sabato 9 maggio 2015

Corsi obbligatori di pensiero gender


Cacciate chi parla di famiglia, è omofobo
di Luigi Santambrogio

Cancellate a colpi di spugnette la grande devastazione black blochista anti expo e apparso in edizione domenicale e straordinaria alla testa dei milanesi col cuore e il secchio del sapone in mano, il sindaco Giuliano Pisapia è tornato alle sue occupazioni abituali. Cioè a menar il can per l’aia sui reali problemi della città (tanto lui a rifare il sindaco non ci pensa più) e a propalare balle ideologiche su fantomatici pericoli omofobi. Così, un convegno dal titolo “La famiglia, il fondamento della società”, organizzato per sabato 23 maggio dal gruppo consiliare della Lega Nord, diventa per il sindaco arancione nuovo pretesto per gridare al lupo fascista e sessista. Un allarme che viene direttamente dall’ufficio del sindaco, dal capo di gabinetto Maurizio Baruffi che si affretta a comunicare alla fida Repubblica, quotidiano portavoce della sinistra gender chic e gay friendly, il divieto ai leghisti di utilizzare la sala Alessi, una delle più prestigiose di Palazzo Marino. Morivo? I relatori al convegno sono molto schierati e, naturalmente, non la pensano come il capo Pisapia. Questo basta e avanza per rifiutare l’ospitalità a un libero dibattito, come democrazia rossa la comanda.  
Roba da Minculpop e da Comintern stalinista, ma oggi la dittatura non ha più un colore solo: èarcobaleno come la bandiera dei movimenti gay e Lgbt. Relatori poco affidabili? Panzane politiche da baraccone comunale. Al convegno, infatti, sono iscritti a parlare illustri medici e giuristi, come Massino Gandolfini, primario neurochirurgo, membro della Società italiana di Bioetica, vicepresidente di Scienza & Vita e presidente dei medici cattolici lombardi; Gianfranco Amato, poi presidente dei Giuristi per la vita e nostro collaboratore e come moderatore il giornalista Marco Invernizzi, esponente di Alleanza cattolica. Insomma, gente perbene e rispettabile, non picchiatori di gay o black bloc col rolex (r minuscola) taroccato. Ma soprattutto professori che in materia di gender e diritto familiare ne sanno qualcosa, certamente di più dell’ex spin doctor Baruffi, oggi gran consulente a cachet da140mila euri l’anno. E pensare che uno come Basilio Rizzo, presidente del Consiglio comunale e una vita nella sinistra radicale e antagonista, aveva già dato il suo via libera al convegno, non trovandoci nulla di omofobo. Invece, contrordine compagni: a Pisapia parole come famiglia e libertà fan venire subito l’orticaria. 
Sentite le motivazioni del nyet del rais di Palazzo Marino, così come ce li rivela Repubblica: Gandolfini, ad esempio, è colpevole per aver dichiarato in una conferenza che: «L'incidenza suicidaria nei Paesi gay friendly rimane molto alta perché in fondo a tutto questo ci sta un disagio identitario. Nella misura in cui una persona si sente disagiata verso se stesso, non è poi così facile vivere». Esperienze vere e tragiche, ma che rischiano di intristire gli allegroni compagni del bigoncio lesbo-gay.  L’avvocato Amato, invece, è stato beccato a dire che: «Dichiaro pubblicamente e con orgoglio di essere un omofobo. Mandino nel mio studio gli agenti ad arrestarmi, li aspetto». E ancora: «Se utilizziamo solo il sentimento per definire il matrimonio, potremmo arrivare al paradosso di dire che il matrimonio è'un'unione tra due uomini e tre donne, o al limite tra un uomo e un cane». Chiaro che a ognuna di quelle frasi manca un pezzo o una premessa, ma tant’è: i tirapiedi del sindaco mica sono pagati per fare il gioco pulito: devono solo demolire l’avversario e disegnarlo come l’orco cattivo e omofobo.
L’ultima parola adesso spetta alla presidenza del Consiglio comunale, ma il segnale è forte perchéviene dai piani alti di Palazzo Marino. Siamo al replay burletta di quel che successe qualche mese fa in Regione (un analogo convegno sulla famiglia sfigurato a un assise di pazzi e ultras con la fissa di guarire i gay) ad opera di un sindaco in fase terminale e che sogna di lasciare la scena in una standig ovation popolare. È quel che passa il convento di Sel, la sinistra con l’orecchino nel pugno come insegna il Vendolaway of life. E fa uno strano effetto (o senso) sentire l’arancione Giuliano Pisapia, un tempo Perry Mason d’ufficio dei centri sociali, poi sindaco improvvisato e improvviso, ergersi crociato contro l’onda omofoba. Con il suo look da rispettabile senatore repubblicano (camicia bianca e pantaloni blu), il sellino Giuliano, che è diventato borgomastro grazie ai voti dei salotti rosso-chic, da tempo è sceso dalle barricate per cause più griffate e meno scomode. Oggi squaderna registri farlocchi per unioni gay altrettanto farlocche e pretende dalla Regione quattrini per fabbricare figli in provetta a beneficio del club ristretto dei dottori Frankenstein. Un anno fa, ospitò nei locali municipali il primo corso comunale di sado-masochismo: lezioni teoriche ed esercizi dal vivo per insegnare al gentile pubblico come si pratica la dominazione sessuale. Più che i gay andrebbero curati loro, nuovi untorelli del pensiero unico e kapò comunali della sinistra gender. 

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Se il Comune obbliga tutti a pensare gender
di Stefano Fontana

Cosa pensereste se un Comune obbligasse i propri dipendenti ed operatori a frequentare in orario di lavoro un corso sull’omofobia e la transfobia organizzato insieme a sigle che di questo problema danno un’unica versione, chiamando relatori assolutamente di parte e finanziando la cosa con i soldi pubblici, ossia di tutti, anche di coloro che non la pensano in quel modo?  Pensereste forse che siamo in un regime politico se non dittatoriale almeno fortemente autoritario che con la democrazia non ha niente a che fare e che quel Comune esercita il proprio potere in modo arbitrario, imponendo ai propri dipendenti non solo un comportamento ma anche una mentalità, dettando valori e disvalori, assumendo in sé l’etica del bene e del male, definendo addirittura cosa sia l’identità sessuale, quali siano le identità sessuate, come intendere il proprio corpo, cosa sia la famiglia.
Ebbene tutto questo è realtà, quel Comune è il Comune di Trieste, che l’11 maggio 2015, dalle 9 alle 13 precetta il proprio personale nell’Auditorium del Palazzo Revoltella – non sono ammesse assenze ingiustificate, firma all’ingresso e all’uscita – perché si lascino educare dall’ideologia del regime. La “Giornata formativa” è organizzata dal Comune insieme all’Arcigay e all’Arcigay Arcobaleno, i due relatori sono di sicura tendenza e non ci saranno sorprese su quanto diranno. Dopo gli indirizzi di saluto del vicesindaco Fabiana Martini, la parola passerà a Margherita Bottino, psicoterapeuta e consigliera dell’Ordine degli Psicologi, ossia dell’ordine che ha fatto propria l’ideologia omosessualista e Lgbt ergendosi a censore di qualunque psicologo che non si allinei alla nuova pseudoscienza. Quindi parlerà Patrizia Fiore, socia dell’avvocatura per i diritti Lgbt, ed anche in questo caso il risultato è assicurato.
Uno si chiederà: ma il Comune di Trieste è di tutti o solo di alcuni? Solo di alcuni, evidentemente. Alla fine è previsto un piccolo spazio per la discussione, ma piccolo piccolo in modo che gli obiettivi da Grande Fratello non vengano messi in pericolo. La cosa è inaudita e pericolosa. Il cerchio si stringe. Nelle scuole comunali di Trieste si impone a insaputa dei genitori un gioco ispirato alla teoria del gender, i corsi nelle scuole vengono appaltati ad associazioni che appartengono tutte alla medesima galassia e fanno capo ai soliti centri di potere, gli ordini professionali (come quello dei giornalisti e ora quello degli psicologi) si allineano e danno manforte, la Rete della pubblica amministrazione per la lotta alla discriminazione contro l’orientamento sessuale (Re.a.dy) scatta in automatico, le associazioni omosessualiste – solo loro – sono interlocutori fissi del Comune, i funzionari del Comune operano per inerzia quando non in piena connivenza, i soldi mancano per tutto ma per queste cose si trovano sempre, sul piano nazionale ci sono le Linee guida del ministero della Pari Opportunità e su quello internazionale le Linee Guida del’Oms … ed ora viene organizzata anche la “Giornata di formazione” obbligatoria – ripetiamo: obbligatoria – per i dipendenti e gli operatori. Siamo davanti ad un “sistema” oppressivo e tentacolare.
Ma l’opposizione politica a Trieste esiste ancora? Qualche consigliere comunale con gli attributi esiste ancora? I sindacati del pubblico impiego fanno parte anche loro della nuova congrega o pensano di protestare? I delegati sindacali interni al Comune accettano che ai lavoratori sia riservato questo trattamento? Il mondo dell’associazionismo triestino tace? Tutti coloro che ogni anno alle celebrazioni del 25 aprile o del 10 febbraio parlano di libertà, davanti a questi soprusi non sono più interessati alla libertà?
É chiaro che ormai per i dipendenti del Comune di Trieste si pone il problema dell’obiezione dicoscienza. Si pone già ora, davanti a questa “Giornata di formazione” alla quale il regime li obbliga a partecipare. Si porrà sempre di più in futuro, nel loro lavoro pratico, soprattutto nel campo educativo e non solo, ma si pone già ora: partecipando alla Giornata avallano un sistema moralmente inaccettabile.   Come si vede i giochi si fanno duri. L’ideologia al potere vuole entrare nelle menti dei bambini che frequentano la scuola pubblica e nella testa dei lavoratori della pubblica amministrazione. Vogliono che tutti la pensiamo allo stesso modo, ossia come loro. Bisogna prepararsi a una nuova Resistenza.