i nostri peccati” (Per evangelica dicta deleantur nostra delicta).
Nel corso della storia della Chiesa eventi epocali sono accaduti come risultato dell’ascolto delle letture bibliche durante la Messa. Un giovane udì un giorno il brano evangelico dove Gesù dice a un giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo. Quindi vieni e seguimi” (cf Mt 19, 21). Capì che quella parola era rivolta a lui personalmente, perciò andò a casa, vendette tutto quello che aveva e si ritirò nel deserto. Il suo nome era Antonio, l’iniziatore del monachesimo. Molti secoli dopo, un altro giovane, da poco convertito, entrò in una chiesa con un suo compagno. Nel Vangelo del giorno Gesù diceva ai suoi discepoli: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche” (Lc 9, 3). Il giovane si voltò verso il suo compagno e disse: “Hai sentito? Questo è ciò che il Signore vuole che facciamo anche noi”. Cominciò così l’Ordine francescano.
La liturgia della Parola è la migliore risorsa che abbiamo per fare ogni volta, della Messa, una celebrazione nuova e attraente, evitando così il grande pericolo di una ripetizione monotona che specialmente i giovani trovano noiosa. Perché questo si realizzi, dobbiamo investire più tempo e preghiera nella preparazione dell’omelia. I fedeli dovrebbero poter capire che la parola di Dio tocca le situazioni reali della vita ed è l’unica ad avere risposte alle domande più serie dell’esistenza.
Ci sono due modi di preparare una omelia. Uno può sedersi a tavolino e scegliere il tema in base alle proprie esperienze e conoscenze; quindi, una volta preparato il testo, mettersi in ginocchio e chiedere a Dio di infondere lo Spirito nelle proprie parole. È una cosa buona, ma non è un modo profetico. Per essere profetici bisognerebbe seguire la via inversa: prima mettersi in ginocchio e chiedere a Dio qual è la parola che vuole far risuonare per il suo popolo.
Dio infatti ha una sua parola per ogni occasione e non manca di rivelarla al suo ministro che gliela chiede umilmente e con insistenza. All’inizio non si tratterà che di un piccolo moto del cuore, una lucina che si accende nella mente, una parola della Scrittura che attira l’attenzione e che getta luce su una situazione vissuta. Non si tratta, all’apparenza, che di un piccolo seme, ma contiene quello che la gente ha bisogno di ascoltare in quel momento.
Dopo ciò uno può sedersi a tavolino, aprire i propri libri, consultare appunti, raccogliere e ordinare i propri pensieri, consultare i Padri della Chiesa, i maestri, a volte i poeti; ma ora non è più la parola di Dio che è al servizio della tua cultura, ma la tua cultura a servizio della parola di Dio. Solo così la Parola manifesta il suo intrinseco potere.

L’opera dello Spirito Santo

Ma bisogna aggiungere una cosa: tutta l’attenzione data alla parola di Dio da sola non basta. Su di essa deve scendere “la forza dall’alto”. Nell’Eucaristia, l’azione dello Spirito Santo non è limitata soltanto al momento della consacrazione, all’epiclesi che si recita prima di essa. La sua presenza è ugualmente indispensabile per la liturgia della parola e, vedremo a suo tempo, anche per la comunione.
Lo Spirito Santo continua, nella Chiesa, l’azione del Risorto che, dopo la Pasqua, ”apriva la mente dei discepoli all’intelligenza delle Scritture” (cf. Lc 24,45). La Scrittura, dice la Dei Verbum del concilio Vaticano II, “deve essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta” . Nella liturgia della parola l’azione dello Spirito Santo si esercita mediante l’unzione spirituale presente in chi parla e in chi ascolta.
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (Lc 4, 18).
Gesú ha indicato così da dove trae la sua forza la parola annunciata. Sarebbe un errore fare affidamento solo sull’unzione sacramentale che abbiamo ricevuto una volta per tutte nell’ordinazione sacerdotale o episcopale. Questa ci abilita a compiere certe azioni sacre, come governare, predicare e amministrare i sacramenti. Ci dà, per così dire, l’autorizzazione a fare certe cose, non necessariamente qualcosa di quella autorità che le folle avvertivano quando parlava Gesù; assicura la successione apostolica, non necessariamente il successo apostolico!
Ma se l’unzione è data dalla presenza dello Spirito ed è dono suo, che possiamo fare noi per averla? Dobbiamo anzitutto partire da una certezza: “Noi abbiamo ricevuto l’unzione dal Santo”, ci assicura san Giovanni (1 Gv 2,20). Cioè, grazie al battesimo e alla cresima – e, per alcuni, l’ordinazione presbiterale o episcopale – noi possediamo già l’unzione. Anzi, secondo la dottrina cattolica, essa ha impresso nella nostra anima un carattere indelebile, come un marchio o un sigillo: “È Dio stesso –scrive l’Apostolo – che ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori” (2 Cor 1, 21-22).
Questa unzione però è come un unguento profumato racchiuso in un vaso: rimane inerte e non sprigiona alcun profumo se non si rompe e non si apre il vaso. Così avvenne del vasetto di alabastro rotto dalla donna del vangelo, il cui profumo riempì tutta la casa (Mc 14,3). Ecco dove si inserisce la parte nostra circa l’unzione. Essa non dipende da noi, ma dipende da noi rimuovere gli ostacoli che ne impediscono l’irradiazione. Non è difficile capire cosa significa per noi rompere il vaso di alabastro. Il vaso è la nostra umanità, il nostro io, talvolta il nostro arido intellettualismo. Romperlo, significa mettersi in stato di resa a Dio e di resistenza al mondo.
Non tutto, per nostra fortuna, è affidato allo sforzo ascetico. Molto può, in questo caso, la fede, la preghiera, l’umile implorazione. Chiedere dunque l’unzione prima di accingerci a una predicazione o un’azione importante a servizio del Regno. Mentre ci prepariamo alla lettura del vangelo e all’omelia, la liturgia ci fa chiedere al Signore di purificare il nostro cuore e le nostra labbra per poter annunciare degnamente il vangelo. Perché non dire qualche volta (o almeno pensare dentro di sé): “Ungi il mio cuore e la mia mente, Dio onnipotente, perché possa proclamare con la dolcezza e la potenza dello Spirito la tua parola”?
L’unzione non è necessaria solo ai predicatori per proclamare efficacemente la parola, lo è anche agli ascoltatori per accoglierla. L’evangelista Giovanni scriveva alla sua comunità: “Voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza… L’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca” (1 Gv 2, 20.27). Non che sia inutile ogni ammaestramento esterno, ma esso, da solo, serve a ben poco. “E’ il maestro interiore –commenta sant’Agostino – colui che veramente istruisce; è Cristo con la sua ispirazione che insegna. Quando manca la sua unzione, le parole esterne fanno soltanto un inutile strepito” .
Speriamo che anche oggi Cristo ci abbia istruito con la sua ispirazione interiore e il mio parlare non sia stato “un inutile strepito”.

1.Tommaso d’Aquino, S.Th., III, q.60, a. 2,2.
2.Agostino, Sermo 112 (PL 38, 643).
3.Paolo VI, Mysterium fidei (AAS 57, 1965, p. 753 ss).
4.Giustino, I Apologia, 67, 3-4
5.Dei Verbum, 12.
6.Agostino, Commento alla Prima lettera di Giovanni, 3, 13.

giovedì 10 marzo 2022

TANTI AUGURI, PRESIDENTE!!

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 10 MARZO 2022, GIOVEDI DELLA PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMA.

LA PREGHIERA DI INTERCESSIONE DELLA REGINA ESTER LETTURA E COMMENTO DI ALCUNI TESTI DI KIKO ARGUELLO SULLA PREGHIERA: - Condizione per la preghiera - COME si prega -Ira.. - Chiamata, Elezione, Obbedienza (Tratto da: Kiko Arguello e Carmen Hernandez, Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale, cfr. Statuto, art.2, 2°, Vol. V, "Iniziazione alla Preghiera"). ATTUALIZZAZIONI: LA ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA UNGHERESE

mercoledì 9 marzo 2022

UN CUORE AFFRANTO E UMILIATO...

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 9 MARZO 2022, MERCOLEDI DELLA PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMA.

IL SEGNO DI GIONA

NOTE SULLA DOTTRINA DELLE INDULGENZE

lunedì 7 marzo 2022

GESU' NEL DESERTO. E TU?

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DEL GIORNO

LE TENTAZIONI DI CRISTO, QUELLE DEL POPOLO DI ISRAELE E LE NOSTRE.

mercoledì 2 marzo 2022

martedì 1 marzo 2022

A CAUSA MIA (ANNUNCIO DI QUARESIMA 2022 - SECONDA PARTE)

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DEL GIORNO.

"NOI, CHE ABBIAMO LASCIATO OGNI COSA...." ATTUALIZZAZIONI