martedì 2 giugno 2015

20 giugno in piazza a Roma a difesa della famiglia

La manif pour Tous francese

di Mario Adinolfi


​Si è riunito a Roma ufficialmente il neocostituito comitato “Da mamma e papà”, da far conoscere a tutti i soggetti interessati.

Manifestazione a piazza San Giovanni su gender nelle scuole e ddl Cirinnà
“Per promuovere il diritto del bambino a crescere con mamma e papà, vogliamo difendere la famiglia naturale dall’assalto a cui è costantemente sottoposta da questo Parlamento, vogliamo difendere i nostri figli dalla propaganda delle teorie gender che sta avanzando in maniera sempre più preoccupante nelle scuole”. Il comitato “Da mamma e papà”, spiega così la convocazione a Roma per il prossimo 20 giugno di una manifestazione che si annuncia imponente a difesa dell’istituto del matrimonio, della famiglia composta da un uomo e da una donna, del diritto del bambino ad avere una figura materna e una paterna, senza dover subire già dalla scuola dell’infanzia la propaganda dell’ideologia gender definita da Papa Francesco “un errore della mente umana”. Spiegano i promotori: “Chiamiamo alla mobilitazione nazionale tutte le persone di buona volontà, cattolici e laici, credenti e non credenti, per dire no all’avanzata di progetti di legge come il ddl Cirinnà che dell’ideologia gender sono il coronamento e arrivano fino alla legittimazione della pratica dell’utero in affitto. Ci troveremo tutti in piazza a Roma, schierati a difesa della famiglia e dei soggetti più deboli, a partire dai bambini”. La manifestazione, che si terrà a piazza San Giovanni dalle 15.30, è promossa dal comitato “Da mamma e papà” a cui aderiscono personalità provenienti da diverse associazioni tra cui Simone Pillon, Giusy D’Amico, Toni Brandi, Filippo Savarese, Costanza Miriano, Mario Adinolfi, Jacopo Coghe, Maria Rachele Ruiu, Paolo Maria Floris, Alfredo Mantovano, Nicola Di Matteo. Portavoce del comitato è il neurochirurgo Massimo Gandolfini. Lunedì 8 giugno alle ore 11 all’hotel Nazionale di piazza Montecitorio si terrà la conferenza stampa di presentazione della manifestazione.
02/06/2015 La Croce quotidiano
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Chi non vuole le adozioni gay deve opporsi alle unioni civili

di Luigi Amicone


Sull’onda emotiva del referendum irlandese che ha elevato a diritto costituzionale il “matrimonio” tra persone delle stesso sesso, il ministro Boschi aveva promesso che subito dopo le elezioni regionali il governo avrebbe varato il decreto Cirinnà. Oggi, dopo la tempesta imperfetta delle regionali vinte dal centro-sinistra 5 a 2, ma che Renzi ha perduto nell’altamente simbolica Liguria, dove il suo “personale” candidato ha subito la batosta di Lega, Forza Italia e Movimento Cinque Stelle, non è escluso che a Palazzo Chigi vi siano dei ripensamenti.
Intanto, sul fronte trasversale dei sostenitori del primario diritto dei bambini ad avere un padre e una madre, si registra la mobilitazione di un vasto fronte di oppositori al ddl Cirinnà. Domani, mercoledì 3 giugno, un gruppo di parlamentari annuncerà di aver fatto proprio e lancerà in Parlamento l’appello di cinquanta intellettuali che chiedono rispetto e accoglienza nei confronti delle persone omosessuali. Ma nessuna legge che istituisca un «simil-matrimonio» o che apra alle adozioni.
E domenica 20 giugno si svolgerà a Roma, con conclusione e “festa” a Piazza San Giovanni, una manifestazione per sostenere e difendere il diritto di ogni bambino ad avere una mamma e un papà.
Le ragioni di questa doppia mobilitazione sono state anticipate ai lettori di Avvenire in un manifesto che campeggiava su mezza pagina del quotidiano della Cei nell’edizione del 31 maggio. Firmato dai Comitati Sì alla famiglia e Alleanza cattolica, il manifesto ricorda che non è possibile alcuna legge sulle unioni civili senza adozioni omosessuali, «perché la giurisprudenza europea ha stabilito che, una volta introdotte le unioni civili, non è possibile discriminare le coppie omosessuali legittimate in sede civile escludendole dalle adozioni».
«Dunque – spiega il presidente dei Comitati Sì alla famiglia Massimo Introvigne – chi non vuole le adozioni deve opporsi al ddl Cirinnà. Il che non significa rifiutare di riconoscere i diritti e i doveri che nascono da ogni convivenza, anche omosessuale, per esempio in materia di visite in ospedale, in carcere o locazione: abbiamo proposto di riunirli in un testo unico, presentato al Senato da Sacconi e alla Camera da Pagano, che è la vera alternativa alla legge Cirinnà».
Il dibattito italiano sulle unioni gay potrebbe quindi infiammarsi nei prossimi giorni. Ciò si deve anche al fatto che, dopo il clamoroso successo ottenuto dai sostenitori dall’agenda Lgbt in Irlanda, l’Italia rimane tra i pochi paesi europei che non ha ancora riconosciuto le unioni e matrimoni tra persone dello stesso sesso.
A ben vedere, però, la legislazione italiana in materia è ancora allineata a quella della maggioranza del mondo, dato che i paesi dell’est capitanati dalla Russia, l’intero continente asiatico guidati da Cina e India, i paesi musulmani del Medio Oriente e l’Africa (con l’eccezione del Sudafrica), rifiutano categoricamente di allinearsi al paradigma con pretesa universalistica introdotto dal presidente americano Barack Obama. Bisognerà allora vedere se e come la Casa Bianca intenderà spingere il governo italiano sulla china dell’allineamento all’agenda Lgbt.
In effetti, dopo aver supportato i due mandati presidenziali di Barack Obama con uno sforzo propagandistico e finanziario davvero straordinari, la task-force di militanti, avvocati, spin-doctor e ambasciatori legati alla lobby Lgbt insediatasi alla Casa Bianca, considera oggi inaccettabile che l’Italia non si sia ancora allineata ai paesi che riconoscono unioni e matrimoni tra persone dello stesso sesso. Per l’attuale amministrazione Usa la capitolazione del paese che ospita la sede della Chiesa cattolica – istituzione che nonostante lo scandalo pedofilìa scaturito dalle inchieste americane si ostina a resistere al “verbo” della multinazionale arcobaleno – è ritenuto un obbiettivo strategico di primaria importanza.
Per questo l’ambasciata americana a Roma è particolarmente attiva su questo fronte. Quando nel giugno 2012 l’ambasciatore a Roma David H. Thorne annunciò l’adesione degli Stati Uniti al gay pride italiano, aveva chiara la portata e la “missione salvifica” della presidenza Obama: introdurre nel mondo la “rivoluzione” del “same-sex marriage”. «Il Presidente Obama – dichiarava Thorne – proclamando il mese dell’orgoglio Lgbt, ha riconosciuto il grande lavoro svolto dagli attivisti e dai sostenitori dei diritti Lgbt dalle loro famiglie e dagli amici che “cercano di costruire per se stessi e gli altri una nazione dove nessuno sia considerato cittadino di seconda classe, a nessuno vengano negati i diritti fondamentali, e noi tutti possiamo essere liberi di vivere e di amare come desideriamo”».
Naturalmente, da nessuna parte dell’Occidente le persone omosessuali sono considerate “cittadini di serie B”. Eccetto, ovviamente, che in taluni paesi stimati dall’Occidente e alleati degli Stati Uniti (tipo Qatar e Arabia Saudita). Dove però i più elementari diritti umani vengono quotidianamente calpestati – tanto più quelli Lgbt, ma nello stranissimo silenzio dell’amico americano e Lgbt – e coincidenza vuole sono anche paesi che finanziano politici come Hillary Clinton, ex segretario di Stato di Obama e candidato democratico alle presidenziali 2016 (vedi editoriale).
In nessuna parte del mondo libero e democratico viene oggi impedito alle persone omosessuali di “amare” e di esercitare i proprio diritti di cittadini. Piuttosto, stando ai trend dell’industria dei media e dei consumi globali, sembra che siano le persone eterossessuali a vedere sempre più minacciati i propri diritti di cittadinanza e a doversi sentire quasi in colpa per il loro antiquato “stile” di relazioni famigliari e affettive. Insomma, l’unico “diritto” che non è stato ancora istituzionalizzato in un’ultima esigua minoranza di paesi liberi e democratici è l’equiparazione al matrimonio tra un uomo e una donna. Istituzione la cui conquista da parte dell’agenda Lgbt pare indispensabile per legittimare e internazionalizzare l’adozione, la produzione e il commercio dei bambini da parte delle coppie omosessuali. Coppie che, essendo per definizione impossibilitate a dare vita e dovendo ricorrere all’adozione o all’esternalizzazione della procreazione, vengono strumentalizzate e utilizzate simbolicamente per stravolgere l’esperienza naturale della maternità e paternità e leggittimare così surrogati e linee di filiazione sradicati da una madre e da un padre. Distruggere la peculiarità della relazione uomo-donna. Separare la maternità e la paternità dall’atto procreativo. Rendere i bambini orfani fin dalla nascita. Promuovere una “nuova fase” dello sviluppo capitalistico incentrato sullo sfruttamento della donna e sulla “colonizzazione” della vita umana. Questi, in ultima analisi, sembrano essere gli obbiettivi non dichiarati ma praticati dai grandi e potenti sponsor dell’agenda obamiana in fatto di “diritti gay” (vedi articolo “non c’entrano Né amore né diritti”).
D’altra parte l’agenda Lgbt è diventata in questi anni la punta di lancia dell’offensiva politica americana nei confronti dei paesi che non si sottomettono alla leadership “morale” degli Stati Uniti nel mondo. E’ il caso della Russia di Putin, dove si susseguono le provocazioni create ad arte (si pensi ai gruppuscoli Lgbt finanziati e sostenuti nelle proteste sulla piazza Rossa o alle Olimpiadi di Sochi dove Usa e Europa inviarono nazionali provocatoriamente guidate da atleti Lgbt), che insiste a non sottomettersi al dossier americano in materia di “diritti”.
E’ nota, per altro, la procedura messa a punto in sede Ue e alla quale si devono attenere tutti i paesi che presentano domanda di associazione all’Unione, pena il respingimento della domanda di associazione stessa: essi devono impegnarsi a introdurre “riforme” che prevedono il “diritto all’aborto”, legislazioni “gay friendly” nel senso del riconoscimento legislativo delle unioni gay e leggi “antiomofobe” che limitano la libertà di parola e di pensiero nello stile del ddl Scalfarotto. Il passo successivo, cioè il via libera alle adozioni e alla maternità e paternità surrogata, viene garantito per tramite sentenze ad hoc della Corte di giustizia europea, che hanno valore giuridico in tutta l’Unione.
Quanto allo scontro geopolitico e culturale tra le due superpotenze in Europa, l’ultimo atto di ostilità della Casa Bianca è stato ritenuto essere dalla Russia l’invio dell’Fbi in Svizzera e l’incriminazione per “corruzione” dei vertici Fifa impegnati nell’organizzazione dei mondiali a Mosca del 2018. D’altra parte, se è vero che il conflitto aperto in Ucraina spinge Mosca a qualificare come “indebita ingerenza” ogni intervento americano in Europa, è anche vero che nessun agente Fbi si è ancora fatto vedere nei cantieri Fifa in Qatar. Dove solo lo scorso anno, nella costruzione degli stadi che ospiteranno il mondiale del 2022, sono morti oltre 400 lavoratori stranieri. Immigrati che vivono ridotti in schiavitù in uno stato piccolissimo ma troppo ricco di petrodollari (e di investitori in Borsa e Real Estate Usa e Ue) per essere messo sotto accusa. Pur essendo internazionalmente risaputo che, oltre dei diritti umani negati, il Qatar è il santuario anche dei finanziatori del Califfato islamico dell’Isis.

Tempi


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20 giugno in piazza a Roma a difesa della famiglia di Riccardo Cascioli

Era nell’aria da tempo, i contatti tra i diversi gruppi pro-family andavano avanti già da molti mesi: da una parte l’esigenza di un popolo di rendersi presente per riaffermare il diritto alla propria presenza nella società, dall’altra il timore di non avere i mezzi per mobilitare un numero consistente di persone o magari il timore del “fuoco amico”.

Ma alla fine, di fronte alla minaccia che grava sulla nostra societàe all’accelerazione impressa dalla maggioranza di governo, gli indugi sono stati rotti. E il pomeriggio del 20 giugno a Roma sono convocate tutte le famiglie italiane per una grande manfiestazione che ha lo scopo di affermare con chiarezza il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre.

Il tutto avviene mentre il Parlamento inizia la discussione sul ddl Cirinnà che intende legittimare le unioni civili tra persone dello stesso sesso (in sostanza il matrimonio con un altro nome); mentre è già stato inserito un emendamento nella riforma della “Buona Scuola” per favorire l’introduzione della teoria gender che si completerebbe con l’approvazione del ddl Fedeli che renderebbe obbligatorio l’insegnamento della teoria del gender dall’asilo all’università; e mentre è sempre pronto a riprendere l’iter il ddl Scalfarotto contro l’omofobia, che chiuderebbe definitivamente la bocca a chi volesse ancora affermare che la famiglia è soltanto una, quella naturale: fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.
La decisione definitiva di passare alla fase operativa è stata presa nei giorni scorsi a Roma durante un incontro cui hanno partecipato tante diverse associazioni, movimenti e singole personalità, per assicurare il più ampio consenso possibile – e relativa mobilitazione – per la manifestazione. L'appuntamento è in piazza della Repubblica da dove si snoderà un corteo che finirà in piazza San Giovanni. Nelle intenzioni del comitato organizzatore dovrà essere un grande momento di festa, senza alcuna connotazione religiosa e senza sigle di associazioni e movimenti. Il modello è la Manif pour Tous francese, anche se il pensiero va al Family Day del 2007 che riuscì nell’intento di bloccare i DI.CO proposti dai ministri Bindi e Pollastrini del governo Prodi. 
Ma rispetto a otto anni fa molte cose sono cambiate e se allora i vescovi italiani ebbero un ruolo fondamentale nella convocazione della manifestazione e nella mobilitazione, il “Family Pride” del 20 giugno è frutto solo della responsabilità dei laici e delle famiglie, fortemente preoccupate per la rivoluzione antropologica in atto e per il tentativo di espropriare il loro diritto-dovere all’educazione dei figli. Peraltro rispetto al 2007 c’è una parte del mondo cattolico che ha manifestato la propria contrarietà, preoccupata del “muro contro muro”. Preoccupazione bizzarra visto che le famiglie scendono in piazza non per attaccare nessuno ma per rispondere con la propria presenza a un’aggressione senza precedenti che vorrebbe cancellarne l’identità.
Probabilmente certe titubanze hanno a che fare anche con la divisione ai vertici dell’episcopato sul giudizio da dare a un raduno simile. Indiscrezioni dicono che a vedere di buon occhio la manifestazione è il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco; certa è invece la contrarietà del segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino che lo ha ribadito più volte nelle interviste di questi ultimi mesi. Addirittura Galantino, intervenendo a Rai 3 nel programma di Fabio Fazio e Massimo Gramellini venerdì sera (clicca qui), si è espresso a favore del riconoscimento da parte dello Stato delle relazioni stabili tra persone dello stesso sesso («i sacrosanti diritti che hanno gli individui che chiedono di unirsi nelle unioni civili», li ha definiti).

E anche fra i politici cattolici le idee non sono molto chiare (o forse lo sono fin troppo) come è per quelli che militano nel Pd: in una intervista di pochi giorni fa, l’europarlamentare Patrizia Toia (clicca qui), considerata esponente di punta dei cattolici democratici, ha giudicato il ddl Cirinnà «abbastanza equilibrato» e ritenuto prematuro concedere l’adozione alle coppie omosessuali ma solo per l’arretratezza della cultura italiana su questo aspetto, in quanto «i gay possono essere ottimi genitori». E poi c’è qualcuno che sostiene che le battaglie per la famiglia e per i diritti dei bambini ad avere un padre e una madre si possono vincere solo stando nel Pd a fianco dei cattolici che ci sono già.