mercoledì 1 aprile 2015

Chi è il presbitero?



Il cardinale prefetto della Congregazione per il cleroBeniamo Stella ha tenuto nei giorni scorsi a Firenze una conferenza sulla spiritualità presbiterale secondo Papa Francesco. Ne pubblichiamo alcuni stralci. Il porporato interverrà anche alla trasmissione su Giovanni Paolo I, che andrà in onda su Rai storia, martedì 7 aprile, alle ore 21.30, nella quale sottolineerà che Albino Luciani «aveva veramente l’idea che nel corpo della Chiesa sono i pastori e quindi i vescovi e i sacerdoti il nerbo, la spina dorsale».


(Beniamino Stella) Alla domanda «chi è il presbitero?» Papa Francesco risponde innanzitutto dicendo che è e rimane sempre un discepolo del Signore. Si tratta di un’affermazione solo apparentemente semplice, che porta con sé conseguenze importanti per la vita dei presbiteri e per il loro ministero. Un presbitero che si sente discepolo infatti non smetterà di prendersi cura del suo rapporto personale con l’unico Maestro, non si sentirà “arrivato”, con al massimo il compito di “mantenere” il livello spirituale raggiunto.
La spiritualità presbiterale comporta anche un tratto caratteristico, assai presente nelle riflessioni e nelle esortazioni di Papa Francesco: l’essere pastore, l’immagine che maggiormente caratterizza i presbiteri, anche nella comprensione della gente.
Il presbitero-pastore è chiamato in primo luogo a essere guida per il suo popolo, a farsi carico della responsabilità di condurre al Signore coloro che, attraverso la Chiesa, il Signore stesso gli ha affidato; egli si fa carico del cammino dei suoi fedeli, non con la fredda logica del “manager” che cura gli affari della sua “azienda”, ma con la premura del padre che riconduce a casa i suoi figli. Non si tratta quindi di un “potere”, da esercitare con autorità, o anche con asprezza, ma della custodia amorevole di quel tesoro di Dio, che è ogni uomo.
Il presbitero-pastore è capace di commuoversi, di partecipare interiormente della vita dei suoi fedeli, non limitandosi a porsi come “benefattore”, che realizza un’opera buona in maniera asettica, impersonale. Quando un sacerdote si immedesima con quel che il suo prossimo vive in quel momento, gli diventa possibile servirlo nella maniera più efficace, annunciandogli il volto di Cristo di cui ha più bisogno in una relazione veramente umana. 
La terza dimensione caratterizzante della spiritualità presbiterale secondo Papa Francesco, a mio modo di vedere, può essere considerata quella “profetica”. Ho cercato sin qui di sintetizzare la visione della spiritualità presbiterale secondo Papa Francesco, cogliendo alcuni dei numerosi spunti che egli continuamente propone, con la sua predicazione, i suoi discorsi e, soprattutto, con il suo esempio personale, che è il principale “testo” da consultare per chi vuole comprendere la sua visione del ministero ordinato. Tale spiritualità presbiterale è una proposta “in positivo”, costruttiva, che mira a liberare i presbiteri dal rischio della corruzione e dell’imborghesimento, perché il popolo di Dio abbia sempre pastori secondo il cuore di Gesù. Il Santo Padre infatti continua a mostrare come i sacerdoti siano un dono che Dio fa alla sua Chiesa e alla società in mezzo alla quale operano come pastori. Da qui sorgono alcune esigenze, necessarie per far sì che questo dono non vada sprecato, ma, curato con gioiosa perseveranza, possa portare appieno i suoi frutti.
In sintesi allora, è necessario che ogni sacerdote continui a sentirsi discepolo in cammino per tutta la vita, a volte bisognoso di riscoprire e rafforzare il suo rapporto col Signore, e, anche, di lasciarsi “guarire”; non a caso Papa Francesco nel suo discorso alla plenaria della Congregazione per il clero (3 ottobre 2014), ha ricordato che nel cammino di discepoli «a volte procediamo spediti, altre volte il nostro passo è incerto, ci fermiamo e possiamo anche cadere, ma sempre restando in cammino». 
Nel rapporto con il Signore, il discepolo, chiamato a essere pastore e inviato a evangelizzare con spirito profetico, viene preservato dal diventare un “funzionario” del sacro, un “mestierante” della pastorale, magari preparato nella gestione di eventi e iniziative, ma spiritualmente impoverito, distante dalla gente e non più capace di contagiare con la gioia del Vangelo. Obbediente a Dio attraverso la Chiesa, esigente innanzitutto con sé stesso, per custodire la vocazione e il ministero, strumento della tenera vicinanza di Dio agli uomini, consapevole di essere sempre allo stesso tempo pastore e discepolo.
L'Osservatore Romano