giovedì 16 aprile 2015

I media e la Chiesa: reticenza o penne al veleno?




«Our Sunday Visitor» sul rapporto tra media e Chiesa cattolica.  
 
(Gabriele Nicolò) Non è mai stato facile il rapporto tra la Chiesa cattolica e i mezzi di comunicazione. Del resto forti tensioni tra le due parti si registrarono già in occasione del concilio Vaticano primo, la cui apertura fu indetta da Pio IX nel 1868. E anche ai giorni nostri la situazione non sembra essere mutata.
E se al tema è stato dedicato, nel novembre del 2011, un convegno in Vaticano — divenuto poi un libro, Il filo interrotto. Le difficili relazioni fra il Vaticano e la stampa internazionale, (Milano, Mondadori, 2012) — sul perché di questa costante si è interrogato, nei giorni scorsi, il settimanale statunitense «Our Sunday Visitor». È l’ulteriore conferma della sempre vigile attenzione del mondo statunitense verso il ruolo e la funzione dei media. Basti pensare al lungo servizio degli arcivescovi presidenti dell’organismo che si occupa delle comunicazioni sociali vaticane — Martin John O’Connor, Edward Louis Heston e John Patrick Foley — tra il 1948 e il 2007.
In un lungo articolo di Russell Shaw si sottolinea anzitutto come sia difficile portare avanti e concludere con successo — evitando così di «essere distrutti» — una controversia con un «grande giornale». Di ciò era ben consapevole Abraham Lincoln, lui stesso non molto amato dai media. Soleva dire che nel caso di un contenzioso, non fa differenza essere un semplice cittadino o presidente degli Stati Uniti: si può avere la meglio su un grande giornale solo se si possiede un giornale altrettanto grande, «con una forte tiratura nello stesso quartiere».
La caustica osservazione di Lincoln, scrive il settimanale, si è dimostrata vera nel tempo per tante personalità politiche di spicco: e lo stesso vale anche per eminenti figure della Chiesa cattolica. Russell Shaw evidenzia che negli ultimi decenni nessuna istituzione religiosa, negli Stati Uniti, è stata posta al vaglio di un prolungato e inquisitorio esame come la Chiesa. In taluni casi tale scrutinio è stato eccessivo, ma in numerosi altri «benefico», sebbene «anche doloroso» per le personalità ecclesiastiche. Basti pensare quando il giornalismo investigativo ha contribuito a far saltare via il coperchio allo scandalo, che si cercava di occultare, degli abusi sessuali. E sebbene, rileva il settimanale, finora Papa Francesco e i media stiano vivendo una sorta di luna di miele, «sospetto e ostilità» sembrano essere sempre in agguato per minare i rapporti tra la Chiesa e i mezzi di informazione. Da un lato, scrive Shaw, gli uomini di Chiesa accusano gli operatori dell’informazione di alimentare il sensazionalismo e di nutrire pregiudizi. Dall’altro, i giornalisti sostengono che la Chiesa sia «reticente» e «autoritaria» nel fornire notizie su di sé.
Nel citare alcune storiche controversie fra le due parti, il settimanale ricorda anche che nel 1963 Giovanni XXIII, nell’enciclica Pacem in terris dichiarò che ogni persona ha il diritto di investigare la verità e, entro i limiti dell’ordine morale e del bene comune, gode del diritto di parola e di stampa, come pure di quello di essere accuratamente informata riguardo agli avvenimenti pubblici. Affermazioni queste che erano state precedute dall’atteggiamento di apertura di Pio XII nei riguardi dei media, di cui aveva elogiato il contributo a beneficio della società.
In questi ultimi due anni, evidenzia Shaw, il «successo» di Papa Francesco con i media ha contribuito tanto a migliorare l’immagine della Chiesa. Di Bergoglio, definito a straight shooter (uno che centra il bersaglio), i giornalisti apprezzano in particolare la capacità di parlare in modo franco e diretto, nonché l’attenzione da lui riservata al ruolo del mezzi di comunicazione, tanto da nominare un’apposita commissione per i media vaticani, la cui mappa, con le rispettive competenze, viene illustrata nel contributo di Greg Erlandson. In esso si sottolinea il ruolo svolto dall’«Osservatore Romano» i cui articoli stanno riscuotendo un sempre maggiore interesse. Il giornale — scrive Erlandson — è diventato «meno italiano-centrico e più internazionale». Erlandson, che è uno dei membri della commissione per i media vaticani, rileva poi che spesso non si presta la dovuta attenzione alla significativa e lunga presenza di tali media nell’ampia varietà dei mezzi di comunicazione. Al riguardo esprime il proprio apprezzamento per la vastità e la profondità degli sforzi compiuti dai media vaticani, i quali sono ben consapevoli del loro fondamentale ruolo: quello di diffondere nel mondo il messaggio del Papa.
L'Osservatore Romano