mercoledì 1 aprile 2015

Guardando all’albero della vita



Nel tempo pasquale una pedagogia di maturazione cristiana. 

Il trionfo della Croce. Pubblichiamo, quasi integralmente, l’intervento che il cardinale prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi ha tenuto ieri, lunedì 30, a Roma, in occasione della presentazione del libro La Croce è Vita. Meditazioni sulla Passione e sulla Pasqua di Gesù (Milano, Edizioni Ares, 2015, pagine 143, euro 14), scritto dal cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller.

(Angelo Amato) È appropriata e teologicamente opportuna l’immagine di copertina di questo bel volume del cardinale Müller intitolato La Croce è Vita. Si tratta, infatti, del mosaico absidale risalente al secolo XII presente nella basilica di San Clemente a Roma. Riproduce la Croce come albero della vita.
È il trionfo della Croce, mistero centrale della fede cristiana. La croce fiorisce su un verde e lussureggiante cespo di acanto, dal quale si dipartono numerosissimi girari che si estendono in tutte le direzioni, con i loro fiori e i loro frutti.
Spiega a tale proposito il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, che pone questa immagine come commento ideale al Credo: «La vitalità di questa pianta è data dalla croce di Gesù, il cui sacrificio costituisce la ricreazione dell’umanità e del cosmo. Gesù è il nuovo Adamo che, con il mistero della sua passione e morte, fa rifiorire l’umanità, riconciliandola col Padre».
Sui bracci della croce sono disposte dodici bianche colombe, che rappresentano i dodici apostoli, anch’essi partecipi della croce, anch’essi martiri come Gesù, anch’essi testimoni del Vangelo fino al dono supremo della vita. Ai piedi della croce, in atteggiamento raccolto di preghiera, c’è Maria, la madre, l’Addolorata: Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa. Nel prefazio della messa della Presentazione del Signore viene ben chiarita la presenza e l’associazione di Maria alla croce di Gesù con queste parole: «Un solo amore associa il Figlio alla Madre, un solo dolore li congiunge, una sola volontà li sospinge: piacere a te Padre, unico e sommo bene».
Il mosaico di San Clemente menziona anche il Padre. Infatti in alto, sulla croce, si vede la mano del Padre, che offre una corona di gloria al Figlio obbediente, vittorioso sulla morte con il suo mistero pasquale. La nascita di Gesù, il suo apostolato terreno e la sua morte in croce fanno parte del disegno redentivo del Padre, condiviso pienamente dal Figlio nella carità dello Spirito Santo.
Nel mosaico, oltre a Maria, ai piedi della croce, c’è anche Giovanni, il discepolo prediletto. La loro presenza è fondata sul quarto Vangelo, in cui si legge: «Gesù, vedendo la madre e lì accanto il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da questo momento il discepolo la prese nella sua casa» (Giovanni, 19, 26-27).
Notiamo ancora che alla base di questa rigogliosa pianta di acanto c’è un piccolo cervo, che combatte il serpente del male. Inoltre dalla pianta che sostiene la croce scaturisce una sorgente di acqua zampillante, che dà origine a quattro ruscelli, simbolo dei quattro vangeli, ai quali si dissetano i fedeli, come fanno i cervi alle sorgenti di acqua viva. In conclusione, nel mosaico clementino la Chiesa viene rappresentata come un giardino fiorito vivificato dalla croce di Gesù, vero albero della vita.
Imitando il loro divino Maestro, tutti i santi hanno abbracciato con amore il legno della croce per attingervi forza e fedeltà nella sequela di Gesù. Alcuni, come san Francesco d’Assisi o san Pio da Pietrelcina, hanno addirittura vissuto sulla loro pelle la passione di Cristo, visibile concretamente nelle stimmate e, talvolta, anche nella transverberazione del cuore.
La croce è la vera scuola di ogni santità. Non c’è pedagogia cristiana senza l’esperienza e la partecipazione al dolore, che fa parte dell’essere umano ferito dal peccato, che è la vera fonte della sofferenza e della morte. Commenta a ragione il cardinale Müller nella meditazione sul venerdì santo: «L’amore di Dio per l’uomo non prova disgusto per la sofferenza umana, fatta di sangue e lacrime, dolore e paure, di handicap e deturpazioni riversati su tante sue creature».
Gesù, infatti, è l’uomo dei dolori che ben conosce il patire (cfr. Isaia, 53, 3). Per salvarci Egli si è caricato dei nostri peccati, sottomettendosi alla passione e perfino alla morte, egli che era la vita, anzi la fonte di ogni vita: «Nonostante egli sia, al contrario di noi, senza peccati personali e perfettamente santo, si è addossato le nostre colpe, come anche la conseguenza del peccato — la morte — che è espressione ed esito del peccato d’Adamo e dei nostri peccati personali, delle nostre malvagità».
Guardando al Crocifisso i santi hanno abbracciato le sofferenze, i dolori, le umiliazioni, le persecuzioni. Lo hanno fatto con fede, con fortezza, confidando nella parola di Gesù che dice: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Matteo, 5, 4. 10-12).
Si giunge alla gioia della Pasqua solo dopo il Calvario. La via crucis è il passaggio obbligato alla via lucis. In un suo discorso san Gregorio Nazianzeno così commenta: «Con le nostre sofferenze imitiamo le sofferenze, cioè la passione di Cristo. Con il nostro sangue onoriamo il sangue di Cristo. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono infatti i suoi chiodi, benché duri. Se sei Simone di Cirene prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito, fai come il buon ladrone e riconosci onestamente Dio, che ti aspettava alla prova. Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l’espiazione del mondo. Se sei Nicodemo, il notturno adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito, cioè circondalo del tuo culto e della tua adorazione. E se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime. Fa’ di vedere per prima la pietra rovesciata, vai incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù. Ecco che cosa significa rendersi partecipi della Pasqua di Cristo».
Ed eccoci al grande mistero della Pasqua. Dice il cardinal Müller: «Il messaggio della risurrezione di Gesù dai morti e della conseguente risurrezione di tutti gli uomini dalla morte, ha sempre riscontrato obiezioni da parte di filosofi idealisti e materialisti. Gli uni sostengono che, in verità, l’uomo sia soltanto spirito confinato in questo mondo materiale e l’anima dovrebbe quindi essere liberata dalla carne corruttibile, che suscita soltanto ribrezzo, quando si pensa a tutti gli uomini storpi o vecchi, così lontani dall’ideale della bellezza. Dall’altra parte, la voce oggi dominante dei materialisti sostiene che l’uomo sia soltanto un organismo complesso e la cosiddetta anima sia nient’altro che un processo che serve per guidare questo organismo. Perciò — così affermano — il senso della vita è il suo godimento fisico».
In realtà nell’uomo c’è la dimensione materiale e quella spirituale. Se il corpo si corrompe alla morte, l’anima spirituale continua a vivere nell’eternità. Ma, fondandosi sulla risurrezione di Gesù, i cristiani credono nella risurrezione dei corpi. Sorella morte corporale, come la chiama san Francesco, non è l’ultima parola della nostra umanità, dal momento che anche il corpo anela alla vita eterna. Il Dio cristiano, infatti, «non è Dio dei morti, ma dei viventi» (Matteo, 22, 34). Anche nel tempo pasquale, che per i suoi cinquanta giorni è il tempo forte più ampio dei quaranta giorni della quaresima, la Chiesa ci offre una sua pedagogia di maturazione cristiana. Non solo in quaresima c’è l’invito alla conversione, ma anche nei cinquanta giorni di Pasqua. Nel tempo pasquale, infatti, le letture bibliche ci offrono preziose indicazioni di un itinerario di maturazione cristiana. A Pasqua, infatti, e solo a Pasqua, gli apostoli sperimentano la loro vera conversione, senza ripensamenti e dubbi, come accadeva prima di Pasqua.
L'Osservatore Romano