sabato 18 aprile 2015

Teorie del gender: ecco cosa sono



Un magma di teorie che saldano femminismo radicale e lobby gayIl radicalismo femminista e l’attivismo gay americano sono alla base di alcune delle teorie che oggi, per comodità, definiamo gender. La «madrina» di questa neoantropologia senza umanesimo e senza etica è Judith Butler che, nel 1990, condensa il peggio dell’ideologia del genere in un libro – «Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità» – destinato a diventare il testo di riferimento di tutti i seguaci. Per l’autrice americana il nodo di tutti i mali della storia è l’eterosessualità, con quelli che lei definisce gli stereotipi per eccellenza, il maschile e il femminile. «Falsità» – sostiene lei – colpevoli di discriminare tutti gli altri generi. Quelli che, nelle farneticazioni di Butler, non entrano nella forzata relazione maschio-femmina. Perché, prosegue il ragionamento, da questa discriminazione discendono tutti gli altri poteri negativi, dalla religione alla famiglia, dalla politica alla cultura. Incluso quel potere che da sempre tiene imprigionata la donna, cioè la «costrizione riproduttiva». Come fare per risolvere tutto e aiutare il mondo a vivere meglio? Semplice, cancellare il maschile e il femminile, aprire la strada a tutti i possibili «generi» alternativi. Non conta la natura, la biologia, il dato di realtà. Ciò che conta è quello che ciascuno si sente di essere in quel momento, secondo un codice tanto fluttuante quanto paradossale. Sembrano tesi culturalmente inconsistenti. Ma oggi stiamo vedendo quanti germi malefici stanno diffondendo.

Lgbtq... e cos'altro ancora? Il tiste paradosso dei 56 "generi"
La strada aperta dalla "vulgata" del gender scritta da Judith Butler (vedi box qui a sinistra) ha avuto il merito – si fa per dire – di scatenare fantasie malsane. In particolare quell’allungamento all’infinito dei «generi» che, non essendo più obbligati a seguire l’opprimente logica della fisiologia, può scatenarsi in un elenco infinito di variazioni. Maschile e femminile? Tutto superato. Ma anche il «tradizionale» acronimo Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) non basta più. Qualche anno fa è spuntata una "q" che sta per "queer", ad indicare un orientamento sessuale che si ritiene libero di variare direzione a suo piacimento e ci tiene a ribadire la sua "indefinibilità". E quindi siamo arrivati alla nuova dizione Lgbtq. Basta così? Niente affatto. Pian piano sono spuntante una "I" (intersessuali, cioè a metà strada) e poi una "A" (asessuali, quelli che proprio non ne vogliono sapere). E quindi l’acronimo è diventato Lgbtqia. Ora, gli specialisti del settore, suggeriscono un più esauriente Fabglitter (Feticisti, asessuali, bisessuali, gay, lesbiche, intersessuali, rivoluzione del genere, transessuali). Evidente che di questo passo l’acronimo si può allungare all’infinito. E ognuno può portare il suo folle contributo al disordine. L’illuminato governo australiano è già arrivato a comprendere 23 generi. Meglio ancora ha fatto, com’è noto, Facebook Usa che permette una scelta tra 56 diverse opzioni. Una tragicommedia. Ma non basterà ancora. 

La pretesa di dettare legge su educazione, società, politica
Nell’arcipelago gender c’è ormai di tutto. Ma, giusto per fare un po’ di ordine, possiamo dividere questo strano, complesso e pericoloso mondo in due versanti. Quello politico, dove le teorie del gender funzionano ormai come ideologia politica, e quello dell’elaborazione teorica. L’ambito politico si nutre di azioni rivendicative, di infiltrazioni sociali, mediatiche e amministrative. L’elaborazione teorica – sostenuto dai seguaci di Judith Butler – propone discorsi sulla sessualità, nuove esperienze, riflessioni dotte sulla necessità di abbattere la dittatura del maschile e del femminile. Secondo il professor Mario Binasco, docente all’Istituto Giovanni Paolo II, che abbiamo intervistato sul numero di febbraio della nostra rivista familiare "Noi genitori & figli", la diffusione delle teorie del gender rispondono «ad una precisa idea di consumo mascherato da progetto ideologico». Dietro l’espansione di queste idee confuse ci sarebbe insomma un preciso disegno pilotato da alcuni poteri forti, in particolare pubblicità e marketing. Nessuno spontaneismo, ma una strategia oculata. Ecco perché il gender è riuscito ad incidere così profondamente sulle scelte politiche (proposta di legge Scalfarotto); sull’educazione (strategia nazionale); sugli atti amministrativi (via i termini di "madre" e di "padre"); sul modo di pensare (l’omofobia come strumento di repressione nei confronti di chi sostiene un’antropologia diversa).

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Gender, quella sottile «censura»
di Marina Corradi

A volte, sui giornali succedono cose singolari. Ci sono notizie che si gonfiano e dilagano, benché non così significative, e altre che spariscono, si inabissano, così che chi legge può non accorgersi che qualcosa sia accaduto. Ieri è successo qualcosa di simile. Il Papa, si sa, è molto amato, e normalmente i quotidiani riportano con grande risalto le sue parole e le sue battute. Però, non sempre. L’altra mattina Francesco, in Udienza, era partito dalla Genesi, da quel passo che recita: «Maschio e femmina Dio li creò». E dopo avere sottolineato come uomo e donna, insieme, siano immagine di Dio, e come questo dualismo non sia per la contrapposizione o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, aveva detto: «Io mi domando se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione».

Detto dal Papa, una cosa non da poco. La teoria del gender, lo sappiamo, afferma che oltre all’identità sessuale biologica esiste una identità influenzata da cultura e ambiente. Il corpo di uomo o donna con cui nasciamo è dunque un fattore secondario; ognuno deve scegliere cosa si sente, cosa vuol essere, come vuole amare. In nome del gender negli asili del nord Europa si vuole che i bambini "scelgano" se essere maschi o femmine. E anche da noi, comincia a sembrare poco "corretto" vestire di rosa una bambina, o regalare solo palloni e automobiline a un maschio. 

Ma il Papa si è domandato se questa idea del gender non sia espressione di un’incapacità a stare davanti a ciò che siamo, a come siamo stati creati. E ieri, queste sue particolari parole erano quasi sparite dai giornali. Sui due più diffusi quotidiani nazionali la notizia era, in uno, relegata a nove righe a pagina 24, e sull’altro proprio non c’era. Distrazione? No, perché mercoledì, a poche ore dall’Udienza, i siti di quegli stessi quotidiani riportavano con rilievo la frase sul gender. Che, però, quasi in tutti, nell’edizione cartacea si è dissolta, o è finita in taglio basso. Solo Il Fatto, giornale sveglio e a suo modo fuori dal coro, le ha dedicato in commento in cui, dapprima, si dà ragione al Papa, e poi però si mette in guardia dalla strumentalizzazione (!) che delle sue parole potrebbero fare certi cattolici, che vorrebbero risospingere le donne a casa e dietro ai fornelli. (Certo, i cattolici ciascuno se li immagina come vuole).

Per il resto quella frase, il giorno dopo, in pagina non c’era. Forse perché non abbastanza cliccata sul web, e quindi giudicata non "appetitosa"? Non molto credibile, ma possibile, anche se questo vorrebbe dire che certi media ci raccontano solo ciò che vogliamo sentire. Oppure, quella riflessione di Francesco si è come avventurata su un terreno minato. 

Certo, forse molti non sanno cosa sia il gender e non se ne interessano; e però quella che è stata definita "l’ultima ideologia" è, nella quotidianità, una spinta forse non da tutti riconoscibile, ma forte. Forte, a livello di istituzioni e agenzie internazionali, è la tensione a affermare che uomo o donna non si nasce, ma si diventa, ammaestrati da educazione e ambiente; e chiara è l’ambizione di "liberarci" dal dato biologico, da quel «maschio e femmina Dio li creò». Sta di fatto che, questa volta, la parola di un Papa molto divulgato è scomparsa: quasi come i critici tacciono, di una "stecca" di un tenore universalmente apprezzato.

Quel «maschio e femmina...» della Genesi, va contro la corrente. Imbarazza. Anche se il Papa ne trae spunto per una riflessione su questa nostra originaria differenza, e sulla sua bellezza e ricchezza, e fecondità, e torna sul "genio della donna" di cui parlò Giovanni Paolo II. Germi di un dialogo che ci riguarda tutti, e ci interroga su ciò che siamo. Ma, niente; anche solo suggerire che la teoria del gender sia rassegnazione, o passo indietro, non piace. Nove righe a pagina 24, o nessuna. Forse, davvero, il "gender" è l’ultima ideologia. Che non ammette dubbi o note stonate – cieca, nella sua immaginaria verità.
Avvenire